Aldo Cazzullo, Sette 1/5/2015, 1 maggio 2015
Si ha l’impressione che l’Europa consideri la crisi uno scampato pericolo, e la recessione un’ombra ormai alle spalle
Si ha l’impressione che l’Europa consideri la crisi uno scampato pericolo, e la recessione un’ombra ormai alle spalle. In realtà non è così. Si comincia a capire che non verrà mai un momento in cui potremo dire, con un sospiro di sollievo, che finalmente la crisi è finita. Non verrà perché le cause che l’hanno prodotta sono ancora lì, intatte, e in parte inattingibili. Non c’è dubbio che l’Italia possa e debba fare ancora molto per liberarsi di antiche incrostazioni, per combattere la criminalità organizzata e l’illegalità diffusa, per ripristinare la fedeltà fiscale alleggerendo il peso del fisco sugli onesti, per snellire l’amministrazione pubblica combattendo la corruzione, per far funzionare meglio la macchina della giustizia e non lasciare il male impunito, per valorizzare appieno l’immenso patrimonio storico e le sue grandi potenzialità: un’agenda che non coincide con un programma di governo ma con l’impegno di una generazione. L’Italia nel mondo globale è messa meglio di quello che crede. Ciò non toglie che le cause della crisi siano solo in parte legate al nostro storico deficit di competitività. Ogni giorno si afferma una scoperta tecnologica che esalta i laudatori del nuovo che avanza, ma distrugge una categoria tradizionale di lavoratori. Di conseguenza, il lavoro del ceto medio vale sempre di meno. La crisi è nata così: non potendo aumentare i salari, si è moltiplicato il debito. Nuove bolle si stanno ora gonfiando. Trovare lavoro, e quindi sostenere i mutui e le pensioni, è sempre più difficile. Avranno facilmente un impiego e una sicurezza sociale le élites ipertecnologiche e creative, forse anche le masse spesso immigrate dedite ai lavori di cura; in mezzo si apre la terra dell’impoverimento, della precarietà, della paura, alimentata da un sistema pensionistico che sarà forse sostenibile per le casse dello Stato ma non dà alcuna garanzia per la vecchiaia dei cittadini. Siamo abituati a considerare la pensione come uno stipendio appena un poco limato; in realtà le pensioni dei quarantenni di oggi (per non parlare di quelle dei ventenni) saranno a malapena un contributo alla sopravvivenza, che dovrà essere integrato dai risparmi di una vita, dai secondi lavori, dalla cessione del proprio patrimonio a società finanziarie che a differenza dei “piccoli" hanno gli strumenti per metterlo al sicuro dal fisco. Di fronte a questo scenario epocale, che cosa fa l’Europa? Si trincera dietro Mario Draghi, che si conferma l’unica mente politica tra le istituzioni di Bruxelles e Francoforte. Si crogiola nelle buone notizie, sperando che non siano provvisorie: il calo del petrolio, dei tassi, dell’euro. In realtà, l’Europa non sta mettendo a frutto la congiuntura favorevole. Non sta facendo quel piano di investimenti, di lavori pubblici, di agevolazioni fiscali che darebbe fiato all’economia e ai consumi. Si appiattisce sempre più sull’ortodossia monetarista da Anni Ottanta, contraddetta in America per primo da George Bush figlio nella fase finale del suo mandato, e si accuccia ormai docile sotto l’ombrello dell’egemonia tedesca. E prepara così le crisi prossime venture.