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 2015  maggio 01 Venerdì calendario

Francesco Rutelli: chi parla di fascismo straparla. Invece la politica si è fatta sentire. Una legge elettorale fisiologica

Francesco Rutelli: chi parla di fascismo straparla. Invece la politica si è fatta sentire. Una legge elettorale fisiologica. Evento normale: in vent’anni è stata modificata tre volte – Domanda. Dunque, onorevole Rutelli, calpestata la Costituzione, siamo al fascismo? Risposta. Ma no! Nessun fascismo. L’Italia cambia legge elettorale per la terza volta in 20 anni e l’esperienza dimostra che è la politica a dominare le regole, non il contrario. D. «Finalmente», la politica riassume le sue responsabilità? R. Il Mattarellum doveva tutelare i partiti tradizionali e arginare Berlusconi e ottenne il risultato opposto, nel ’94; il Porcellum doveva consegnare a Berlusconi una larga maggioranza e, invece, vinse subito l’Ulivo, nel 2006. Ora, si tratta di vedere se queste norme saranno antiprecarietà dei governi e delle maggioranze. D. Eterogenesi dei fini? R. Sì, esattamente, come avviene oggi –con Renzi che si trova premier a dominare su un Parlamento che era nato tripolare con Berlusconi e Grillo e con i deputati Pd scelti da Bersani-, se c’è una forte spinta politica, le maggioranze diventano solide e le minoranze si squagliano. Se, invece, sei precario politicamente, duri poco, anche se hai grandi numeri. D. Pensava a Enrico Letta? R. No. L’aspetto positivo, oggi, è la riaffermazione del primato della politica da parte del premier. Quello negativo, oltre alla nascita di liste che terranno insieme partiti diversi, per ricercare maggioranza numeriche, riguarda il rischio di eccessiva personalizzazione. D. Per ora, però, la personalizzazione sembra funzionare. R. Con Renzi, una maggioranza di italiani accetta questa attribuzione di tutto il potere a un solo leader. Ma domani? Chi potrebbe impadronirsi del potere? Non è un caso se, proprio in questi giorni, la patria del bipartitismo, il Regno Unito, si accinge a mandare in Parlamento non più solo due o tre partiti, ma sei o sette e ad avere un nuovo governo di coalizione. D. E questo che vuol dire? R. Vuol dire che situazioni sociali e politiche complesse non obbediscono a regole semplificatorie, neppure se hanno tradizioni secolari alle spalle. In Italia, dove per un secolo siamo oscillati tra trasformismo e autoritarismo –dopo la II Guerra siamo arrivati a tre «Repubbliche»- il rischio è maggiore. D. Tuttavia, sente una drammatizzazione esagerata che finisce per nascondere i problemi veri di questo governo? R. Il punto clou è l’economia. Mai motto fu attuale come il clintoniano «It’s the economy, stupid.» Se l’economia marcia, marcerà il governo. Se l’economia marcisce, marcirà il governo. E qui Renzi deve, a mio avviso, dimostrare più metodo, più capacità di coinvolgimento e allargamento delle classi dirigenti. È necessaria anche più stabilità: non ci si rende conto che annunciare in continuazione revisioni delle pensioni, differenti tassazioni sulla casa, infinite modifiche alle norme sui lavori pubblici, sortisce un effetto paralizzante rispetto a chi vuole i propri risparmi e investire? D. Passiamo al fronte internazionale e al problema dell’immigrazione. R. Beh! Aspettarsi da Ban Ki Moon decisionismo rispetto ai trafficanti di essere umani è come aspettarsi che un portiere diventi capocannoniere nel campionato di calcio: lui fa un altro mestiere. Come lei sa, sono stato il primo a proporre l’affondamento dei barconi prima che siano riempiti di migranti. Ma da farsi con operazioni mirate, come avvenne in Albania, mica con i bombardamenti aerei! E lo stesso vale