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 2015  aprile 25 Sabato calendario

APPUNTI EXPO PER IL FOGLIO DEI FOGLI


È passato più di un secolo da quando Milano ospitò un’Esposizione Universale. Era il 1906 e il tema allora scelto fu quello dei trasporti. Dal 1° maggio al 31 ottobre 2015, l’Expo di Milano metterà al centro il tema «Nutrire il pianeta, energia per la vita».
Il grande evento a cui tutto il paese guarda con grande speranza per il rilancio dell’economia è il frutto del lavoro congiunto di numerosi attori, istituzionali e privati, avviato molti anni fa e sfociato nell’aggiudicazione, nel 2008, dell’edizione 2015, in mezzo alle expo ospitate da due Paesi emergenti (e per questo tanto più significativa): l’Expo 2010 di Shanghai e quella che si terrà a Dubai nel 2020.
L’Expo è un’Esposizione Universale di natura non commerciale, organizzata dalla nazione che ha vinto una gara di candidatura e prevede la partecipazione di altre nazioni invitate tramite canali diplomatici dal Paese ospitante. La prima Expo si tenne a Londra nel 1851 e da allora ogni cinque anni si tiene un’edizione dedicata a un tema di interesse universale. Lo scopo di questi eventi è mettere a confronto conoscenze e sperimentazioni sul tema protagonista, esponendo le novità tecnologiche e gli scenari di sviluppo in materia.
L’edizione 2015, che vedrà la partecipazione di circa 140 soggetti per 130 Paesi e 10 regioni internazionali (ma la lista è ancora «in progress»), si terrà in un’area nel settore nord-ovest di Milano e occuperà una superficie di circa 1,1 milioni di metri quadrati, comprendente parte del territorio della città di Rho. Il sito espositivo prevede la distribuzione dei Paesi in cinque «aree bioclimatiche» e sei aree tematiche.
L’evento rappresenta per l’Italia una grande opportunità economica: sono attesi 21 milioni di visitatori (di cui circa il 30% stranieri) e investimenti complessivi per 11,8 miliardi (a livello urbano e regionale) e 1,7 miliardi per il sito espositivo. Si prevedono benefici economici sul territorio per oltre 34 miliardi.

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EXPO PER SETTE -
Dal 1 maggio al 31 ottobre a Milano l’Esposizione universale intitolata “Nutrire il pianeta / Energia per la vita”.

Il Bie (Bureau international des expositions) è l’organizzazione internazionale fondata nel 1928 composta da 168 Stati membri che ha il compito di definire regole e calendario delle Esposizioni.

In base al protocollo firmato nel 1988 ed entrato in vigore nel 1996, esistono due tipi di Expo: universale (ogni 5 anni, dura almeno 6 mesi, con tema generale, partecipanti che costruiscono da soli i propri padiglioni e senza limiti di dimensioni per l’area del sito espositivo); internazionale (tra due expo universali, durata massima di 3 mesi, con tema specializzato, area espositiva massima di 25 ettari e padiglioni costruiti dagli organizzatori, che li affittano ai partecipanti).

La prima Esposizione universale in Italia fu nel 1906, a Milano, in omaggio al Traforo del Sempione. Doveva originariamente svolgersi nel 1905, data prevista per la fine dei lavori del Traforo: dati i ritardi nella conclusione del tunnel, l’Expo fu posticipata all’anno successivo. Dal 28 aprile all’11 novembre il Castello Sforzesco ospitò la fiera. Furono investiti 13 milioni di lire per realizzare 225 costruzioni, che ospitarono 5 milioni di persone provenienti da 40 Paesi espositori.

Il sito di Expo 2015 si estende su un’area di circa 1 milione di metri quadrati situata a Nord-Ovest di Milano. Previsti 200 metri quadrati di spazi verdi e 12.000 alberi all’interno dell’area. Spazi espositivi: 130mila metri quadrati. Metri quadrati riservati a Palazzo Italia (edificio 50x50 a quattro piani): 12mila.

Partecipanti: 144 Paesi, 3 organizzazioni mondali (Onu, Unione europea, Cern).

Nel cantiere stanno lavorando 1.300 operai e 4.000 maestranze.

Visitatori attesi: 20 milioni. Di cui il 70% italiano.

Indotto: nel periodo 2012-2020 si stima che i settori maggiormente interessati dall’impatto economico dell’Expo saranno l’industria (circa 6 miliardi di euro), i servizi alle imprese (4,8 miliardi), il turismo e la ristorazione (3,9 miliardi).

Soldi: 575 milioni di euro è l’importo appaltato a ottobre 2014. Investimenti effettuati da parte dei Paesi partecipanti: un miliardo. Oltre 350 milioni di euro è il valore complessivo delle partnership stipulate con aziende nazionali e internazionali.

Expo universale precedente: nel 2010 a Shangai (con 73 milioni di visitatori, il record). Il tema era “Better city, better life”. Investimenti per 28,6 milioni di yuan (4,3 miliardi di dollari). Expo universale successiva: nel 2020 a Dubai. Tema: “Connettere le menti, creare il futuro”.

