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 2015  aprile 29 Mercoledì calendario

PERISCOPIO

L’ultima speranza della minoranza Pd per sconfiggere Renzi è un drone di Obama. Jena.

I cinesi lanciano il Goo Phone X, uno smartphone con tre sim diverse, Moggi ne ha ordinati 15. Il Rompi-spread. MF.

«Riparte Woodcock!». «Evvai!!! Se mi intercetta su delle cazzate, ritorno a galla!». Vignetta di Sergio Staino. ilvenerdì.

Ad Arcore, come in tutti i regimi che crollano, personaggi eccessivi nell’amore ora vivono il sentimento opposto. E dunque Bondi se ne va dal partito denunciando la «miseria politica e morale» del berlusconismo laddove Bianconi (altro amante deluso) sceglie l’invettiva: «Silvio non ci sta più con la testa, pensa solo alle sue aziende, stanno con lui solo gli incapaci e i servi, l’hanno rovinato le donne» (non dice esattamente così, il senso è quello). Un mondo rovesciato, a polarità invertite. Ugo Magri. La Stampa.

Il vero dramma di un genio è essere compreso. Ennio Flaiano. la Repubblica.

Il 25 aprile 1945 ero in Svizzera dall’autunno del ’44, quando ero fuggito di galera scampando alla condanna a morte. Sulle prime, soggiornai a Lugano, ma entrai quasi subito in rotta di collisione col resto dei fuoriusciti italiani, che mi consideravano – chissà perché – una spia. Chiesi alla polizia svizzera di esser trasferito in montagna, a Davos. Lì c’erano i tubercolotici, ma sempre meglio degli italiani. Indro Montanelli (Marco Travaglio), La Voce, marzo 1995, ripresa dal Fatto.

Mario Monicelli voleva far ridere. Era asciutto, secco, diretto. Non a caso non amava Fellini. E non credo che il fattaccio di Boccaccio 70 a Cannes avesse migliorato la situazione. Il Festival aveva selezionato il film, ma aveva preteso dal produttore l’eliminazione dell’episodio di Monicelli. Una cosa inaudita che non so come gli altri registi del film, Visconti, De Sica e Fellini, avessero permesso succedesse senza dire «non veniamo neanche noi». Mario giustamente si incazzò come una iena. Entrò in cabina, bloccò la proiezione, urlò come un pazzo. Ebbe forza e coraggio, lo portarono via gli uscieri, successe un’ira di dio. Pupi Avati. (Malcolm Pagani e Fabrizio Corallo). Il Fatto.

Luciana tratta casa sua come se fosse un cristiano, quasi, da sovralimentare con avori e cartonati, prime edizioni Vallecchi Fratelli Treves Sonzogno, stampa di James Ensor con cornici a giorno come i film di Woody Allen degli anni gloriosi, souvenir che prendono per il culo souvenir, e quadretti originali dell’atelier di Morandi, in via Fondazza, opere prime di amici che già negli anni 70 ripudiavano il Novecento, manichini da sarta, amache dei Caraibi; maschere dal mal d’Africa; e se si rompe un tubo lei strilla ad Antimio di chiamare l’idraulico come se fosse la guardia medica, e, quando quello arriva, lei rimane ad osservare tutto con le mani nei capelli come se la casa avesse un tumore, se le fosse partito un embolo. Daniela Ranieri, Mille esempi di cani smarriti. Ponte alle grazie, 2015.

Poi, dopo la guerra, vennero il benessere, la pillola e le nevrosi e la donna cominciò a cercare il suo equilibrio lavorando fuori di casa, come deputato, medico, dattilografa. Oggi la signora deve tornare ai bucati e ai pavimenti lucidi perché non s’è emancipata solo lei, si è emancipata anche la sua domestica, che non ne vuol sapere di dire sissignora oppure pretende uno stipendio da ingegnere nucleare. Luca Goldoni, È gradito l’abito scuro. Mondadori, 1972.

Alcuni flash d’agenzia: Giovane senzatetto si allontana da casa / Anziano frequentatore della biblioteca comunale stroncato da una overdose di Luciano De Crescenzo / Marito di Zsa Zsa Gabor sorprende la moglie con l’amante e non si sorprende. Amurri & Verde, News. Mondadori, 1984.

La torretta del carro è a soli trecento metri dall’erigendo cortile d’onore del mausoleo di Quota 33. Si potrebbe creare un basamento di pietra con la stessa forma dello scafo M 13, e farne un simbolo, tra le arcate. Ma pesa molto e non ci sono mezzi di sollevamento. Stamane Sillavengo è stato avvertito dal guardiano Gomaa che a 15 chilometri, presso il cimitero inglese, c’è un autocarro munito di travi e paranchi, che carica a trasporta grossi carichi di pietra. Sillavengo corre sul posto e interroga l’autista indigeno che gli risponde in un buon italiano. Sillavengo: «Come ti chiami?». «Miladad Mohammed». «Perché parli italiano così bene?». «Sono tripolino. Caporale di artiglieria con il generale Maletti. Ferito e prigioniero a Sidi Barrani, dopo la morte del generale. Liberato alla fine della guerra, sono rimasto qui e lavoro». Ora è l’autista che interroga: «Lei è il colonnello italiano?», «Sì». «Le occorre qualche cosa?». «Sì». «Io so che cosa. Vuole trasportare la torretta che sta nel campo minato del chilometro 119». «Come lo sai?». «Me l’hanno detto ieri ad Alessandria, al caffè». «Puoi farlo?». «Sì». «Quando?». «Dopodomani mattina». «Ci sono le mine, e i beduini che non lasciano toccare niente». «Non importa. Sono più cattivo io». «La torretta pesa almeno cinque tonnellate». «Col mio paranco ne sollevo dieci». «Quanto vuoi?». Il bravo Milad ha l’aria offesa. «Neanche una piastra. Chiedo una cosa sola: che il cannone e la mitragliatrice, quando lei farà il monumento, siano puntati contro il Cairo». Paolo Caccia Dominioni, Alamein. Longanesi, 1966.

A Roma, avendo abbondanza di papi e di chiese e di mignotte, e soprattutto di lunghe storie di bulli di strada («er più», in fondo, più o meno, è solo un altro modo di dire «er re») e di coatti di quartiere, farsi sovrano è gioco da ragazzi, cosa che viene facile facile, basta una carta dorata da pasticceria e un sopra al Gianicolo, sta come il pischello Di Caprio «re del mondo» a prua del Titanic filmico: glorioso nel vento, e spesso lo stesso destino di affogato sullo sfondo. Stefano Di Michele. Il Foglio.

Io sono nato povero, quindi quando vedo un ragazzo intelligente che è costretto a fare l’operaio anziché studiare da ingegnere m’incazzo, e quando vedo degli imbecilli andare a scuola senza averne voglia e fare i ricchi, i goliardi, m’incazzo ancora di più e divento comunista in assoluto. A parte ciò, l’Italia è un paese gregario e la stessa Lombardia è un paese gregario: non possiamo sognarci di essere indipendenti. Gianni Brera in Gigi Moncalvo, Milano no. Edizioni Elle, 1977.

Vienna. Grande albergo carico di storia e di polvere. Cinque stelle cadenti. Dino Basili, Tagliar corto. Mondadori, 1987.

Ho molti amici fra gli impresari di pompe funebri, che non mi farebbero mai un torto. Roberto Gervaso. Il Messaggero.
Paolo Siepi, ItaliaOggi 29/4/2015