Arianna Finos, la Repubblica 26/4/2015, 26 aprile 2015
È IL DIVO MANSUETO
Liam Neeson attraversa gli anni e i dolori conservando quell’aria da gigante malinconico, il fisico massiccio e lo sguardo indifeso, che lo rende uno dei pochi attori per cui il pubblico prova un affetto sincero. «A tredici anni superavo già il metro e novanta, ma tutto nella vita è relativo. Quando feci il provino per La storia fantastica di Rob Reiner nel ruolo del gigante, la signora del casting mi fece entrare nell’ufficio del regista e lui, mentre ero ancora sulla porta, si mise a urlare con l’aria disgustata: “Vi avevo chiesto un gigante. E questo cos’è? Tu cosa sei?”. Fu un momento penoso, la peggiore audizione della mia vita. Ero imbarazzato anche per la povera signora che mi aveva proposto». Era il 1987 e l’attore irlandese aveva trentacinque anni. Aveva già girato Excalibur, di lì a poco sarebbe partito per il set di Mission con Martin Scorsese. Al cinema era una faccia nota, ma ancora senza nome, che cominciava a affacciarsi in una serie di film. Era ancora lontano il successo popolare di Darkman e soprattutto l’Oscar con Schindler’s list.
L’infanzia povera nella cittadina protestante di Ballymena — cinquanta chilometri da Belfast, madre cuoca e padre bidello in una scuola cattolica —, la lunga gavetta, hanno regalato all’attore un’umiltà sostanziale. Come Harrison Ford e Sean Connery, Neeson ha conosciuto il lavoro duro: è stato camionista e operaio alla Guinness. Il primo sogno di gloria è stato quello sul ring: c’è salito a nove anni, militando nel club parrocchiale. Naso rotto a quindici, ma il ragazzo picchiava duro e incassava bene. Durante un incontro, ne prende così tante che non sente il rumore del gong: «Mi portò via mio padre dicendomi “non hai abbastanza cattiveria per diventare un campione, ti manca l’istinto omicida”». Non è un caso che quelle stesse parole le pronunci il personaggio del suo ultimo film, Run all night- Una notte per sopravvivere ( nelle sale italiane da giovedì prossimo). Stavolta Neeson (che ha collaborato alla sceneggiatura) è il padre che spiana la verità al figlio, ex pugile che addestra i ragazzini. Nel thriller adrenalinico l’irlandese interpreta un ex sicario della mala di New York diviso tra la lealtà al boss fraterno (Ed Harris) e l’amore per un figlio che gli è estraneo, ma che rischia la vita. «È una storia di paternità che mi ha coinvolto nel profondo: anch’io ho figli di vent’anni che si ritrovano a scegliere quale percorso della vita intraprendere. Non posso nemmeno immaginare di perdere il loro amore o la loro fiducia e capisco che un padre sia disposto a fare qualunque cosa per recuperarli. Io cerco di trascorrere con i miei figli più tempo possibile, adoro portarli allo stadio. Le sceneggiature ambientate a New York le leggo con un interesse aggiunto: è bello poter tornare la sera dai miei ragazzi».
Neeson si racconta seduto nel patio di un elegante hotel di Madrid. È vestito in giacca e cravatta e sembra più sereno rispetto a tre anni fa, la saga era Taken, quando si presentava agli incontri in tuta da ginnastica e un’espressione smarrita. Il tempo, una nuova compagna e i figli lo hanno aiutato a superare il dolore per la perdita della moglie Natasha Richardson, cinque anni fa, un incidente sugli sci. Al tempo raccontava che «tenere occupato il corpo con gli allenamenti aiuta la mente a non pensare». Da allora, di nuovo, tirare pugni, attività che «mi fa sentire a fine giornata di essermi guadagnato la paga», è diventato la valvola di sicurezza. E l’occasione per una inedita svolta di carriera, nell’azione. Dopo che la serie di Taken, trilogia a basso costo su un ex agente in cerca di una eclatante vendetta, ha fatto il pieno di incassi nel mondo, si è creato un vero e proprio sottogenere che Hollywood ha battezzato “ geriaction”, il film d’azione geriatrica. La schiera di picchiatori attempati annovera ormai attori come Kevin Costner, Pierce Brosnan, Keanu Reeves e perfino Sean Penn. Tutti impegnati in un crescendo di acrobazie spericolate.