Parigi è la città che ha ospitato più Esposizioni: 1855, 1867, 1878, 1889 e 1900.

Gli Stati Uniti ne hanno ospitate 7 (tra il 1876 e il 1962).

La prima esposizione universale riconosciuta dal Bie è quella del 1851, a Londra. Si chiamava Great Exhibition of the Works of Industry of all Nations. Per ospitarla fu costruito il Crystal Palace, un enorme palazzo di vetro e acciaio in grado di ospitare 14.000 espositori. All’interno erano alberi e statue, la facciata principale ispirata a una foglia di ninfea. Fu distrutto in un incendio, nel 1936.

Con il ricavato dalla vendita dei biglietti dell’Esposizione di Londra fu costruito il Museo di Storia Naturale di e acquistato il terreno per la costruzione del Victoria and Albert Museum.

Invenzioni presentate all’Expo 1855 a Parigi: una macchina capace di fare 2.000 tazze di caffè l’ora, una macchina tagliaerba, una lavatrice, il revolver a sei colpi, le macchine da cucire della Singer, una bambola parlante, il pendolo di Foucault, il primo sassofono eccetera.

All’expo 1876 di Philadelphia Alexandre Graham Bell ottenne la medaglia d’oro dal Comitato dei Premi Elettrici per il telefono da poco brevettato. Provando l’aggeggio, l’imperatore del Brasile Don Pedro II gridò: «O mio Dio, ma parla!».

All’Expo di Parigi del 1878 in mostra una sorta di zoo con persone provenienti da Africa, Asia e Americhe. L’intento era sponsorizzare i progetti coloniali delle nazioni occidentali.

Nel 1878 Augustin Mouchot fu premiato per esser riuscito a produrre ghiaccio utilizzando un macchinario a energia solare.

Inaugurata il 3 marzo 1889, dopo 26 mesi e cinque giorni di lavoro, la torre Eiffel fu commissionata all’ingegnere Gustave Eiffel per l’Esposizione Universale di Parigi del 1889. La costruzione, che doveva celebrare anche il centenario della Rivoluzione francese, pesava in origine 7.300 tonnellate, mille in più del suo peso attuale (nel 1982 sono state asportate alcune parti). Si compone di 18.038 pezzi metallici tenuti insieme da 2.500.000 bulloni. Dal primo gennaio 2000, la torre è illuminata da 20.000 lampadine.

L’Expo del 1889, la prima a poter essere visitata anche di notte, grazie all’illuminazione elettrica.

All’Expo 1889 Thomas Edison ebbe un padiglione tutto suo: presentò 400 brevetti.

Il forzuto Eugen Sandow all’Expo di Chicago del 1893 presentò il suo spettacolo di pose plastiche e sollevamento pesi, pubblicizzato come «rappresentazione dell’esposizione del muscolo». È considerata la nascita ufficiale del body building.

La trasvolata atlantica di Italo Balbo e dei suoi 25 idrovolanti “Savoia Marchetti S55X”, che nel 1933 planarono sul lago Michigan per presentare il motore «Isotta Fraschini Asso 750» all’Expo di Chicago di quell’anno.

Nel 1935 Giuseppe Bottai, governatore di Roma, propose a Mussolini di organizzare nella capitale un’edizione dell’Esposizione universale. Il Duce fissò la data per il 1942, nel ventennale della marcia su Roma. Il terreno su cui far sorgere l’esposizione fu individuato a sud della città. Sul finire del 1936 fu creato l’Ente autonomo E42, e l’area fu progettata da Marcello Piacentini. Il 21 aprile 1937 Mussolini piantò i primi pini, a ottobre dello stesso anno pose la prima pietra, nel ’38 approva il progetto per la via Imperiale (oggi Cristoforo Colombo, un «rettilineo che porterà l’empito del mare nostrum da Ostia risorta sino nel cuore della città»). La guerra fermò tutto: in quegli anni l’E42 si presentava come un grande cantiere recintato e incompiuto, pilastri ovunque, marmi abbandonati a terra (226.130 metri quadrati di lastre e 12.113 metri cubi di blocchi). Al termine della guerra i lavori ripresero e al quartiere fu dato il nome di E.U.R., acronimo di Esposizione Universale di Roma.

