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 2015  maggio 03 Domenica calendario

QUANDO PERTINI E BERLINGUER PADRE VOTARONO LA FIDUCIA PER DISCIPLINA

Erano altri tempi, certo. Ma quel che accadde nell’inverno del 1963 ha molte analogie con le vicende di questi giorni. Due personaggi di spessore, l’onorevole Sandro Pertini e l’onorevole Mario Berlinguer (padre del giovane Enrico) entrambi deputati socialisti, si trovarono grosso modo nei panni dei dissidenti del Pd in queste ore, ma tennero un atteggiamento diverso.
Erano i giorni che stavano segnando un passaggio storico nella vicenda politica italiana: la nascita del primo governo di centro-sinistra, con l’apertura della Dc ad un Psi allora molto di sinistra e moralmente integro.
Siamo nel dicembre del 1963: l’ingresso dei socialisti al governo, con un programma di riforme di struttura, è accompagnato da speranze ma anche da una fortissima opposizione da sinistra, da parte del Pci di Togliatti, ma anche da parte della corrente di sinistra del Psi, in parte filosovietica e in parte convinta che il centro-sinistra fosse un’operazione moderata.
Tra gli oppositori dell’allora leader socialista, Pietro Nenni, due deputati assai stimati nel gruppo: un eroe dell’antifascismo come Sandro Pertini e un deputato sardo, Mario Berlinguer.
I due, assieme ad altri sei deputati socialisti, inviano una lettera nella quale annunciano che voteranno la fiducia al quadripartito guidato da Aldo Moro solo per «disciplina di partito», ma non per intima convinzione.
Altri 25 deputati socialisti invece non parteciparono al voto di fiducia, rivendicarono pubblicamente il gesto (come hanno fatto Bersani, Letta, Bindi e gli altri 35) e a quel punto, venendo meno la disciplina di partito, scattò un provvedimento di sospensione nei loro confronti e di 13 senatori, promotori di un analogo atteggiamento. Sospensione che non riguardò Pertini e Berlinguer che la fiducia l’avevano votata.
Qualche settimana dopo, i 38 parlamentari socialisti che non condividevano la nascita del nuovo governo, coerentemente con la scelta della non-fiducia, uscirono dal Psi e fondarono il Psiup.
E quanto a Matteo Renzi, davanti alla presa di posizione dei dissidenti, non ha posto un problema disciplinare. E neanche i 38 dissidenti si sentono a disagio nel restare nel Pd, dopo aver negato la fiducia al governo guidato dal segretario del loro partito. Una vicenda che allude ad un fenomeno nuovo: i partiti somigliano sempre più a degli “omnibus”, nei quali convivono, quasi senza regole e senza vincoli di opinione, le posizioni più diverse.
Fabio Martini, La Stampa 3/5/2015