Fabio Monti, Corriere della Sera 1/05/2015, 1 maggio 2015
IL GIORNO DEI CAMPIONI 80
& 40 –
Il 2 maggio è il giorno dei campioni. Domani Luisito Suarez Miramontes compie 80 anni e David Beckham 40. Nessuno meglio di loro ha illustrato l’epoca vissuta. Il galiziano, nato in una piccola via del quartiere Hercules di La Coruña, è stato eletto nel 2003 «futbolista español del siglo», davanti a Gento, Amancio e Raul, in base a un sondaggio promosso dal Mundo Deportivo ed è giusto così, perché Suarez ha sempre lavorato per diventare grande e alla fine è stato un calciatore meraviglioso, felice di esserlo. Titolare nel Deportivo La Coruña, acquistato dal Barcellona a 18 (e subito titolare), in nazionale a 21, Pallone d’oro a 25, regista dell’Inter a 26 anni appena compiuti.
A volere Suarez all’Inter, con un pressing senza sosta, è Helenio Herrera, che con lui ha vinto due volte la Liga nel Barcellona (davanti al Real); Angelo Moratti si fida del mago e lo accontenta, versando al Barça 225 milioni di lire, utilizzati dal club blaugrana per completare le tribune del Camp Nou. La firma del contratto avviene il 1° giugno 1961, il giorno dopo aver perso, non si sa ancora come (quattro pali), la finale di Coppa dei Campioni: Benfica-Barcellona 3-2. Come quasi sempre, Herrera sceglie il basso profilo per spiegare chi è Suarez: «Ha la velocità di Bicicli, il palleggio di Corso, la forza di Lindskog, il dribbling di Sivori e il tiro di Altafini». Nel cuore dei tifosi prende subito il posto di Angelillo, ma non tutto fila liscio all’inizio, causa un brutto infortunio nella partita con il Colonia: segna due gol, ma un tackle da dietro lo mette fuori causa. Dopo aver rischiato l’esonero nell’estate 1962, Herrera capisce che non può più sbagliare. .
Nasce la Grande Inter, arrivano tre scudetti («ma dovevano essere cinque», ha raccontato tante volte Suarez), due Coppe dei Campioni, due Coppe Intercontinentali. Le chiavi della squadra di Herrera sono nelle mani di Luisito, che fa girare il mondo nerazzurro senza mai sbagliare un colpo. Gioca fino al 38 anni (gli ultimi tre nella Samp); in carriera ha vinto tutto, compreso il titolo europeo con la Spagna (1964) e con l’Under 21 (1986) da c.t., ma nel suo cuore c’è soprattutto il 3-1 al Real, nella finale di Coppa Campioni a Vienna (27 maggio 1964): «Non ho mai visto un uomo felice come il presidente Moratti quella sera», quando, prima di scendere in campo aveva rimproverato i compagni «perché guardavano con ammirazione gli avversari, da Di Stefano a Puskas e nessuno sembrava pronto per giocare». Il calcio è molto cambiato, è diventato più veloce e meno tecnico, ma un numero 10 come Suarez non si è più visto.
La sintesi di che cosa sia diventato il calcio nel terzo millennio è nella figura di David Beckham, che ha coniugato le sue qualità tecniche (ala e centrocampista, maglia n. 7, 115 presenze in Nazionale, 17 gol) e le sue vittorie (6 campionati, una Champions League e un Mondiale per club con il Manchester United, una Liga e una Supercoppa con il Real, due scudetti con il Los Angeles Galaxy, uno con il Paris S. G., dove ha chiuso la carriera) con la dimensione pubblica e spettacolare. Un grande professionista, come si è visto anche nella doppia esperienza al Milan (gennaio-maggio 2009 e poi 2010), ma anche un uomo immagine perfetto, soprattutto dopo il matrimonio con Victoria, ex Spice, dal quale sono nati quattro figli: Brooklyn Joseph (1999), Romeo James (2002), Cruz David (2005) e Harper Seven (2011). Domani festeggerà i 40 anni a Marrakech, dove i Beckham nel 2004 avevano rinnovato la promessa d’amore, con personaggi famosi, da Tom Cruise a Gordon Ramsey a Guy Richie e Liv Tyler. I Beckham sono anche un’industria.