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MARCO TRAVAGLIO, IL FATTO 25/4/2015 -
Malgrado abbia già dato da mangiare a un sacco di gente, attualmente in galera, non è stata una buona idea dedicare l’Expo Milano 2015 al cibo. Era molto meglio dedicarlo al riso. Non nel senso del prodotto nazionale cinese, ma di quello italiano: le pazze risate. Il grande baraccone che si inaugura, pare, il 1° maggio alla presenza del presidente del Consiglio Renzi (quello della Repubblica adesso si chiama Mattarella, e mica è fesso: si tiene a debita distanza), si annuncia come l’evento comico dell’anno, forse del decennio, se tutto va bene del secolo. Le cronache dal fronte dei lavori, peraltro proibito ai giornalisti, ai fotografi e ai cameramen per evitare l’effetto-gufi, sono strepitosamente esilaranti. Si parla di lavori completati soltanto per il 25 per cento: tre su quattro sono ancora in pieno cantiere e non saranno pronti che fra qualche settimana, o mese, o anno. E il calcolo comprende soltanto le opere di responsabilità Expo, esclusi dunque i padiglioni stranieri, anch’essi in altissimo mare (quello del Nepal, per dire, un edificio tutto in teak intagliato a mano, sarà pronto non prima del 2025). Ma il commissario Giuseppe Sala si è detto sereno: “L’Expo parigina del 1890 fu molto peggio” (in realtà la data esatta è il 1889, e in effetti quegli incapaci dei parigini costruirono soltanto la Torre Eiffel: straccioni).
Anche il governatore Bobo Maroni, che è riuscito a infilare nella struttura due sue amiche e, last minute, pure il suo avvocato, ha gettato acqua sul fuoco col suo sottile umorismo: “Tanto l’evento dura sei mesi”. C’è tempo. Infatti si era pensato di spostare la cerimonia di inaugurazione all’ultimo giorno anziché al primo. Ma l’idea, come tutte quelle buone, è stata inspiegabilmente scartata. Comunque, assicurano le expompe, cioè le cronache dei giornali finanziati da Expo a botte di paginoni pubblicitari e altri lubrificanti all’ottimismo obbligatorio, “si lavora giorno e notte: solo per il Padiglione Italia ci sono 500 addetti 24 ore su 24”. Non dormono mai e sperano che non piova per non dover rallentare vieppiù: approfittando del bel tempo, hanno già posato la bellezza di “750 pannelli di cemento biodinamico del peso di 2 mila tonnellate”. Una cosetta leggera che, se ha richiesto cinque anni per fare metà dei lavori, ne richiederà una ventina per smontarli. Eppure i ritardi più clamorosi vengono segnalati proprio nel Palazzo Italia e negli edifici del Cardo, sedi delle cosiddette “eccellenze made in Italy”, orgoglio e vanto del Belpaese.
Fra sette giorni saranno aperti, ma solo un po’, diciamo per finta: “gli uffici – informa La Stampa – saranno lasciati per ultimi”, anche per ostacolare gli accertamenti della Guardia di Finanza su appalti e libri contabili. Ma niente paura: “Ai piani alti si fanno professioni di fede: ‘Tutto quello che non sarà visibile non darà fastidio’”. I visitatori, muniti di apposite aste da equilibrista, potranno passeggiare basculando su comode assi di legno a strapiombo sui cantieri, che però saranno invisibili grazie all’ultimo appalto andato a segno: quello da oltre 2 milioni di euro per coprire i ritardi, i camion, le betoniere, le gru, le impalcature e le altre vergogne con paratie, camouflage, trompe l’oeil, prefabbricati e teli. Per esempio: un pannello dipinto a olio e raffigurante il santo patrono Francesco d’Assisi che si spoglia dei suoi averi nasconderà un gruppo di faccendieri intenti a scambiarsi le ultime mazzette. Un finto pavimento in cartongesso ricoperto di fresche frasche celerà poi una botola per inghiottire i carabinieri e i poliziotti inviati dalla Procura ad arrestare gli appaltatori, farli precipitare in una vasca di cemento a pronta presa e trasformarli in piloni portanti dell’Albero della Vita (l’agile simbolo dell’intera kermesse, 35 metri di legno e acciaio, per il modico costo di appena 7 milioni di euro). Purtroppo non ci sarà neppure il tempo per le bonifiche dall’amianto di cui i terreni sono riccamente impregnati, e nemmeno per i collaudi delle opere che verranno così testati direttamente dai visitatori, anche con opportuni incentivi: il primo che si azzarda a entrare in un padiglione incompleto vincerà il Premio Expo Cavia e, se sopravvive, avrà un biglietto omaggio per tornare con qualche amico.
La vigilanza agli ingressi, com’è noto, è affidata alla stessa ditta di security che ha così ben vigilato gli accessi al Palazzo di Giustizia. Poi c’è il famoso drone che sorvola tutta l’area, o meglio la sorvolava fino a qualche settimana fa, prima che i vertici di Expo decidessero di tenere lontana la stampa e di pilotare essi stessi le informazioni sullo stato di avanzamento (anzi di arretramento) lavori. Pare che ora, opportunamente riconvertito dagli scopi ricognitivi a quelli militari, il drone verrà paracadutato sul Mediterraneo, per colpire e affondare i barconi degli scafisti in base al lodo Santanchè-Salvini-Alfano-Renzi. E si spera che gli abbiano disattivato la memoria: non sia mai che si ricordi da dove viene e vada a bombardare Expo. Della qual cosa, peraltro, nessuno si accorgerebbe, visto che l’area somiglia ancora a Dresda dopo il passaggio dell’aviazione britannica. Nel caso in cui l’operazione Tempesta sul Mediterraneo dovesse fallire, si potrebbero caricare i migranti appena sbarcati su treni per Milano Centrale e su voli charter per Linate e convogliarli su Expo per incrementare i visitatori, a giudicare dalle prenotazioni ancora pericolosamente lontani dalla prevista quota di 29 milioni. Farinetti li attende con l’acquolina in bocca nei 20 ristoranti regionali sui suoi 8 mila metri quadri senza gara. L’amico Renzi aveva pensato di ribattezzare il Padiglione Italia “Padiglione Eataly”. Poi però ha optato per “Padiglione Italicum”. Così la colpa dei ritardi è di Bersani.
Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 24/4/2015

