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 2015  maggio 01 Venerdì calendario

IL RING DI VIENNA LA STRADA SENZA QUALITÀ

La principale industria dell’Austria è il suo passato. Quindi anche il compleanno della Ringstrasse di Vienna, 150 anni oggi, viene festeggiato dalla solita ondata di manifestazioni e di mostre: «Klimt e la Ringstrasse» al Belvedere, «Il Ring. Gli anni pionieristici dal 1857 al 1865» al Wien Museum, «Il Ring. La storia ebraica di un boulevard » al Museo ebraico, «Vienna diventa une metropoli. La Ringstrasse e il suo tempo» alla Biblioteca nazionale, «Troppo moderna per la prima fila. Storia della costruzione della Secessione» ovviamente al Palazzo della Secessione, «La Ringstrasse del proletariato. Un controprogetto» al Karl-Marx-Hof e perfino «Vienna. La perla del Reich. Progetti per Hitler» all’Architekturzentrum. Eccetera.
L’imperatore
La strada fu inaugurata il 1° maggio 1865 da un Francesco Giuseppe educatamente scettico, com’era del resto nei confronti di qualsiasi novità. Ovviamente, non era finita: per costruire, o per completare, i circa 800 edifici che fiancheggiano i cinque chilometri e 300 metri del viale più famoso dell’Impero austriaco si andò avanti fin dopo che l’Impero non c’era più, inghiottito dalla Prima guerra mondiale. L’inizio dell’avventura risaliva a otto anni prima quando, con il «decreto di Natale», il Kaiser aveva ordinato di demolire le vecchie mura che avevano salvato Vienna due volte dai Turchi (ma non da Napoleone) e che ormai non erano più un ostacolo all’invasore ma soltanto allo sviluppo della città. Fuori dai bastioni c’era il cosiddetto «glacis», un ampio pendio sgombro da costruzioni per lasciare il campo libero all’artiglieria: il che spiega perché la Ringstrasse sia così larga, in media circa 57 metri. Com’era successo con il barone Hausmann, dunque, prima di costruire fu necessario demolire. Johann Strauss celebrò subito il trionfo del piccone con la sua allegra Demolieren-Polka.
Era un’epoca di boom economico, dei primi grandi industriali, magnati delle ferrovie o fondatori di banche. Nel 1867, in tutto l’Impero d’Austria e Regno apostolico d’Ungheria c’erano appena 154 società per azioni; nel solo 1872, ne vennero fondate 376. L’Esposizione universale di Vienna del ’73 celebrò quest’epoca di fiducia nelle magnifiche sorti e progressive: ma, appena nove giorni dopo che l’Imperatore l’aveva inaugurata, la polizia dovette chiudere la Borsa, tracollata nel crac del «venerdì nero» che mostrò a tutti l’altra faccia, quella cattiva, del capitalismo trionfante.
Urbanistica sociale
Il Ring, però, ormai era lanciato. E, come molti prodotti di quell’epoca, fu subito accusato di cattivo gusto, o meglio della sua mancanza. Oggi il suo eclettismo sembra semmai lo stile di un’epoca che non ne aveva alcuno suo e quindi li adottava tutti. Quei palazzi «fatti con effetti che miravano all’effetto», come scrive Franz Herre, erano collocati secondo una rigida urbanistica «sociale»: il Kollowrat-Ring (oggi Schubert-Ring) e il Park-Ring appannaggio della vecchia nobiltà feudale; l’Opern-Ring e il Kärtner-Ring alla nuova aristocrazia del denaro; il Burg-Ring, l’area adiacente alla Hofburg, il Palazzo imperiale, agli edifici pubblici.
Soprattutto qui gli architetti lavorarono di citazioni, inventando, anzi assemblando, il famigerato «stile Ringstrasse». Per il Parlamento, Theophil Hansen si ispirò evidentemente a un tempio greco; per il Rathaus, il Municipio, Friedrich von Schmidt all’Hôtel de Ville di Bruxelles; la Votivkirche di Heinrich Ferstel è neogotica; l’Università (sempre Ferstel) neorinascimentale e per i palazzi gemelli dei Musei di Storia dell’Arte e di Storia naturale, Gottfried Semper e Karl von Hasenauer misero lo scalone della Reggia di Caserta sotto la cupola dal Val-de-Grâce di Parigi.
I teatri
I teatri meritano un discorso a parte. La Staatsoper fu costruita in stile neorinascimentale da Augustus Sicard von Sicardsburg ed Eduard van der Nüll, ma venne così criticata che nessuno dei due ne vide l’inaugurazione: van der Nüll si suicidò e Sicardsburg morì d’infarto oppure, come si diceva ai suoi tempi, di crepacuore. Il Burgtheater, il teatro di corte, progettato da Semper e costruito da Hasenauer è «un incrocio fra il palazzo del Campidoglio e la Biblioteca Marciana», sempre Herre, mentre per l’attore Hugo Thimig era «una creazione neroniana». Ma gli affreschi del giovane Klimt sono bellissimi (racconta però Stefan Zweig nel Mondo di ieri che quando fu demolito il vecchio Burgtheater sulla Michaelerplatz, proprio di fronte all’ingresso della Hofburg - rifatto anche questo, per inciso - dopo l’ultima recita lui e i suoi amici salirono in palcoscenico e ne strapparono dei frammenti, perché lì erano state eseguite per la prima volta Le nozze di Figaro e quelle tavole erano sacre, perché ci aveva camminato Mozart. Ed è l’aneddoto forse più commovente di quel libro straziante...).
Un menu di pietra
«Maestà, tutti quegli stili non mi piacciono affatto. È come un menu di pietra», si lagnava il vecchio pittore Friedrich von Amerling con Francesco Giuseppe. «In ciò io non ho messo bocca. Sono cose che capiscono meglio gli artisti», gli rispose il suo Imperatore, in effetti del tutto privo di qualsiasi interesse culturale. I viennesi criticavano con brio, come hanno sempre fatto con tutto e tutti. E passi per l’esterno, ma gli interni! «In Parlamento non si sente niente, in Municipio non si vede niente, al Burgtheater non si sente e non si vede niente», era la battuta corrente.
Corsi e ricorsi del gusto. Oggi il Ring è un simbolo della città e una delle sue attrazioni turistiche più gettonate. E poi, forse, è molto meglio di quel che è venuto dopo.
Alberto Mattioli, La Stampa 1/5/2015