Andrea Tarquini, la Repubblica 26/4/2015, 26 aprile 2015
NAZIONALE - 26
aprile 2015
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ECONOMIA
L’amaro congedo di Kaiser Ferdinand il nipote di Porsche che ha creato un colosso
ANDREA TARQUINI
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BERLINO .
«Il mio modello non sono né grandi gruppi giapponesi o usa né l’impero britannico, bensì l’impero ottomano: forte direzione centrale, e tante lingue e simboli e marchi. Così porterò Volkswagen al primo posto nel mondo». Ferdinand Piech amava ripetere queste parole a chi lo intervistava nella sede di Wolfsburg. Volto lieto e insieme visionario, gli occhi azzurri volti verso l’alto sembrava abbandonarsi a un sogno. Lui, il nipote prediletto del leggendario ingegner Ferdinand Porsche, aveva salvato la Volkswagen da un declino da carrozzone assistito. E l’aveva governata appunto come un sultano della Sublime Porta: oggi promuovo qualcuno, domani lo caccio. Adesso, tocca a lui.
Finisce così, nel modo più inglorioso e meno dignitoso possibile, l’era di Kaiser Ferdinand sui cui domini impianti e fabbriche, dal Nordamerica alla Cina, non tramontava mai il sole. Chi sa se mai lui nato a Vienna il 17 aprile 1937, poco prima dell’annessione hitleriana dell’Austria, si sarebbe immaginato un autunno del patriarca senza onore delle armi. Fu cresciuto dalla famiglia, e volle crescere lui stesso, come successore per l’eternità. Storica è la foto in cui l’ingegner Ferdinand Porsche – sì, proprio lui, l’inventore del Maggiolino, della Porsche, poi responsabile della produzione di Panzer per le guerre naziste – sorridendo mostrava al piccolo Ferdinand un modello di Porsche spider. Nessuno può fermarmi, sicuramente Piech cominciò allora a pensarlo.
Plurilaureato, ingegnere perfezionista, cominciò la carriera alla Audi, che trasformò da produttore di “auto del medico di campagna” in premium brand che oggi sfida Bmw e Mercedes. Alla Volkswagen arrivò nel gennaio 1993. Il colosso tedesco stava crollando, lui lo salvò in due modi: accordo col sindacato (lavorare meno, guadagnare meno, lavorare tutti) e campagna acquisti d’un marchio dopo l’altro. Porsche prima di tutto, che lui conquistò sfidando il cugino Wolfgang e gli altri della branca rivale del casato. Poi Bentley e Lamborghini, Skoda, Seat e Bugatti, Scania e Man per gli autotreni, Ducati nelle moto, e tutto. Fu sua anche l’idea di sfondare in Cina, il mercato che oggi salva il gruppo Volkswagen dagli insuccessi negli Usa.
Un impero su cui non tramonta mai il sole, ma con problemi di senescenza, proprio come quello ottomano: troppo bassa rispetto a Bmw e Mercedes è la rendita per auto venduta, troppo alti i costi di produzione. Uno dopo l’altro, Piech ha chiamato a sé amministratori delegati di grande rating, li ha messi alla prova ma prendendo sempre lui le grandi scelte strategiche. E per ogni errore pagava poi l’ad da lui cacciato con un sorriso voluttuoso. Andò così a Bernd Pieschetsrieder, ex numero uno di Bmw. Stava per andare così a Martin Winterkorn, Kaiser Ferdinand avrebbe volentieri promosso la moglie Ursula o un suo fedele yes-man. Invece no: la Goetterdaemmerung, il crepuscolo degli dèi wagneriano, adesso ha travolto lui. Chi crede di vincere sempre alla fine cade nella polvere. Addio Ferdinand: la Volkswagen inventata dal nonno di cui eri nipote prediletto non ti considera più indispendabile.
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