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GIANNI BARBACETTO E MARONI, IL FATTO QUOTIDIANO 18/4/2015-
Meno 13. Mancano solo 13 giorni e poi i cancelli si apriranno per la manifestazione più celebrata, attesa, contrastata e discussa degli ultimi anni in Italia. “Expo 2015 sarà certamente inaugurata il primo maggio”, assicura Piero Galli, il direttore generale della divisione sales and entertainment. “Il tema del rinvio dell’inaugurazione non si pone proprio. Abbiamo già mandato gli inviti ai capi di Stato e alle istituzioni”.
Già doverlo ribadire segnala però che “il tema del rinvio” è tutt’altro che campato per aria, visti i ritardi accumulati e le opere ancora non terminate. Certo, i cancelli dovranno essere aperti la mattina del 1 maggio. Expo, Milano e l’Italia non possono permettersi una figuraccia planetaria. Ma intanto il capo di Stato del Paese ospitante non ci sarà: Sergio Mattarella verrà a Milano il 25 aprile, per celebrare la Resistenza, e si terrà invece fuori dalle incertezze dell’esposizione universale. L’apertura, infatti, si farà, ma con tre incognite: le incompiute, la sicurezza, il dopo Expo.
Il cantiere eterno: perfino i giornali cinesi parlano di ritardi. Non tutto sarà finito
Tutto pronto, dice il commissario Expo Giuseppe Sala. Ma l’expottimismo strategico dei vertici cozza perfino con i dati pubblicati sul sito ufficiale Openexpo. L’ultimo aggiornamento, del 10 aprile, dice che è finito solo il 25 per cento dei lavori di responsabilità di Expo (dunque tutto meno i padiglioni stranieri). Su 20 aree, sono ultimate solo quattro. E alcune aree, tra cui proprio Palazzo Italia e gli edifici del Cardo, sede delle eccellenze made in Italy, hanno ritardi ormai irrecuperabili per il 1 maggio. Saranno aperti, ma solo parzialmente.
Un brutto colpo lo hanno avuto anche gli industriali dell’associazione “Sistema Brescia per Expo”. Hanno “salvato” loro l’Albero della vita, il simbolo dell’esposizione che stava per essere archiviato per i costi troppo alti, per l’opaca gestione degli appalti e per l’arresto del responsabile dei lavori Antonio Acerbo. Il loro consorzio “Orgoglio Brescia” ha realizzato l’opera in poco più di tre mesi e mettendoci 3 milioni di euro, meno della metà del costo previsto. Però ora Expo ha comunicato che il 7 maggio non potranno celebrare la prima delle sei giornate dedicate a Brescia: perché gli spazi di Palazzo Italia non saranno pronti. Se ne riparla il 4 giugno. “Non c’è alcuna intenzione di rivalsa economica per il danno”, ha reagito il direttore di “Sistema Brescia”, Piero Costa, “a meno di ulteriori rinvii”.
Che le cose nel cantiere non siano messe bene, del resto, lo hanno capito anche i cinesi (1 milione i visitatori attesi dalla Cina, anche se i visti richiesti tra gennaio e marzo erano solo 13 mila in più dell’anno scorso). Sentite che cosa scriveva quattro giorni fa il China Daily, quotidiano cinese in lingua inglese: “A meno di tre settimane dall’apertura dell’Expo Milano, il 1 maggio, il sito dell’evento è ancora una massa di camion che solleva polvere e di lavoratori con l’elmetto in corsa per finire le costruzioni tra ritardi, corruzioni e costi fuori controllo”.
Sicurezza: 1.200 militari, agenti e carabinieri Ma non c’è tempo per fare i test
Forse non si arriverà ai 29 milioni di ingressi promessi, ma comunque le persone che nei prossimi sei mesi entreranno nel sito Expo, tra visitatori e personale, saranno milioni. Questo pone due problemi nel campo della sicurezza. Il primo è connesso ai controlli e alla vigilanza. Dopo i morti al Palazzo di giustizia di Milano, ha fatto impressione sapere che l’azienda chi vigila sugli ingressi degli uffici giudiziari, la AllSystem, è la stessa che controlla gli accessi a Expo. Chi ha sparato a Milano era però entrato dall’unico accesso non controllato dalla AllSystem (che peraltro ha ottenuto un incarico che vale più di 2,3 milioni di euro con il metodo della “procedura ristretta semplificata”, che permetterebbe invece affidamenti per cifre non superiori al milione e mezzo: ma questa è un’altra storia). Il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha comunque promesso che servizi segreti, polizia e carabinieri veglieranno su Expo, anzi hanno già cominciato a farlo, affiancati anche da 1.200 militari impegnati a Milano nell’operazione “Strade sicure”.
