Cesare Giuzzi e Gianni Santucci, Corriere della Sera 3/5/2015, 3 maggio 2015
I SESSANTA MINUTI DELLA GUERRIGLIA PERCHÉ LA POLIZIA NON HA ATTACCATO
MILANO Lanciano decine di molotov. Tutte alla fine. L’arma più pesante che hanno, i casseur la usano per tenere lontana la polizia che avanza. Nello stesso momento, accendono decine di fumogeni arancioni. Dentro quella «bolla», impenetrabile per le immagini delle telecamere, si tolgono maschere, passamontagna, k-way e pantaloni neri. È la fase che gli analisti definiscono «svestizione». Poco prima, erano centinaia di figure scure, tutte uguali e anonime (dunque non identificabili), che devastavano la città; fuori da quella nube, escono ragazzi dall’aspetto comune, pronti a confondersi per fuggire. Sono le 17.15, in via Guido d’Arezzo: diradati i fumi, sull’asfalto rimane l’armamentario da guerriglia urbana usato per colpire Milano. La «perfetta» dinamica di questo epilogo spiega il livello di preparazione del blocco anarchico. E anche il perché la polizia abbia scelto il «contenimento», invece dello scontro.
Le manovre
Il corteo del Primo maggio parte poco prima delle 15. Tra le 10 e le 15 mila persone. Gli anarchici non sono ancora vestiti di nero. Circa 300 stranieri (spagnoli, francesi, tedeschi, greci) e 400 italiani (da Torino, Alessandria, Roma, Napoli, Rovereto, più i milanesi che hanno gestito ospitalità e logistica). Dopo la svolta a sinistra da corso di Porta Ticinese, il percorso segue un semicerchio da sud a ovest, fino alla stazione Cadorna. Sul fronte destro, il centro della città: il questore Luigi Savina e i dirigenti dell’ordine pubblico hanno blindato tutte le strade di possibile ingresso.
Ore 15.55, il primo assalto viene respinto con gli idranti in piazza della Resistenza partigiana. In quel momento le vedette «nere» sono già avanzate e poi risalite nel corteo 3 o 4 volte, alla ricerca di punti adatti all’attacco. Venti minuti dopo, in via Carducci, accendono i fumogeni per la «vestizione». Sanno di essere stati ripresi dalle telecamere e quindi devono diventare irriconoscibili. Escono dalla nube coperti di indumenti neri e si compattano dietro un furgone. Hanno bastoni di legno uguali a quelli sequestrati nei giorni scorsi e già visti negli scontri di Cremona. Distruggono le vetrine.
Gli attacchi
La fase più drammatica inizia in largo d’Ancona. Le forze dell’ordine devono difendere due fronti: a est, il centro città; a ovest, a 300 metri, il palazzo delle Stelline, sede milanese della Commissione europea. È l’obiettivo più ambito per gli anarchici stranieri, soprattutto greci. I casseur attaccano su entrambi i fronti: mentre alcuni lanciano sassi e bottiglie, altri fanno barricate in strada, altri ancora distruggono banche e vetrine. Le forze dell’ordine rispondono sparando 400 lacrimogeni in meno di un’ora. Dietro la prima linea di poliziotti e carabinieri, è schierato un contingente di rinforzo a difesa del palazzo delle Stelline.
Quando la guerriglia è già iniziata, un manipolo di anarchici si stacca e prova un attacco passando da una traversa più a sud, via Togni; i rinforzi si spostano, ma probabilmente è un diversivo. Perché alle 16.35 parte il terzo assalto (con gli altri due ancora in atto), ed è il più violento, su via Caradosso, una traversa a nord della piazza. Tiene le seconde linee di difesa impegnate per circa 20 minuti. Gli idranti non possono essere spostati (e usati): bisognerebbe togliere l’elettricità dalle linee dei tram, altrimenti si rischierebbe che l’acqua faccia da conduttore sulle persone. Perché, in questa fase, la polizia non interviene?
Il «contenimento»
Nella gestione dell’ordine pubblico esiste una demarcazione di fondo: accettare o no che qualcuno possa farsi male. Sopportare i danni alle cose o rischiare danni gravissimi alle persone (che siano poliziotti, vandali, manifestanti normali o passanti). La questura decide di stare sotto questa linea; sono scelte che bisogna fare in pochi minuti.
Polizia e carabinieri iniziano ad avanzare lentamente: non hanno ancora la certezza che il primo spezzone di corteo sia lontano, e non rischi dunque di essere coinvolto negli scontri. Per questo, pur se un gruppo di neri potrebbe ora essere chiuso alle spalle e isolato (in via Vincenzo Monti), si decide di evitare il rischio di tafferugli, che sarebbero violentissimi.
Alle 17 il blocco anarchico ricompatta i due fronti (quello di Largo d’Ancona e quello di via Caradosso) e inizia ad arretrare. Alle spalle hanno spazio libero: accendono decine di fumogeni arancioni, che azzerano la visibilità, e iniziano a scagliare le molotov. Non cercano mai il contatto con le forze dell’ordine, l’unico obiettivo è recuperare la folla o altre vie di fuga. Nascosti dal fumo, devastano altre macchine. E iniziano la «svestizione». La guerriglia è durata un’ora.