Tino Oldani, ItaliaOggi 28/4/2015, 28 aprile 2015
I GIGANTI DEL WEB PAGANO APPENA L’UNO PER CENTO DI TASSE, E FINALMENTE ANCHE RENZI SEMBRA DECISO A TASSARE GOOGLE
Chi fa da sé fa per tre. A quanto pare, questo vecchio adagio sembra ormai l’unica regola valida in Europa per tassare con successo i giganti del web. Così, dopo che la Gran Bretagna ha introdotto una tassa del 25% sui profitti delle multinazionali on line realizzati sul suolo britannico, e visto che Francia e Germania sono paralizzate da uno sterile dibattito sul da farsi (con tanti saluti all’asse franco-tedesco, un tempo decisivo su tutto), il governo di Matteo Renzi sembra intenzionato a seguire la stessa strada di Londra nei confronti delle cosiddette società Ott (Over the top), ovvero Google, Apple, Facebook e Amazon, con l’introduzione di un’imposta italiana di nuovo conio sui loro profitti.
Inutile dire che questa tassazione a macchia di leopardo, dove ogni Paese fa per conto suo, rappresenterebbe una sonora sconfitta per l’Ue, che da anni, nonostante le continue promesse dei suoi vertici, non riesce a varare un regime fiscale unico, valido in tutti i 28 Paesi membri, nei confronti delle società multinazionali. Lo stesso Renzi, che un anno fa si mostrava fiducioso circa la capacità dell’Ue di varare una tassazione comune dei colossi del web, tanto da assicurare che il problema si sarebbe risolto durante la sua presidenza del semestre europeo, alla fine sembra avere cambiato opinione.
Per questo, tra i dossier pronti per l’esame del Consiglio dei ministri, secondo un’anticipazione del Corriere della sera, spicca quello predisposto dal sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti che prevede l’introduzione di una ritenuta alla fonte del 25%, operata da banche e intermediari, sui pagamenti a favore delle multinazionali del web con sede all’estero e operanti in Italia. Misura che il governo vorrebbe introdurre entro giugno con il secondo pacchetto dei decreti legislativi per l’attuazione della riforma fiscale.
Se così fosse, si tratterebbe di un vero e proprio uovo di Colombo fiscale, in grado di aggirare il maggiore ostacolo, quello della «stabile organizzazione» che finora ha impedito di intervenire con una giusta tassazione sui profitti realizzati in Italia dai giganti del web. Questi ultimi, infatti, a differenza delle società che dispongono di impianti industriali o commerciali rientranti nella nozione di «stabile organizzazione», operano abitualmente in Italia come società di servizi. Questo comporta che i profitti realizzati sono in capo alle case madri, che di solito hanno sede nei Paesi con un regime fiscale agevolato. Un gioco di scappatoie legali che consente ai giganti del web di fatturare in Italia e di esportare i profitti in Paesi dal fisco più accomodante, come Irlanda, Olanda e Lussemburgo. Secondo alcuni calcoli riferiti dal Corriere della sera, a fronte di un fatturato italiano di 11 miliardi di euro, le società che operano on line hanno pagato all’erario meno di 10 milioni di euro di tasse, vale a dire meno dell’uno per mille. Un giochino fiscale che, su scala mondiale, fa sì che le tasse pagate da queste società non superino in media l’1% del fatturato. Che si tratti di concorrenza sleale nei confronti degli operatori nazionali, emerge in modo chiaro da un’inchiesta di Paolo Pozzi (“I nuovi padroni della pubblicità. La mappa di chi comanda e di chi investe sui media in Italia”), dove Google si piazza al secondo posto, dopo Publitalia e prima della Rai nella classifica dei fatturati pubblicitari sul mercato italiano.
Con i suoi 800 milioni di euro fatturati nel 2012 (saliti a 1.100 milioni nel 2013), Google vale da sola come quattro delle maggiori concessionarie di pubblicità italiane messe insieme: Rcs Pubblicità (476 milioni), Manzoni (403 milioni), Mondadori Pubblicità (141 milioni), 24 Ore System (128 milioni). Ma quanto a tasse, ne paga tuttora assai meno dei concorrenti, visto che la società di Mountain Views ha in corso un contenzioso con la procura di Milano per una presunta evasione fiscale di 800 milioni di euro. Lo stesso discorso vale per Apple, che in base a un’indagine congiunta della procura di Milano e dell’Agenzia delle entrate (vedi Italia Oggi del 26 marzo 2015) avrebbe evaso 990 milioni di euro tra il 2008 e il 2014. Sono invece ancora in corso gli accertamenti fiscali su Facebook e Amazon.
Di fronte a questo scenario, la Commissione Ue si è finora distinta per l’estrema lentezza delle decisioni. Il fatto poi che il nuovo commissario Ue per il digitale, il tedesco Gunther Oettinger, sia per sua ammissione un politico poco esperto del web, sembra favorire ancora di più le multinazionali del settore, dotate di una velocità operativa sconosciuta agli euroburocrati. L’esempio più recente è l’ingresso di Google nella telefonia mobile, che secondo gli esperti porterà a grandi cambiamenti in tutto il mondo. Di colpo, l’intera architettura del roaming europeo potrebbe essere spazzata via dalla tecnologia di Google, con inevitabile riflessi sulle tariffe, ridotte a norme di tipo archeologico. Un “big bang” tremendo anche sul piano dei conti per tutte le società telefoniche. La risposta di Oettinger? Come rivela il Wall Street Journal, non è andata oltre l’idea burocratica di una nuova Authority europea, per tentare di controllare le web company Usa. Una gara impari, purtroppo.
Tino Oldani, ItaliaOggi 28/4/2015