E l’altroieri il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza, presieduto dal prefetto Francesco Paolo Tronca, ha “disposto un’intensificazione massima degli interventi di prevenzione generale e di controllo del territorio”. Il secondo problema che attiene alla sicurezza di visitatori e lavoratori di Expo si chiama collaudi. L’esposizione è una grande macchina fatta di edifici stabili, edifici temporanei, strade, passerelle, tendoni, ristoranti, chioschi… Come ogni opera, pubblica e privata, dopo la fine dei lavori e prima di essere utilizzata deve essere collaudata. Con collaudi statici per gli edifici e per gli impianti, piuttosto complessi poiché ogni padiglione avrà elettricità, acqua calda e fredda, gas, scarichi, cucine. E perché ci sarà un grande afflusso di pubblico. Per i collaudi sarebbero necessario almeno un paio di mesi. Non ci sono. Anche perché molte opere non sono ancora finite. La soluzione trovata: l’autocertificazione, ogni oste dirà che il suo vino è buono. E poi incrociamo le dita, e niente gufi: speriamo che tutto funzioni e che Mercurio, il dio dai piedi alati del commercio e delle esposizioni, protegga Expo da incidenti e incendi.
Il dopo: nessuno, per ora, s’è fatto avanti per sviluppare l’area (deve sborsare 314 milioni)
È l’incognita più aperta: che cosa succederà dell’Expo dopo Expo? Chi vigilerà, nei mesi successivi all’esposizione, perché l’area non si trasformi in una landa desolata tipo “Fuga da New York”, occupata da senzatetto e disperati? Tra 13 giorni l’esposizione aprirà, ma ancora non si sa che cosa succederà dopo che i padiglioni saranno smontati. Con un problemino: non si è fatto avanti nessuno disposto a pagare i 314 milioni di euro necessari per assicurarsi la possibilità di “sviluppare” l’area (cioè costruirci su). La gara, nel novembre 2014, è andata deserta. Così non si sa chi pagherà a Comune di Milano e Regione Lombardia i 160 milioni (più oneri e interessi) messi sul piatto per comprare un’area privata: è il peccato originale di Expo, il primo realizzato su terreni non pubblici.
Le banche che hanno prestato i soldi – Intesa, Popolare di Sondrio, Veneto Banca, Credito Bergamasco, Bpm e Imi – avrebbero voluto già cominciare a incassare le restituzioni del debito. Invece rischiano di restare con l’area sul groppone, a meno di provocare il fallimento di Comune e Regione. Il rettore della Statale di Milano, Gianluca Vago, vorrebbe farci la nuova Città Studi per le facoltà scientifiche: costo previsto 400 milioni. Gianfelice Rocca di Assolombarda ipotizza una Silicon Valley padana. Ma bisogna trovare i soldi: per le aree e per costruirci su.
Dei 160 milioni per le aree, 45 dovrebbero andare nelle casse del “centauro”: la Fondazione Fiera che è, nello stesso tempo, venditrice (in quanto proprietaria iniziale di due terzi del terreno) e compratrice (in quanto socia di Expo spa). “Mi interessa che il governo entri e metta soldi”, dice chiaro il presidente della Regione Roberto Maroni. Il vicesindaco Ada Lucia De Cesaris chiede “una forte regia pubblica”. Il ministro delegato a Expo, Maurizio Martina, e quello alle Infrastrutture, Graziano Delrio, stanno studiando il dossier e venerdì 24 aprile avranno un incontro per affrontare la questione. La speranza è che arrivi, con i suoi soldini, la Cassa depositi e prestiti, come la fata buona capace di dissolvere il cattivo sortilegio e garantire il lieto fine. Ma sarà dura anche per la magica creatura presieduta da Franco Bassanini.
Gianni Barbacetto e Marco Maroni, il Fatto Quotidiano 18/4/2015

