Altroconsumo 4/2015, 28 aprile 2015
BENZINA MA PERCHÉ COSTA TANTO
All’inizio del 2015 i prezzi di benzina e diesel erano scesi di molto, incredibilmente. Dopo solo due mesi, a fine febbraio, sono di nuovo saliti. E di molto. Il costo dei carburanti è così variabile che non si fa in tempo a godere dei cali, che subito arrivano i rincari a toglierci il sorriso. E così abbiamo iniziato l’anno con la benzina intorno a 1,45 euro al litro per arrivare alle porte della primavera con costi che sfiorano 1,70 euro. Schizofrenia del mercato a parte, c’è una cosa – però – che resta sempre immutabile: e cioè che in Italia i prezzi sono sempre più alti che in quasi tutta Europa. Un paradosso tutto tricolore, che da sempre pesa sulle spalle dei guidatori.
Tra i più cari d’Europa
Abbiamo sempre e comunque il costo più alto d’Europa, fatta eccezione per l’Olanda, che ci supera di poco.
Siamo più cari di circa 15 centesimi rispetto alla media europea, oltre 30 rispetto alle economiche Spagna e Austria, dove la benzina costa solo 1,11 euro al litro. La situazione, a ogni rilevazione, è più o meno sempre la stessa ed è la stessa anche per il diesel, anche se i numeri cambiano leggermente.
Tra i fattori che incidono sul prezzo, certo, c’è da considerare il costo della materia prima, il petrolio, che varia in base a domanda e offerta, ma anche a causa di molti altri elementi, come le crisi politiche che spesso coinvolgono le aree in cui viene estratto (come è accaduto con i conflitti in Libia a metà febbraio di quest’anno). Ma il costo del greggio non è l’unico fattore: non si spiegherebbe, altrimenti, perché al tracollo del prezzo dell’oro nero del 2014 non sia corrisposto un calo proporzionale anche dei nostri carburanti, scesi di un po’, ma rimasti sempre tra i più costosi rispetto a quelli degli altri paesi.
Eppure siamo i primi esportatori
Il paradosso assume dell’inverosimile se si pensa che siamo proprio noi i leader in Europa (e noni nel mondo) nella produzione di benzina e diesel, per cui – oltretutto – c’è una richiesta globale crescente: importiamo il greggio, ma poi lo lavoriamo per estrarne derivati da esportare. Negli anni abbiamo perso delle posizioni, è vero, ma abbiamo ancora imprese che hanno una capacità di raffinazione superiore a quella di tutti gli altri cugini europei, distanziando significativamente anche nazioni come Regno Unito e Francia. Normalità vorrebbe che un paese che produce un certo bene e lo vende agli altri abbia poi quel prodotto a costi accettabili dentro i suoi confini: quello che succede con tante altre cose, come i prodotti alimentari made in Italy, che noi generalmente paghiamo meno rispetto a quanto fanno all’estero. E, invece, no. Questa logica non funziona nel caso dei carburanti. Perché? Troppe cose non funzionano nell’ingranaggio dietro i nostri prezzi.
Tassati anche per le guerre del ‘35
Innanzitutto, tasse: sono proprio i soldi che per ogni litro di benzina versiamo allo Stato a pesare più di ogni altra voce. Quanto? Quasi il 70% nei dati riferiti al 2 febbraio, il che vuol dire quasi un euro del costo totale. Si chiama “accisa”, in particolare, il nostro problema (l’altra componente è l’iva) ed è quella che aumenta di volta in volta in base a interventi legislativi che si accumulano nel tempo e fanno lievitare sempre di più il prezzo, senza mai essere eliminati una volta che l’esigenza di fare cassa per un determinato motivo scompare.
Basta vedere cosa compone l’accisa per capire meglio (e farsi anche due amare risate): dunque, paghiamo ancora tasse sulla benzina per – nell’ordine – la guerra di Etiopia del 1935-1936, la crisi di Suez del 1956, il disastro del Vajont del 1963, l’alluvione di Firenze del 1966 e così via fino ad arrivare al rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri nel 2004 o il finanziamento alla cultura nel 2011.
Certo, ci sono anche provvedimenti per emergenze gravi più recenti, come il terremoto dell’Aquila del 2009 e quelli dell’Emilia del 2012. Ma, urgenze a parte, in generale paghiamo l’inefficienza di uno Stato che non riesce ad andare avanti con le tasse – tante – che già versiamo e che fa finta di niente, caricandoci ancora delle componenti che risalgono a esigenze di 80 anni fa. Se si dà un’occhiata alle tasse degli altri Paesi, si nota – anche in questo caso – il nostro triste record: in media, tra metà novembre 2014 e inizio febbraio 2015, abbiamo pagato 1,01 euro di tasse per ogni litro, contro i 69 centesimi pagati in Austria, i 67 della Spagna e gli 87 di media in tutta l’Ue. Il paradosso si ingigantisce ancora, poi, se si pensa che lo Stato – che già attinge dai carburanti tramite l’erario – ha anche il controllo della società leader di mercato Eni, uno dei più grossi gruppi petroliferi a livello mondiale. Insomma, paghiamo la presenza di uno Stato affamato che, sui carburanti, ci mangia due volte.
