Marco Bellabarba, Corriere della Sera - La Lettura 26/4/2015, 26 aprile 2015
RIBELLE E SOLITARIA LA SEDICENNE CHE SPOSÒ DUE REGNI
Ci sono persone che non appartengono per intero ai tempi e agli ambienti in cui vissero; uomini o donne immessi a forza in un mondo che non sentivano loro, che hanno provato a comprenderlo e poi alla fine lo hanno rifiutato per un senso di paura o di ribellione. La biografia dell’imperatrice Elisabetta s’inquadra in questo copione. Tutto ha inizio nel 1854 quando la sedicenne principessa bavarese, dopo un breve periodo di fidanzamento, va in sposa al cugino Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria. Il corteo attraversa Vienna con una studiata risonanza pubblica. È un vecchio motivo della propaganda asburgica che i legami di sangue tra la famiglia regnante siano lo specchio, in piccolo, di quelli tra i popoli imperiali. Ma adesso, dopo le scosse rivoluzionarie del 1848-49, quel matrimonio ha un valore simbolico maggiore. Elisabetta trova ad accoglierla un mondo opprimente, dominato dai militari e da una fazione di cattolici ultras di cui tira le fila l’arciduchessa madre Sofia. Francesco Giuseppe, che pure ama la giovane moglie, incarna alla perfezione quest’ambiente. Nell’aspetto metodico e quasi «sonnambulistico» — secondo il suo primo biografo Joseph Redlich — con il quale il ventenne imperatore concepisce l’idea di un potere assoluto come unica possibile risposta alla crisi rivoluzionaria, c’è un tratto del suo carattere a cui rimarrà sempre fedele. Questi umori invadono la vita privata della coppia. Elisabetta adempie ai propri doveri di madre (nascono Sofia, Gisela e finalmente, nel 1858, l’erede maschio Rodolfo), ma la passione dei primi anni si affievolisce ed emergono i primi dissapori, mascherati da lunghi viaggi per motivi di salute. I segnali d’insofferenza non le impediscono, tuttavia, di giocare un ruolo pubblico. Tra 1866 e 1867 l’impero asburgico esce sconfitto nella guerra contro la Prussia e deve arginare le richieste di autonomia avanzate dalle élites ungheresi. Alcuni mesi di febbrili trattative conducono alla ratifica di un compromesso costituzionale che separa le regioni austriache da quelle ungheresi. La Doppelmonarchie , un bizzarro ibrido statale fatto di un impero (l’Austria) e di un regno (l’Ungheria), nasce con una grande festa d’incoronazione alla presenza di Francesco Giuseppe ed Elisabetta. A Budapest tutti sanno che il compromesso, osteggiato dai circoli aristocratici viennesi, deve qualcosa anche agli auspici dell’imperatrice-regina. Durante la cerimonia, la decisione di farsi incoronare assieme al consorte, e non il giorno dopo come voleva la consuetudine, la rende molto più popolare del marito in quelle regioni. Nella passione per l’Ungheria non si fatica a cogliere un indizio di ribellione o forse di solitudine. Si potrebbe dire che Elisabetta incarna — come ha scritto Claudio Magris — l’enigma incoercibile di tante donne della finis Austriae : «Bellissime e inconsciamente crudeli, trascinate all’adulterio da una forza quasi esterna, di cui solo fino a un certo punto sono responsabili». Di fronte a queste inquietudini sta l’imperturbabile silenzio di Francesco Giuseppe, che invece fa del distacco da ogni sentimento individuale una maschera con cui proteggersi dai pericoli; dalle crisi nazionali, dalle minacce del socialismo, anche dalle tragedie familiari a cui deve assistere negli anni. Dopo la fucilazione del fratello Massimiliano in Messico e il suicidio del figlio Rodolfo, arriva la morte di Elisabetta, pugnalata da un anarchico italiano nel 1898 sul lungolago di Ginevra. L’accurata messa in scena simbolica del binomio impero-dinastia si disfa pezzo per pezzo; e quando il 28 giugno 1914 viene ucciso a Sarajevo l’erede al trono Francesco Ferdinando, per il mito della «grande» famiglia asburgica non ci sono davvero più speranze.