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MAURIZIO CRIPPA, IL FOGLIO 17/4/2015 -
Il bizzarro qui pro quo del mancato invito di Letizia Moratti all’Expo nel giorno dell’inaugurazione (“ma veramente qualcuno può immaginare che non la invitiamo? Gli inviti non sono ancora partiti, ritengo partano domani”, ha risposto, basìto, il commissario unico Giuseppe Sala) è una di quelle lucciole scambiate per lanterne che per permettono di illuminare il paesaggio prima della battaglia. O dopo la catastrofe, a seconda di come lo si guardi. Il 1° maggio si comincia, e saranno passati esattamente sette anni e un mese da quel 31 marzo 2008 in cui la missione italiana al Bie si aggiudicò, contro gufi e pronostici, con 86 voti contro i 65 di Smirne, l’Esposizione universale. E’ tempo di fare un bilancio. Il sindaco Moratti commentò con un certo candore: “Sono contenta per la città, ma anche per tutto il mondo”. Nel che, c’era tutto l’ottimismo e la naïveté di un progetto fatto in fretta e fantasia, il cui tema-specchietto per le nazioni, “Nutrire il pianeta, energia per l’ambiente”, era un sacchetto di semi un po’ terzomondista (i voti dei paesi africani) e molto Carlin Petrini per un contenitore assai difficile da riempire. Poi cambiò tutto, la nuova governance prosciugò per prima cosa l’acqua per gli orti in stile Terra Madre, e di dare forma al nucleo tematico di Expo non si è occupato più nessuno. Capita.
Lo scontro per chi dovesse fare e comandare è durato anni. Il tira e molla tra il sindaco, il governatore Formigoni, il presidente della provincia Filippo Penati fu estenuante. A Roma, gli investimenti passavano dalle mani di Giulio Tremonti, che non voleva mollare la borsa e il potere di veto. I tempi per gli investimenti si allungavano a dismisura, il tempo per i progetti infrastrutturali si accorciava. I progetti verdissimi e le “vie d’acqua” di Moratti sono svaniti subito. In compenso le grandi vie di ferro e asfalto hanno stentato. Se Milano è ancora un cantiere, se la metropolitana 5 sarà aperta, ma solo un po’, se la linea 4 non è mai nata, si deve anche a quei ritardi. Moratti ha dovuto attendere il 2010 per ottenere i poteri speciali. Poi è arrivato Giuliano Pisapia, che s’è caricato malvolentieri la croce da commissario. A Expo prima ci fu Paolo Glisenti, scelto da Moratti, Luigi Stanca è stato ad dal 2010 al 2012, poi è arrivato Giuseppe Sala. Ormai mancavano tre anni.
La grana maggiore sono stati i terreni (famiglia Cabassi e Fondazione Fiera). Un intrigo, ma non internazionale. Nel dossier di candidatura stava scritto che Expo avrebbe usato l’area a titolo gratuito, “l’accordo è già stato siglato”. Una scrittura privata prevedeva la cessione temporanea delle aree per poi riaverle “premiate” da nuovi indici di edificazione. Qualcosa non funziona, e nel 2010 Formigoni propone una società di scopo partecipata, Arexpo (Regione, Comune e Provincia), per acquistare i terreni. Verranno acquisiti solo nel 2011, il valore molto cresciuto. Che farsene, dopo l’Expo, non è ancora chiaro. Ma intanto mancavano quattro anni. Se il Padiglione Italia sarà “non finito, ma visitabile”, qualche motivo c’è.
Poi sono venuti gli scandali (non granché) gli arresti, il commissario Cantone e le solite chiacchiere di legalità. Ma ora c’è l’Expo, tutto tace. Dopo novembre (si sussurra e si grida) si vedrà. Comunque vada, sarà un successo.
La Pietà Rondanini di Michelangelo ha una nuova casa, non senza futili polemiche. L’evento è grande. Si inaugura al Castello Sforzesco il 2 maggio. Forse-non-tutti-sanno-che, ma il secondo capolavoro universale della città, assieme al Cenacolo, giunse che a Milano nel 1952, acquistato dal comune attraverso una sottoscrizione popolare. Senz’altro molti (non solo i turisti) non hanno mai saputo che a Milano sia pure esposta. Eppure il meraviglioso non finito cui Michelangelo lavorò fino alla morte, al Castello aveva ricevuto sùbito degnissima collocazione. Un allestimento di valore storico progettato da uno dei più famosi studi di architettura di Milano, i BBPR (Gian Luigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti, Ernesto Nathan Rogers), quattro mostri sacri. Passati i decenni, quella collocazione è diventata una specie splendida gabbia, che ha tolto visibilità (e pubblico) alla Pietà. Così l’idea di spostarla nell’ex Ospedale Spagnolo, sempre nel Castello ma in posizione più appetibile, era venuta a Stefano Boeri, pure architetto, e per breve tempo assessore alla Cultura con Pisapia (sugli scazzi tra i due, cfr. il Corriere degli due giorni scorsi). Boeri aveva avuto anche un’altra non brutta idea: spostare la Pietà, durante il periodo dei lavori per il nuovo sito, nel carcere di San Vittore. Apriti cielo. Non se ne fece nulla. Il progetto di dare nuova casa alla Pietà è invece proseguito. Ma le critiche si sono rinnovate di recente, starring soprattutto Vittorio Sgarbi, che ha accusato lo spostamento di una nuova fattispecie di reato, la lesa storia dell’architettura milanese, e c’è chi ha chiesto al Mibac il solito intervento fuori tempo massimo per bloccare il trasloco. Che invece permetterà alla Pietà di attirare le migliaia di visitatori che merita. Il nuovo allestimento (di Michele De Lucchi) permette di vedere, entrando, la Pietà da una prospettiva diversa dal vecchio allestimento, cioè da dietro: la Madonna che si curva su Gesù, e sembra proiettarsi in avanti. Commovente.
Maurizio Crippa

