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 2015  aprile 26 Domenica calendario

LIBRO IN GOCCE NUMERO 36

(Possa il mio sangue servire)

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CLEONICE «MORTA DA ITALIANA» –
Babbo. «Babbo adorato, il tuo unico figlio si allontana da te. Non perderti d’animo e accetta quest’ultimo volere di Dio. Ti raccomando la mamma: anche per lei devi essere forte. Muoio con la grazia di Dio e con tutti i conforti della nostra religione. Nel momento supremo Tu sarai nei mio cuore e sul mio labbro. Arrivederci, Babbo, ti stringo a me nel virile abbraccio degli uomini forti e chiedo la tua benedizione. Babbo adorato, se la mia vita fu serena e facile io lo devo a Te, che mi hai guidato col tuo amore, col tuo lavoro, col tuo esempio. Possa il mio sangue servire per ricostruire l’unità italiana e per riportare la nostra terra a essere onorata e stimata nel mondo intero. Prego i miei di non voler portare il lutto per la mia morte; quando si è dato un figlio alla Patria, comunque esso venga offerto, non lo si deve ricordare col segno della sventura. Con la coscienza sicura d’aver sempre voluto servire il mio Paese con lealtà e onore, mi presento davanti al plotone d’esecuzione col cuore assolutamente tranquillo e a testa alta. Possa il mio grido di “Viva l’Italia libera” sovrastare e smorzare il crepitio dei moschetti che mi daranno la morte; per il bene e per l’avvenire della nostra Patria e della nostra Bandiera, per le quali muoio felice». (Franco Balbis, Torino, 5 aprile 1944).
Balbis. Franco Balbis, ufficiale di carriera dell’esercito, decorato con una medaglia d’argento, una di bronzo, e la croce di guerra di prima classe, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 non aveva esitato a restare fedele al giuramento fatto al Re ed era rimasto al suo posto, combattendo i tedeschi. I fascisti lo presero il 31 marzo del 1944 assieme ad altri otto resistenti: tutti fucilati il 5 aprile.
8 settembre. «Era dunque l’8 settembre 1943, quando improvvisamente la radio comunicò che tutto era finito. Tanto è vero che la mattina seguente io mi ritrovai puntualmente in caserma, ma tutelato da un corpo di guardia affatto diverso da quello solito, sia come divisa sia come armamento, e sia – disgraziatamente – come nazionalità… In altre parole: i tedeschi ci avevano catturato» (Giovanni Guareschi).
Soldati. Soldati italiani fatti prigionieri all’indomani dell’armistizio: 810mila. Di questi 94mila decisero di schierarsi con Salò. Altri 103mila seguirono in seguito alle pressioni dei reclutatori fascisti nei campi. La grande maggioranza, 615.812, scelse invece di patire le sofferenze della prigionia piuttosto che schierarsi al fianco dei nazisti.
Morti. Soldati italiani morti di inedia, di malattia o per le violenze subite nei campi tedeschi: 50mila. «Decine di migliaia di tubercolotici, di mutilati, di giovani piagati per sempre nel corpo, infinite croci disseminate sul suolo tedesco rendono testimonianza della ineguale lotta sostenuta dai militari italiani, piegati nel corpo, ma vittoriosi nello spirito» (Beniamino Andreatta).
Neanche. «Non muoio neanche se mi ammazzano» (Giovannino Guareschi, deportato e internato prima in Polonia e poi in Germania)
Carabinieri. Nella lotta di Liberazione morirono 2.735 carabinieri, 6.521 rimasero feriti.
Fuoco. La storia del carabiniere Filippo Bonavitacola, messo a morte, cui viene ordinato di staccarsi gli alamari e di calpestarli. Lui rifiuta e quando si avvicina l’ufficiale tedesco per bendarlo, lo stende con un pugno; poi si sbottona la giubba e comanda lui stesso il fuoco.
Coraggio. Cleonice Tomassetti, penultima di sei fratelli, nata a Petrella Salto il 4 novembre del 1911, catturata nel 1944 mentre cerca di raggiungere i partigiani in Val Grande e rinchiusa insieme a decine di altri compagni nel carcere di Torino, picchiata e torturata, incassa i colpi senza emettere un grido e anzi, fa coraggio agli altri giovani. Quando i tedeschi la prelevano per fucilarla, si alza in piedi e dice ai condannati: «Su, coraggio, ragazzi, è giunto il plotone d’esecuzione. Niente paura. Ricordatevi che è meglio morire da italiani che vivere da spie, da servitori dei tedeschi».
Giorgio Dell’Arti, Domenicale – Il Sole 24 Ore 26/4/2015