In quest’ultimo Run all night Una notte per sopravvivere, Liam salta dai tetti, lotta tra le fiamme, combatte a mani nude, spara e soprattutto, come suggerisce il titolo, corre. «Incredibili le prodezze che esibisco, vero? Diciamo che siamo al limite dell’autoironia. L’ho pensato spesso, mentre giravo. Sul set, ogni volta che finiva l’azione e il regista gridava “cut”, scoppiavo a ridere. Ovviamente gran parte delle acrobazie sono della controfigura, Mike, amico e alter ego da sedici anni. Ma anch’io ci metto il mio. Mi diverto ancora a combattere come quand’ero ragazzino. Anche se, a sessantadue anni, non so quanto potrò farlo ancora. Le ginocchia tengono, ma se dovessi intuire che il pubblico si sta stancando sono pronto a buttarmi nei ruoli di zio o nonno».
Dopo aver lasciato il pugilato e prima di imboccare la strada del palcoscenico, Liam Neeson aveva insegnato per un periodo in una scuola, attività poi abbandonata per la difficoltà di «gestire queste ragazzine quattordicenni che flirtavano impunemente solo per avere un buon voto». Facendo l’attore, le cose sono migliorate. Neeson, tre sorelle, ha collezionato fidanzate very important in serie. Helen Mirren, conosciuta sul set di Excalibur, che gli ha fatto conoscere gli ambienti giusti e i salotti buoni, poi Julia Roberts, che ha aiutato a far carriera e che lo ha lasciato mentre spiccava il volo con Pretty Woman. La donna della sua vita è arrivata dopo. Natasha Richardson: bella, colta, intellettuale. Figlia di Vanessa Redgrave e membro della potente dinastia di attori e cineasti. Vincendone le resistenze, portò Neeson sul palco di Broadway nel ruolo del marinaio Mat Burke in Anna Christie. Fu un grande successo e ad applaudire tra gli spettatori in platea, era il 1992, c’era Steven Spielberg. Neeson aveva fatto qualche mese prima un’audizione per un film sull’olocausto. Ma fu quella performance sul palco che convinse Spielberg ad affidargli il ruolo di Oskar Schindler.
Arrivarono il matrimonio, i due figli e una felice monogamia. Che comunque è nel dna cattolico del regista, cresciuto in una cittadina ad alta intensità protestante. Oggi l’irlandese probo parla con entusiasmo di papa Francesco «Penso sia davvero una persona buona e perbene. Mi piace la scossa positiva che ha dato alla Chiesa e la sua genuina voglia di fare chiarezza su alcuni capitoli. E mi piace il fatto che sia un gesuita, ammiro la loro storia di insegnamento. Il pontefice è un uomo semplice». Il gigante buono trasuda forza e spiritualità, caratteristiche che lo hanno reso credibile in ruoli eroici pescati dalla storia, Michael Collins, Rob Roy e Schindler, o dall’immaginazione: George Lucas lo ha voluto nel ruolo del cavaliere Jedi mentore di Obi Wan Kenobi nella seconda trilogia di Guerre stellari. Oggi è in partenza per un set lontano, quello giapponese di Silence, a firma Martin Scorsese. Nel film tratto dal romanzo di Shusaku Endu e ambientato nel Giappone del 1600, Neeson interpreta l’indomito gesuita padre Cristobao Ferreira: «Un uomo impegnato in un conflitto spirituale profondo. Avevo voglia di smettere di menar le mani, almeno per un po’. E sono anche contento di lavorare ancora con Martin ». L’ultima volta era stato per Gangs of New York, girato a Cinecittà. «Le riprese agli studios romani sono stati i giorni più belli della mia vita di cinefilo. Adoravo andare in giro fin dal mattino presto per quei vialetti. Consideravo un privilegio visitare quei set e pensare che Marcello Mastroianni e Federico Fellini avevano attraversato tante volte quei cancelli, proprio come stavo facendo io. Mi sono molto emozionato due anni fa, quando sono tornato a girare in Italia Third Person di Paul Haggis e ho scoperto con stupore e meraviglia che le scenografie di Gangs of New York erano ancora lì. Mi ci sono ritrovato di fronte ed è stato amarcord: quattordici anni dopo, quel set era ancora lì, in piedi, in tutto il suo splendore. Un pezzo di cinema che resta, e con lui un pochettino anch’io».