Marco Malvaldi, Corriere della Sera 27/4/2015, 27 aprile 2015
Anche il concetto di aggiornamento, talvolta, si deve arrendere alla tradizione. Se ne sono resi conto gli sviluppatori di Windows, il sistema operativo di Microsoft, i quali hanno deciso di reintegrare nella prossima uscita (pardon, si dice release ) del suddetto una applicazione che era stata eliminata nella versione precedente
Anche il concetto di aggiornamento, talvolta, si deve arrendere alla tradizione. Se ne sono resi conto gli sviluppatori di Windows, il sistema operativo di Microsoft, i quali hanno deciso di reintegrare nella prossima uscita (pardon, si dice release ) del suddetto una applicazione che era stata eliminata nella versione precedente. Si parla nientepopodimenochè del solitario. Esatto, il solitario al computer: fedele compagno di impiegati annoiati, di commercialisti che prolungano di dieci innocenti minuti la pausa pranzo, di professori nella quieta solitudine del loro studiolo, finalmente senza studenti. I quali, presumibilmente, stanno giocando a campo minato. La banalità del solitario con le carte ha attraversato spesso la Storia con la S maiuscola: Napoleone, tanto per fare un esempio, aveva come rito quello della partitina in compagnia del solo mazzo, prima di andare in battaglia. Entrambe battaglie contro il destino, in un certo senso, perché così come un generale da solo non può controllare tutte le variabili che possono decidere le sorti di uno scontro, allo stesso modo uno che gioca al solitario non può essere certo di completarlo, anche scartando e disponendo in modo teoricamente perfetto. A seconda di come è messo il mazzo, non c’è niente da fare: il solitario non verrà. Anzi, l’impressione è che i fallimenti siano molto più probabili che non il contrario. E questo fa accettare molto più facilmente la sconfitta. Perché, in fondo, non sapremo mai se l’ordine delle carte che la sorte ci ha dato come punto di partenza ci avrebbe dato la possibilità di arrivare fino in fondo. Curiosamente, la stessa domanda se la pose Stan Ulam, uno dei matematici a capo del progetto Manhattan (che durante la Seconda guerra mondiale portò a produrre le prime bombe atomiche): e il modo in cui giunse alla risposta rappresenta proprio uno degli incontri con la Storia di cui si diceva poco prima. Ulam si chiese infatti con che probabilità un mazzo mescolato a caso permettesse di vincere. Un calcolo numerico rigoroso era fuori questione; le combinazioni possibili erano circa 10 elevato alla sessantaquattresima potenza, parecchio al di là delle capacità di calcolo del vecchio Stan. Ma, ragionò Ulam, non c’è nessun bisogno di calcolare tutte le combinazioni possibili: forse, se faccio una specie di sondaggio a campione, potrebbe bastare. Mescolo il mazzo un certo numero di volte, poi per ogni mescolata faccio un certo numero di partite (mettiamo un centinaio) giocando completamente a caso, e vedo ogni quante volte mi riesce il solitario. Questo mi dovrebbe dare una stima approssimata della probabilità effettiva che il solitario avrebbe di riuscire. Da questa intuizione nascerà il metodo Monte Carlo, che permetterà di utilizzare i primi, rudimentali elaboratori elettronici per svolgere i complessi calcoli che porteranno alla nascita della bomba atomica. E, per fortuna del genere umano, anche a tanti altri risultati. L’improbabilità della riuscita, ad ogni modo, fa sì che il solitario si presti benissimo come rituale portafortuna. Conosco una persona, infatti, il cui zio fa un solitario prima della partita dell’Italia, asserendo che se il solitario riesce la Nazionale vince. Non crediate che l’indicativo presente sia un errore di italiano: le convinzioni scaramantiche e i riti propiziatori sono convinzioni di validità assoluta e biunivoca, che non ammettono il dubbio del condizionale o l’incertezza del futuro. Non solo, quindi, se mi riesce il solitario la Nazionale vince: ma se vince è merito anche mio, che ho fatto il solitario ottantasette volte adducendo scuse sempre diverse per la mancata riuscita, finché non è andato tutto come doveva. Il solitario con le carte è sempre, e da sempre, un passatempo. Un modo per far scorrere un intervallo della giornata del quale faremmo volentieri a meno, che siano gli ultimi minuti prima della battaglia o il momento in cui bisognerebbe tornare a lavorare. Un tempo lo facevamo con carte reali, ora lo facciamo al computer, ma la sostanza non cambia: ci sono momenti in cui faremmo qualsiasi cosa, pur di riuscire a non fare nulla. E a non pensare a nulla, che è ancora più difficile. Chiedere ad Ulam, che è riuscito a fare scienza anche mentre faceva un solitario.