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 2015  maggio 03 Domenica calendario

L’ESTINZIONE DELLO STATISTA

Per quelli di noi che hanno avuto il privilegio di servire nel Congresso degli Stati Uniti alcuni anni fa, ci sono notevoli differenze tra i migliori dei nostri colleghi di allora e molti degli attuali membri delle due Camere.
Le differenze hanno a che fare con la levatura e le doti di statista.
Come si spiega questa differenza?
Ha in gran parte a che fare con la rivoluzione nei media. Le tre principali tribune trent’anni fa o giù di lì erano i programmi delle interviste della domenica mattina mandate in onda sui network e, in misura minore, i programmi quotidiani del mattino. Cronisti politici di lungo corso e intervistatori erano ben versati nelle questioni del giorno e avevano accumulato anni di esperienza sulle vicende nazionali e internazionali.
Ci si aspettava che i personaggi politici, in particolare tra i candidati ad incarichi nazionali, sapessero di che cosa stessero parlando, e se così non era, le loro pecche erano evidenti. Le interviste e le discussioni erano serie, ma raramente conflittuali e certamente non di parte.
Più di recente, le cose sono cambiate. Adesso abbiamo trasmissioni non-stop via cavo, network partigiani, intervistatori che si distinguono solo per il sensazionalismo e le polemiche, conduttori pieni di sé abili nell’arte del comizio, batterie di sconosciuti «strateghi» politici con poca o nessuna esperienza al di là di una precedente campagna (e un parrucchiere) domande conflittuali che sottintendono la malafede dell’intervistato, e un generale disprezzo per i personaggi politici basata sulla superiorità dell’intervistatore.
In breve, i media - i mezzi con cui gli eletti comunicano con i cittadini - sono ora un quarto ramo del governo e si ritengono uguali se non superiori rispetto ai rappresentanti eletti e si auto-attribuiscono il ruolo di tribuni della plebe.
E in cima a questo, la compressione dei media - la necessità di comunicare con slogan di otto secondi e con i 140 caratteri di un tweet.
Il risultato è che si privilegiano politici loquaci, brillanti, affascinanti e semplici rispetto a quelli del passato più inclini a essere riflessivi, determinati, sostanziali e diplomatici. Questo processo sacrifica gli statisti, uomini e donne istruiti, e con esperienza nell’arte del governo.
L’ulteriore risultato è la divisione della nazione in fazioni avverse servite da media di parte che riciclano pregiudizi diffusi e dogmi e con poco riguardo per un’analisi ponderata dei complessi temi nazionali e internazionali che richiedono senso della storia, impegno per l’interesse nazionale a lungo termine e il prevalere del senso dello Stato sullo spirito di parte.
Si sbaglierebbe, tuttavia, a credere che la massiva trasformazione dei media sia la sola responsabile per la diminuita statura dei leader. E’ colpa anche della conversione dei legislatori in cacciatori di fondi a pieno tempo e la costante opposizione di eserciti di lobbisti. Anche i senatori, che restano in carica per sei anni, sprecano una parte di ogni giorno di quei sei anni a questuare contributi. È umiliante per loro e per la nazione che servono.
A rischio di farne una questione personale, mettete a confronto (se avete una certa età) l’attuale generazione di politici che aspirano a un incarico di rilievo nazionale con, per esempio, Abe Ribicoff, Stuart Symington, Mike Mansfield, Gaylord Nelson, Charles Mathias, Jacob Javits Clifford Case, Ed Muskie, William Fulbright, Hubert Humphrey, e molti, molti altri. Andati. Tutti andati.
Nell’America di oggi ci sono di certo figure di uguale statura. Ma pochi di loro si sottoporrebbero al frullatore mediatico, all’umiliante ricerca di fondi e alla lotta nel fango dell’arena politica che viene definito percorso legislativo.
E’ troppo aspettarsi a breve termine il ritorno a un processo politico più serio. C’è troppo denaro dei media e potere in gioco, nel sistema attuale. E non ci sarà mai carenza di persone in cerca di una carica politica, soprattutto con la prospettiva di una vita a fare lobbying per milioni di dollari.
Ma finché ci troviamo nelle attuali circostanze non abbiamo alcuna prospettiva realistica per il ritorno di un’epoca di statisti di qualità e vaglio.
(Traduzione di Carla Reschia)
Gary Hart*, La Stampa 3/5/2015
*Esponente del Partito democratico e Senatore del Colorado dal 1975 al 1987, ha corso per le presidenziali nel 1984 e nel 1988