per il contrasto delle reti dei trafficanti, su cui ho scritto un dettagliato rapporto come Presidente del Copasir (il comitato di vigilanza sui servizi di sicurezza ndr): un nuovo potere economico criminale che può ormai fare e disfare governi-fantoccio, vicino alle nostre coste. D. Quest’è un’osservazione importante che getta una luce sinistra sulla Libia. R. È, perciò, un compito dell’Europa –e l’Italia deve sollecitarla a intervenire- perché si tratta di difendere la nostra sicurezza, il futuro della nostra società e combattere veri e propri crimini contro l’umanità. D. Parliamo, ora, di Roma, che è stato il cuore della sua carriera politica. R. Certo. Diceva un vecchio e intelligente comunista come Maurizio Ferrara: «Roma ha un fondo limaccioso, che può sempre affiorare.» Per evitarlo, c’è solo una strada: l’arte del governo e, possibilmente, del buongoverno, dentro una visione strategica dei suoi compiti: nazionali, internazionali e verso la cittadinanza. D. Ma, dopo il passaggio della destra, Roma come affronta il ruolo di capitale e di vetrina d’Italia? R. Guardi, io non ho mai voluto polemizzare con Marino, perché comprendo le difficoltà: il degrado della classe dirigente locale è cominciato ben prima. Lui, peraltro, è più politico di altri governanti locali e regionali. Certo: fare il sindaco senza avere mai fatto neppure il consigliere comunale è molto difficile. Dovresti creare una vasta area di collaboratori validi e chiedere consigli e supporti. A quanto sembra, è un «modus operandi» che non va più di moda. D. Il governo italiano è stato interpellato per le vie diplomatiche dalla Santa Sede in vista dell’anno santo straordinario? R. No. Né il governo, né il comune, né altri. E neanche gran parte dei cardinali. D. È fisiologico? R. Non sarebbe cambiato molto: anziché 270 giorni di preavviso –se non ho contato male- ce ne sarebbero stati 280. D’altronde, il papa è interessato al messaggio spirituale, certo non ai lavori pubblici. Piuttosto, questo fazzoletto di giorni si sta ancor più restringendo: ne sono passati 50 senza che sia stata istituita la cabina di regia. D. E ora come si può affrontare l’appuntamento? R. Sono giuste le richieste di risorse per la gestione organizzativa, il decoro e la sicurezza (qui può fare molto il neoprefetto Gabrielli): per lo Stato, del resto, le entrate fiscali saranno di sicuro maggiori delle uscite. Ogni giorno che passa, però, rende difficile realizzare le opere di manutenzione ordinaria indispensabili. D. Come andò col Giubileo del Millennio? R. Le minacce furono radicalmente diverse: non c’era stato l’11 settembre, né c’era il rischio di «lupi solitari» fondamentalisti. Tutto funzionò alla perfezione, per la collaborazione tra istituzioni e Santa Sede, e con la creazione, con Luigi Zanda, di una Sala situazione collegata con tutte le centrali operative. Va ricordato l’incarico dato al prefetto Mosino di una supervisione dei cantieri: non una vittima del lavoro né una denuncia per corruzione. Alla fine il 96% delle opere (circa 700 cantieri) furono concluse in tempo. Nel metodo «coinvolgimento e collaborazione» c’è il mio principale suggerimento per il nuovo Giubileo. D. Oggi si inaugura l’Expo R. L’Expo andrà meglio di quanto dicono i profeti di sventura. Il tema è una scelta felice. Ha fatto bene Beppe Sala. Ha fatto bene il governo Renzi a scommetterci. Certo, non ci sarà un’eredita, una «legacy», come la Torre Eiffel, o l’Eur-E42 o le realizzazioni di Shanghai. E questo è un limite grave dell’attuale momento italiano: molto quotidiano, molti tweet, poca strategia, pochi investimenti. Oggi come oggi, se penso all’Auditorium di Roma dubito che si riuscirebbe a costruirlo.