Maria Luisa Villa, Corriere della Sera 1/05/2015, 1 maggio 2015
CARLA SIGNORIS
«In auto aspetto i figli, scrivo e organizzo E telefono: i miei tre libri sono nati così»
Come «pluriventicinquenne» — il neologismo è suo ormai diventato patrimonio collettivo — la signora ha un fisico invidiabile. Fa ginnastica? «Per carità», e sbarra gli occhi. Dicono tutte così le donne belle e in forma, anche se Carla Signoris non se ne vanta: «Lo so, prima o poi la pagherò. La schiena si incriccherà. Ma la ginnastica no, non ce la faccio».
Si mette comoda sul divano, indossa pantaloni, sneaker e un sorriso dolcissimo, la sua cifra personale, quella con cui condisce battute fulminanti e induce un’empatia naturale con il pubblico. Lo stesso sorriso che sfoggia Luciana, l’ultimo personaggio da lei interpretato nel film di Silvio Muccino, «Le leggi del desiderio». Moglie fedele, irreprensibile segretaria in Vaticano, Luciana insegue una passione inaspettata, quella per la scrittura erotica. La insegne e la persegue, come una missione possibile. Ma tutti hanno una missione (im)possibile da compiere nella vita «Io ne ho due. Primo cantare, però non è più il tempo. Ho una bella voce, ma mica posso canticchiare. E poi diventare psichiatra. Amo andare in profondità. Chissà mai...».
Anche in questo Carla Signoris — dotata di un antico cognome spagnolo che ha voluto dare anche ai figli — dichiara subito la sua filosofia di vita: «Mettere leggerezza nelle cose serie. E più sono serie, dal tradimento alla malattia, e più bisogna osare la leggerezza». In fondo la psichiatria sarebbe soltanto un’altra delle tante vocazioni di una donna poliedrica o multitasking che dir si voglia. «Quando ho scoperto di essere artista? Forse non l’ho ancora capito adesso cosa sono». Diplomata alla scuola di recitazione del Teatro Stabile di Genova, la sua Genova, Fondatrice del Teatro dell’Archivolto con Giorgio Gallione (un sodalizio durato quasi 30 anni), la carriera cinematografica che va da Ozpetek a Salvatores a Fausto Brizzi. E poi la tv: Avanzi, Camera Café, due serie di Tutti pazzi per amore.
Incursioni private e spudorate
E Crozza alive. Già, dove lo mettiamo «Mauri», in arte Maurizio Crozza? «Ci conosciamo da quando avevamo 16 anni, siamo nati insieme. Stessa scuola di recitazione. Ma gli occhi da triglia ce li siamo fatti un bel po’ dopo. Prima siamo stati amici, poi fidanzati». E poi sposati. «Sì, ma... dopo. Al nostro matrimonio c’erano tanti ex». Una storia importante (e due figli, Giovanni e Pietro, 16 e 14 anni, studenti al liceo scientifico) che ha ispirato anche i libri di Carla Signoris, divertenti e spudorate incursioni nella vita privata propria e di tutti. Con leggerezza: «Mi piace parlare della vita delle persone, quella vera». Così dopo «Ho sposato un deficiente» e «Meglio vedove che male accompagnate», è arrivato «E Penelope si arrabbiò» (tutti per Rizzoli), cronaca del tradimento (si spera virtuale) di un marito al tempo di whatsapp. Alla berlina la fragilità di un medico, maturo, che flirta con un’infermiera più giovane, e di una moglie che non molla. Dei riflessi autobiografici lei non ha mai fatto mistero. È la dura legge dei messaggini, insidiosi e spietati. «Siamo nel pieno della sbornia da tecnologia, ma non è che senza whatsapp... Fra un po’ si abbasserà la febbre da connessione perenne, torneremo a una misura giusta». Nel libro la moglie, pur di salvare il matrimonio, fa appello a tutta la leggerezza possibile che si nutreche delle telefonate spassose con le amiche («Fondamentali. Gli uomini? Gli uomini tra loro parlano in terza persona, se va bene»).
Tormenti e litigi della coppia sono visti anche dal figlio adolescente, svelando la familiarità dell’autrice con la psicologia dei ragazzi. «Abbiamo cominciato tardi a fare i figli. Meno male, se no ne avrei fatti otto”. Ride, ma si capisce bene che questa non è una battuta. I figli entrano ed escono dalla conversazione in continuazione. «Io faccio politica in casa, con loro. Quando insegni il rispetto, fai politica no? Se l’unico modo per educare è dare l’esempio, avendo due figli maschi sento la responsabilità di insegnare il rispetto. Il mio sogno è vivere in una società in cui non ho bisogno di definirmi femminista».
Consigli di famiglia
Lavoro e famiglia. O famiglia e lavoro. Carla Signoris esige di tenere insieme le due cose saldamente, di cercare il punto di equilibrio con tenacia. E leggerezza. «Io lavoro anche in auto, quando accompagno i figli a calcio. Telefono, organizzo, scrivo, i libri in parte sono nati in auto, mentre aspettavo la fine degli allenamenti. Vado avanti e indietro per Genova e me li godo, i ragazzi, perché fra un paio d’anni prenderanno la patente. Spero».
Ma Crozza non li accompagna? «Eccome. Quando non lavora Maurizio li segue. La differenza è che io sto in macchina a trafficare, lui attaccato alla rete a urlare consigli». Anche tra due professionisti forse si scambiano consigli: «Diciamo che sappiamo ascoltarci».
L’entusiasmo è una scelta
A parlare dell’Archivolto, le si illuminano gli occhi. Stare sulle assi del palcoscenico non si paragona a niente, gli attori lo sanno. «Il cinema, la tv, i libri mi hanno permesso di gestire la mia vita privata con più flessibilità. Per esempio adesso, una tournée teatrale non ci starebbe. Ci sono i ragazzi, una mamma di 94 anni…». Le scelte si fanno sui copioni, sui progetti. Ognuno ha i suoi criteri: «Uno solo: entusiasmo. Io cerco soprattutto entusiasmo. In tutte le cose. Per questo sono molto selettiva. Un progetto che mi porta via da casa deve valere davvero la pena».
Forse per questo Carla Signoris oggi non è in auto parcheggiata accanto a un campo di calcio a Genova, ma seduta nella hall di un albergo nel centro di Milano, dove aspetta di registrare uno spot. L’attrice è tra le protagoniste di Pillole di Scienza, miniserie di brevi video divulgativi che l’Associazione italiana per la Ricerca sul cancro sta producendo in occasione del suo cinquantesimo anno di attività. Si tratta di spiegare in un modo nuovo e coinvolgente le parole della ricerca. «La mia parola è Chemioterapia». Con leggerezza? «Per forza. Dove c’è dolore e fatica, se non ci metti leggerezza, non ce la fai».