Giovanni Bucchi, ItaliaOggi 28/4/2015, 28 aprile 2015
IL CALIFFATO FA SOLDI COL PORNO
Dall’attività di fundraising alle iniziative di web marketing, passando per l’utilizzo professionale dei social network. Una strategia pensata fin nei dettagli, cucita su misura per i potenziali clienti e studiata per diffondere il proprio brand creando una community di sostenitori. Peccato che non si tratti della nuova campagna promozionale di chissà quale azienda multinazionale.
Chi copia metodi e strumenti del marketing 2.0 mettendoli al servizio della propria aberrante ideologia sono gli jihadisti. Lo racconta Aicha, ventiseienne tunisina laureata in Scienze della comunicazione a Tunisi, arruolatasi nell’Isis per seguire il marito ex calciatore, salvo poi scegliere la strada della diserzione.
Nel libro «La soldatessa del Califfato» scritto dai giornalisti Simone Di Meo e Giuseppe Iannini (Imprimatur editore, 190 pagine, 16 euro), Aicha parla in prima persona raccontando tutto quel che ha visto e vissuto. Lei, giovane muhajirah, ossia guerrigliera di Allah, era entrata nella cosiddetta polizia morale composta da sole donne incaricate del rastrellamento degli infedeli e del controllo dei bordelli per gli jihadisti; le sue mansioni non si fermavano però qui, perché è stata pure la social media manager di circa 200 miliziani, di cui gestiva i profili Facebook e Twitter. Suo marito combatteva con granate e kalashnikov, lei con tastiera e mouse.
Se c’è una cosa che Aicha ha imparato nel periodo in questa esperienza, è quella che «il Califfato ha una religione ufficiale e una segreta, del dio denaro». Dal suo osservatorio privilegiato ha potuto scoprire che le truppe di Al Baghdadi possono contare su «canali di finanziamento che sfuggono anche alla più fervida immaginazione». Ed è proprio su questo fronte che il libro offre un altro spaccato inedito, oltre a quello delle donne arruolate per adescare sul web le aspiranti mogli dei combattenti. Chi l’avrebbe mai detto infatti, che proprio l’Isis guadagnasse risorse da destinare alla sua folle causa «vendendo alla rete della pornografia mondiale i video degli stupri di gruppo commessi sulle povere ragazze yazidi e sulle prigioniere di guerra occidentali».
Aicha riferisce di scene raccapriccianti riprese con telefonini che i guerriglieri si passano di mano in mano prima di abusare della malcapitata, immagini oscene riversate sul web dove «moltissima gente – soprattutto arabi – si collega a quel sito e paga pur di vedere quell’orrore». Basta inserire il codice della carta di credito e cliccare, ed ecco che subito dal fermo immagine si passa al video vero e proprio. «È un commercio top secret, chiaramente – continua Aicha -. Nessuno lo confermerà mai, perché nel Califfato che si ispira alla religione di Allah non c’è spazio per i filmini a luci rosse. Ma per fare la guerra c’è bisogno di tanto denaro. E ogni sistema per accumularlo è legittimo».
Meno redditizia della pornografia violenta smerciata su internet, ma ugualmente praticata dagli uomini dell’Isis, è poi la vendita di reperti archeologici su Ebay. Colonne, anfore, monete, gioielli, monili e supellettili vengono venduti sul noto sito di aste, magari dopo essere stati esportati da quei musei che il Califfato distrugge mandando in mondovisione le immagini di quelle barbarie. Tuttavia questo, spiega Aicha, «è un business che non va molto bene, la gente fa fatica a fidarsi». Difficile infatti convincere un vero collezionista che quel pezzo pregiato sia proprio originale e venga da una zona di guerra come la Siria o l’Iraq.
Altra fonte di finanziamento del Califfato è infine rappresentata dal commercio di esseri umani. A partire dalle ragazze yazidi, con prezzi che vanno dai trenta dollari l’una fino ai cento se «con occhi verdi e dentatura regolare», come le desiderano i miliziani. Nelle città controllate dall’Isis in Siria le si trovano ai bordi delle strade che espongono cartelli dove viene descritta la loro provenienza, le loro caratteristiche e il loro prezzo. Come una merce qualunque. Nella tratta di esseri umani c’è anche il business dei profughi da spedire in Europa, in particolare in Italia. I trafficanti corrompono i combattenti dell’Isis, li pagano per avere dei disperati a cui chiedere soldi per mandarli in nord Africa e da lì caricarli sui famosi barconi della morte.
Giovanni Bucchi, ItaliaOggi 28/4/2015