Anche i prezzi netti sono alti
Anche al netto delle tasse, il costo dei carburanti resta comunque elevato.
Si tratta del cosiddetto prezzo industriale, che in gran parte va alle compagnie petrolifere, mentre le briciole vanno ai distributori: su 46 centesimi totali, solo 3 centesimi finiscono nelle tasche dei gestori delle pompe, sempre più strozzati dalla condizione di debolezza in cui si ritrovano per i contratti di esclusiva con i colossi del petrolio. Anche questo prezzo industriale continua a essere tra i più alti in Europa e a oscillare meno che negli altri Paesi, sempre nonostante il fatto che siamo tra i massimi fornitori globali di carburante.
Vuol dire, in pratica, che le nostre compagnie petrolifere si fanno pagare di più in Italia che negli altri Paesi. Perché? Misteri della fede.
La distribuzione è inefficiente
Una delle ragioni per cui i prezzi industriali sono così elevati è anche la rete di distribuzione italiana, assolutamente inefficiente. Abbiamo una quantità di benzinai esorbitante, come ci dicono i dati dell’Unione Petrolifera: ben 21.800, contro gli 8mila del Regno Unito, gli 11mila della Francia, i 10mila della Spagna e i 14mila della Germania. E il nostro piccolo Stivale non è certo delle dimensioni di questi Paesi. Se si vanno a vedere i dati sulla quantità di benzina che ognuno di questi eroga all’anno, subito si nota che i nostri distributori ne smerciano molto meno: in media 490 metri cubi, in Francia 800 (il doppio), in Germania 1.600 (più del triplo). E così è anche per gran parte delle altre nazioni. Cosa vuol dire? Che ognuno delle migliaia di nostri benzinai vende molto poco: si fanno investimenti pesanti per tante piccole infrastrutture, che poi rendono pochissimo. E questo è il segnale più sintomatico del livello di inefficienza del sistema, ben diverso da quello di Germania o Francia, ad esempio, dove invece ci sono grandi catene molto più redditizie che riescono, quindi, a fare anche prezzi più bassi e ad avere più potere contrattuale con le compagnie petrolifere. Una cosa poco diffusa da noi – e che farebbe abbassare i prezzi – sarebbe poi che i distributori diversificassero, vendendo benzina e non solo: gli ipermercati, infatti, possono fare prezzi migliori, proprio perché possono distribuire guadagni e perdite su una varietà maggiore di prodotti. Certo, al nostro sistema, va riconosciuto che i benzinai sono presenti capillarmente su tutto il territorio. E questo per via di una serie di accordi che lo Stato e gli enti locali hanno fatto con le aziende petrolifere, in modo da garantire la loro presenza anche in aree dove non hanno guadagno. Da un lato può essere positivo, ma in ogni caso non giustifica le differenze spaventose tra la dimensione della rete italiana rispetto a quella delle altre nazioni.
Produttori che vendono anche
Ma le nostre pene non sono finite qui: non bastano le tasse e uno Stato che ci guadagna doppiamente su quello che paghiamo, non bastano i costi industriali alti e la rete distributiva inefficiente.
A condire il tutto ci si mettono anche le compagnie petrolifere “tutto-fare”, che pretendono di gestire dall’estrazione del petrolio alla vendita di carburante al consumatore (come fa Eni con la sua Agip) e finiscono per far male, se non altro la distribuzione, con il risultato che la rete italiana diventa ancora più inefficiente. Eppure, se il sistema fosse virtuoso, la mancanza di passaggi in più tra chi produce e chi vende, dovrebbe portare a prezzi più bassi. E, invece, di nuovo no: per benzina e diesel non funziona così e i prezzi sono alti lo stesso. Insomma è un mercato un po’ “stravagante”, per usare un eufemismo, in cui le compagnie petrolifere fanno un po’ quello che vogliono. Lo dimostra anche il fatto che le pompe bianche, quelle senza marca e purtroppo ancora poco diffuse, possono fare prezzi più bassi. Perché, se la raffineria da cui arriva il carburante è sempre la stessa? Perché Eni rifornisce il suo distributore Agip a un costo superiore rispetto a quello che fa al distributore no logo? Altro paradosso, che rende evidente quanto sia necessario separare la produzione dalla vendita, per far avere a tutti condizioni simili.
Qualcosa si può fare
Gli automobilisti, insomma, pagano da una vita le inefficienze di una classe dirigente senza regole, che non dirige e di uno Stato avvoltoio. C’è davvero poco, per ora, con cui ci si può difendere. Ma teneteci d’occhio perché stiamo lavorando a un nuovo gruppo d’acquisto, “Abbassa la benzina”, con cui finalmente si potrà risparmiare anche sui carburanti: ne parleremo al nostro Festival a Ferrara, il 22, 23 e 24 maggio.