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ROBERTO GALULLO, IL SOLE 24 ORE 11/4/2015 -
L’ultima firma su un contratto di vigilanza per Expo il raggruppamento temporaneo di imprese (Rti) guidato da Allsystem, lo stesso che garantisce i servizi presso sei dei sette varchi del Tribunale di Milano, violato ieri da un imputato per bancarotta autore di una strage, l’ha vista apporre il 30 gennaio 2015.
Per garantire la sicurezza sui lotti 1 e 2 del sito espositivo che aprirà a breve i battenti al mondo (la gara per il lotto 3, che inizialmente non ha ricevuto offerte ritenute idonee da Expo, è stata aggiudicata pochi giorni fa), Allsystem e le altre cinque tra società e consorzi che hanno vinto la gara, riceveranno oltre 19 milioni ai quali vanno aggiunti 50mila euro dei cosiddetti oneri per la sicurezza da interferenza.
Il raggruppamento di imprese si è aggiudicato gli appalti con ribassi, rispettivamente, dell’1,07% e dell’1,13 per cento. La sicurezza sarà garantita da apparecchiature di elevato standard, prodotte da aziende italiane: dall’apparato a raggi X per il controllo dei bagagli, ai metal detector per il controllo dei visitatori, fino al dispositivo explosive detection system, utilizzato negli aeroporti. Allsystem – alla quale il Sole-24 Ore ha chiesto quanti uomini saranno impiegati nella vigilanza del polo espositivo – non ha per il momento comunicato alcun numero, rimandando la competenza alla società Expo 2015, secondo la quale saranno complessivamente 750 su due turni, oltre alle Forze dell’ordine.
Non è la prima volta che questo gruppo che ha sede a Verrone (Biella) si aggiudica gli appalti per garantire sicurezza e vigilanza di Expo. Il 12 settembre 2013, sempre a capo di un raggruppamento d’imprese, si era aggiudicato il contratto di vigilanza armata e di controllo degli accessi e di portierato non armato per il periodo dal 21 ottobre 2013 al 31 ottobre 2014, attraverso una procedura ristretta semplificata, per un importo di oltre 2,3 milioni (Iva esclusa).
Allsystem è uno dei principali gruppi di vigilanza e sicurezza del Nord Ovest, con 8 centrali operative, 12 filiali commerciali e 2.300 dipendenti. Il gruppo, che fa capo al sessantaduenne imprenditore perugino Vincenzo Serrani (presidente del cda, detiene il 53,72% delle azioni, mentre l’ad è il piemontese Massimiliano Giacoletti, di Domodossola), a fine 2013 ha fatturato oltre 109 milioni con un utile di 1,8 milioni attraverso i servizi di vigilanza privata (che garantiscono l’89,74% dei ricavi) e 12,4 milioni con un utile di tre milioni grazie al noleggio di attrezzature e macchinari (10,26% del fatturato).
Accanto ad Allsystem, talvolta ha operato Securpolice, gruppo milanese di vigilanza e sicurezza. Uno dei varchi del Tribunale di Milano, quello di via Manara dal quale sarebbe entrato l’omicida Claudio Giardiello, sarebbe sotto la sua responsabilità. Il Sole 24 Ore ha contattato ieri mattina l’istituto di vigilanza per chiederne conferma, ma si è sentito rispondere da una centralinista che le consegne ricevute dai vertici dell’azienda erano quelle di non passare telefonate. Nel pomeriggio ecco il comunicato stampa che, oltre al cordoglio ai familiari delle vittime e alla vicinanza ai propri dipendenti, in coda accenna indirettamente a una risposta sul punto: «La società collabora da sempre con serietà e competenza con le Forze dell’ordine, le Autorità e tutto il personale degli uffici giudiziari del Palazzo di Giustizia di Milano. Essendo in corso indagini di polizia giudiziaria volte alla verifica della reale dinamica dei fatti, riteniamo opportuno non rilasciare ulteriori dichiarazioni in merito a quanto sinora emerso, soprattutto nel rispetto dell’attività investigativa. Securpolice sottolinea che l’operato dei propri addetti è ed è sempre stato conforme ai protocolli di sicurezza e alle disposizioni impartite dagli organi competenti».
Securpolice, dopo la ristrutturazione societaria del 2014, fa riferimento alla capogruppo milanese Estate solution, il cui presidente del cda è Alessandro Fazio mentre l’ad è Nicola Fazio, entrambi di Acireale (Catania). Il gruppo, dal 24 giugno 2013 al 31 ottobre 2013 sì è aggiudicato, attraverso affidamenti in economia (cottimi fiduciari) contratti di vigilanza armata ai varchi di accesso ai cantieri di Expo 2015 per circa 200mila euro, mentre il servizio di portierato, nello stesso arco temporale, era stato affidato, con le stesse modalità, a Gf security group per una cifra di poco inferiore a 200mila euro.
r.galullo@ilsole24ore.com
Roberto Galullo, Il Sole 24 Ore 11/4/2015

