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 2015  aprile 28 Martedì calendario

VORREI TOGLIERE LO SMOKING A MESSI


[Adriano Fracassi]

«Sono figlio di un sarto, nipote di un sarto e pronipote di un sarto. Quando ero piccolo vivevo tutta la giornata in laboratorio e mi addormentavo nascosto tra i rotoli di stoffa. La moda, se permette, ce l’ho nel Dna».
Adriano Fracassi, bresciano, cinque figli – il primogenito Alain, al momento, è stato l’unico a raccogliere il testimone in azienda –, due nipoti, un terzo in arrivo, ha dedicato gli ultimi cinquant’anni al vestire con gusto. «Il punto di partenza è la qualità e l’attenzione al dettaglio».
La capacità di restare fedele al suo punto di vista nonostante i capricci della moda ha contribuito a imporre il maestro Adriano come il seguace della tradizione classica.
Da quando ha cominciato a occuparsi di abbigliamento, è sempre stato convinto che la moda «debba essere interpretata in funzione di uno stile di vita».
Una filosofia che tramanda a tutti i suoi clienti, anche a più illustri, come il concittadino Andrea Pirlo, l’ex milanista Shevchenko e l’amico fraterno José Carreras. Numeri uno sui rispettivi palcoscenici, accomunati da genio ed eleganza. «Fuoriclasse assoluti, anche come per come si vestono: sono umili e ascoltano i consigli»
Come si manifesta secondo lei lo stile?
«Lo stile è buongusto e saper scegliere abbigliamento appropriato per ogni occasione. È la semplicità la vera eleganza. Ogni tanto si può anche osare, ma sempre con sobrietà, un concetto che in Italia ci sta un pò sfuggendo di mano».
In che senso?
«Al giorno d’oggi, i modelli di riferimento per i giovani, per esposizione mediatica, sono i calciatori. Ebbene, in quanto a stile rappresentano la categoria peggiore. Sfoggiano pettinature improbabili, tatuaggi, orecchini, pantaloni con il cavallo rasoterra, magliette kitsch. Un disastro! Basta guardare come vestono i ragazzini che escono da scuola»
Chi rappresenta meglio lo stile che piace a lei?
«Restando in ambito calcistico, l’allenatore dell Inter Mancini. Numero uno per distacco, ma il fatto di essere interista non c’entra niente (sorride, ndr). Cristiano Ronaldo? Bello e impossibile, ma sembra un manichino, troppo finto per i miei gusti. Invece ho visto recentemente Nakata (ex calciatore nipponico con un passato nella Roma e nel Perugia, ndr) alle sfilate di Milano: un esempio di raffinatezza. In generale i giapponesi sono raffinati»
E nello spettacolo, chi è il più trendy secondo lei?
«Ce ne sono diversi: per esempio Vincent Cassel, l’ex signor Bellucci. Leonardo Di Caprio. O Jonny Deep, anche se a volte osa troppo ed è un po’ borderline.... Ai miei tempi vincevano Mastroianni e Vittorio De Sica: uno degli uomini più eleganti del mondo. Un’eleganza che però non esiste più»
Chi sono i suoi stilisti di riferimento?
«Ralph Lauren è il più grande. Quando tanti anni fa valutò quale potesse essere il punto vendita più adeguato e significativo per penetrare sul mercato italiano, scelse il sottoscritto. Poi adoro Paul Smith e la scuola giapponese. A livello sartoriale, la famiglia Attolini di Napoli ha una marcia in più».
In che cosa si differenzia la moda italiana da quella internazionale?
«In Italia c’è tutto. Siamo ancora dei buoni maestri, ci copiano perché il nostro stile rimane un punto di riferimento: dagli abiti scarpe, dai cappelli a tutto il resto. La moda straniera è più ricercata e non per tutti. In Italia c’è tutto»
Come si trova l’ispirazione? «Viaggiando. Io sono un fanatico del vintage, recupero capi di quaranta, cinquant’anni fa. Come per le automobili, sono i dettagli a fare la differenza. Lo stesso vale per i tessuti: in Giappone, dove sono stato anche di recente, ne trovo ogni volta di nuovi, una meraviglia. Un difetto ce l’hanno: sono molto costosi»
È vero che si ispira anche ai film in bianco e nero?
«Certo. Ho visto film ambientati negli anni Trenta in cui i protagonisti indossavano giacche che sarebbero attuali anche ora. La moda é ciclica, prima o poi tutto ritorna. Dieci anni fa vendevo cento pantaloni di fustagno, adesso ne vendo cinque. Tante volte i gusti cambiano senza un perché apparente»
Ma nella moda c’è ancora qualcosa da inventare?
«Sempre. Ogni tessuto è fonte infinita di ispirazione. Anche se poi, come dicono a Firenze, l’omo è omo, e oltre un certo limite non si può andare»
Quale capo di abbigliamento stimola maggiormente la sua creatività?
«Le giacche doppiopetto, di qualsiasi tessuto e colore. Non passano mai di moda. Un uomo nel proprio guardaroba deve avere quattro, cinque camicie di jeans, il giusto compromesso tra casual ed eleganza. Da indossare anche con la cravatta. E poi non può mancare lo smoking, possibilmente non alla Messi (nero a pois, come quello indossato dal fuoriclasse del Barcellona alla consegna del Pallone d’Oro, ndr)».
Gessato o principe di Galles?
«Il gessato va a periodi, adesso non è tanto richiesto. Io lo prefeisco a riga larga. Il Principe di Galles, invece, non tramonta mai, ma va bene solo se abbinato a tessuti inglesi particolari, che danno un effetto che i tessuti normali non offrono» Tinta unita o colori sgargianti?
«Io sono per il colore, purtroppo non viene molto recepito. La vita è già triste di suo, se poi uno si veste di grigio o di nero, è la fine. Ma dipende poi dal lavoro che uno svolge»
Cravatta o papillon?
«A me piace molto anche il papillon, in Giappone, che resta il mio Paese di riferimento, è popolarissimo»
L’abbinamento da evitare.
«La giacca di un vestito con un Pantalone diverso. Trasmette trascuratezza»
I nuovi materiali aiutano a creare meglio?
«Ovviamente, anche se a me piacciono di più quelli vecchi, i tessuti in via di estinzione. Oppure i pullover di Shetland, perché i colori che ha quel tipo di lana non li ha nessun tessuto al mondo. Ma una resa simile la offrono anche l’Harris Tweed, il casentino e il fustagno».
Parola di uno che se ne intende. Perché l’eleganza non si inventa, si indossa.