Riccardo Bruno, Corriere della Sera 26/4/2015, 26 aprile 2015
CINQUANTA SFUMATURE DI GIALLO IL REBUS DEI TEMPI PER I SEMAFORI PEDONALI REGOLE VECCHIE DI 23 ANNI CHE NESSUNO CONOSCE I TECNICI: È PIÙ SICURO IL CONTO ALLA ROVESCIA
A Genova li stanno mettendo a posto in queste settimane. Nei semafori pedonali il «giallo» viene allungato, per evitare che ci si ritrovi in mezzo alla strada quando le auto schizzano con il verde. «Serve a tutelare soprattutto gli utenti più deboli, anziani o mamme con passeggini» spiega Anna Maria Dagnino, assessore cittadina alla Mobilità. E ammette: «È un adeguamento graduale, per finire ci mancano ancora due semafori».
La regola, che impone di calcolare mediamente un secondo per ogni metro da percorrere, per la verità non è nuovissima. È stata prevista nel 1992 — ben 23 anni fa — dal regolamento del Codice della strada che chiedeva di armonizzare al più presto tutti gli impianti. Evidentemente non è andata così. Genova non è stata la più lesta ma purtroppo non è neanche l’ultima. Leggi applicate a rilento, ma soprattutto sconosciute.
«Si fa troppo poco per informare i cittadini — osserva Marco Pollastri del Centro Antartide, promotore della campagna “Siamo tutti pedoni” —. Non può bastare l’introduzione della norma se poi non si attivano le leve culturali. Pensate a un anziano che ha preso la patente cinquant’anni fa e a cui nessuno ha fatto un aggiornamento. Molti non sanno cosa fare in una rotatoria o, appunto, di fronte a un semaforo pedonale».
Di fatto, se il giallo si allunga — visto che le auto non si possono tenere ferme troppo, altrimenti si intasano le città — è il verde che si accorcia: spesso dura pochi secondi, giusto il tempo per segnalare che la strada è libera e si può passare. Insomma, si attraversa con il giallo e non più con il verde. Una rivoluzione, ma chi non lo sa (la maggioranza) entra nel panico, si ritrova in mezzo alla carreggiata e non sa se andare avanti o tornare indietro.
«È una regola che non mi piace e che non garantisce la sicurezza del pedone». L’ingenere Enrico Pagliari, coordinatore dell’area tecnica dell’Aci e membro dell’Aiit (l’Associazione per l’ingegneria del traffico e dei trasporti) non ha dubbi: «Intanto induce confusione, io stesso la prima volta me la sono fatta spiegare. E poi, il calcolo di un metro al secondo va bene per una persona normodotata che nemmeno si distrae, non per chi ha un passeggino o i pacchi della spesa».
Proprio Aci e Aiit hanno proposto formule diverse: semafori con solo due colori, il verde e il rosso scanditi da un conto alla rovescia in secondi; e una stima della «velocità» del pedone più bassa del 25% per cento, 0,75 metri al secondo. «Nessuna invenzione. È quello che si fa in altre nazioni, come negli Stati Uniti o in Nuova Zelanda».
Soluzione che non convince Antonio Pratelli, docente all’Università di Pisa del corso di Tecnica del traffico. «In fase di progettazione — spiega — si tiene in considerazione in genere l’85% della popolazione, c’è sempre una coda che resta fuori. Non ha senso progettare un semaforo per la persona più lenta, oppure una strada a otto corsie in base al traffico del Lunedì di Pasqua».
Sicuramente non è affare semplice individuare i giusti tempi di un semaforo, e lo sanno bene i sindaci subissati da valanghe di proteste. «Se il verde pedonale è troppo lungo, l’automobilista che si ferma e non vede attraversare nessuno, il giorno dopo passerà con il rosso. E questo deve essere assolutamente evitato, la sicurezza viene prima di tutto» aggiunge il professor Pratelli.
Le cifre sono drammatiche: il 42% dei morti in città per incidenti stradali sono pedoni o ciclisti; un pedone su tre perde la vita mentre attraversa sulle strisce (lì dove si sente più sicuro e abbassa l’attenzione), oltre il 50% delle vittime ha più di 65 anni. In dieci anni, oltre 7.000 morti e 200.000 mila feriti.
Non è dunque una banale questione cromatica, la durata e l’efficacia di un semaforo servono a misurare la vivibilità dei nostri centri, il grado di civiltà di una società. «Le nostre città sono delle giungle — riflette Angela Cattaneo, docente di Sociologia della sicurezza sociale alla Sapienza —. E gli attori sociali (pedoni, ciclisti e automobilisti) si fanno la guerra vestendo di volta in volta i ruoli di vittima o di carnefice».
Certo che regole poco chiare e male applicate non aiutano. «Il semaforo viene installato e abbandonato — conclude il professor Pratelli —. Dopo vent’anni a volte tutto è cambiato, magari attorno è nato un quartiere, ma lui funziona sempre allo stesso modo».