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GRAZIA LONGO, LA STAMPA 11/4/2015-
Dalle minacce dell’Isis al gesto di un lucido folle condannato per bancarotta fraudolenta, s’impone l’allarme sicurezza. Le tre vittime e il terrore seminato al Tribunale di Milano, rivelano un Paese esposto al pericolo più di quanto si potesse immaginare. Da manifestazioni come l’Expo, il Giubileo, l’Ostensione della Sindone, ai rischi in punti sensibili come aeroporti, porti e tribunali, l’allerta è elevata. Competenze territoriali si incrociano con quelle nazionali in un incrocio di responsabilità e di distribuzione di risorse umane ed economiche. Vediamo come.
Tribunali
La sicurezza nei 135 tribunali italiani fa parte della voce «manutenzione e custodia degli uffici giudiziari» e, per effetto della legge 392 del ’41, spetta ai Comuni (poi rimborsati dal ministero di Giustizia). Eccetto però la Cassazione e i palazzi di giustizia di Roma e di Napoli che si affidano direttamente allo Stato. Nel 2013 per gli uffici giudiziari di Napoli sono stati investiti quasi 33 milioni di euro. Agli ingressi di Roma ci sono 50 agenti di polizia penitenziaria e 30 li troviamo a Napoli nord. Negli altri tribunali, invece, lavorano guardie giurate di agenzie private (quella di Milano si è aggiudicata anche l’Expo). Dal consuntivo 2012 si evince che Milano, che ha destinato agli uffici giudiziari 25 milioni di euro, Torino quasi 22 milioni e Venezia 16,2 milioni.
Ma dal 1° settembre si cambia: grazie alla legge di stabilità 2015, i fondi verranno elargiti direttamente dal ministero di Giustizia. Per la precisione: 123 milioni di euro per quel che resta del 2015, 221 milioni per il 2016 e 309 milioni per il 2017.
Per quanto riguarda i presidi agli ingressi delle cittadelle giudiziarie, magistrati, avvocati, impiegati e giornalisti entrano senza sottoporsi al controllo del metal detector (è sufficiente esibire un tesserino) a Roma e Milano. Mentre vengono tutti monitorati, per esempio, a Palermo. Ai carabinieri, sull’intero territorio nazionale, è invece affidato il controllo nelle aule dove si svolgono i processi. Spetta comunque al procuratore generale della Corte d’appello nelle varie sedi «esprimere il parere sui provvedimenti che il prefetto assume in ordine all’incolumità e alla sicurezza dei magistrati oltre in ordine alla sicurezza esterna delle strutture».
Aeroporti
Nei 31 aeroporti di interesse nazionale (nel complesso quelli operativi sono 112) la verifica al metaldetector per accertare la presenza di armi, esplosivi e materiali ritenuti pericolosi viene effettuata da vigilantes. A Polaria e Guardia di finanza spettano i controlli doganali.
Porti
L’attività di monitoraggio nei 42 - tra grandi e piccoli - porti del Paese prima degli imbarchi viene effettuata, oltre che dal personale delle navi o dei traghetti, vigilantes dei terminal e in minima parte dalla Guardia di finanza. La scelta e le operazioni dei vigilantes vengono comunque supervisionate dalla capitaneria di porto. L’utilizzo dei vigilantes è stato avviato nel 2004, a tre anni dal crollo delle Torri gemelle a New York, per effetto di normative internazionale sulla security. Va inoltre precisato che la differenziazione del personale in servizio dipende dagli incarichi. Le capitanerie di porto sovrintendono all’attività sull’acqua, in banchina operano le autorità portuali mentre la sicurezza spetta, laddove ci sono le condizioni geografiche, tipo Genova, alla polizia di frontiera.
Expo
Oltre ai 2 mila uomini già in servizio, a Milano ne saranno distaccati altri 3 mila e 200 per far fronte all’importante appuntamento dell’Esposizione universale a Milano. Più nel dettaglio si tratterà di: 1.300 poliziotti, 700 carabinieri, 600 finanzieri, 600 militari dell’esercito. A questi ultimi sarà destinata la sorveglianza interna ai padiglioni, gli altri si turneranno all’esterno gruppi di 200 nell’intero arco delle 23 ore. Saranno presenti artificieri, cinofili e altri corpi speciali. Quattro gli accessi pedonali con 225 tornelli e sette quelli per i veicoli, tutti a raggi X. Per occasioni pubbliche dalle vaste dimensioni come l’Expo, il Giubileo o l’Ostensione della Sindone i Comitati per l’ordine e la sicurezza provinciali (presieduti dal prefetto) si rapportano direttamente con il Viminale e con il Comitato per l’ordine e la sicurezza nazionale, presieduto dal ministro dell’Interno. Tra i componenti ricordiamo: il Capo della polizia, direttore generale della pubblica sicurezza, il Comandante generale dell’Arma dei carabinieri, il Comandante generale della Guardia di Finanza, dal Direttore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e dal Dirigente Generale Capo del Corpo Forestale dello Stato. In base ai temi in discussione e alle emergenze il responsabile del Viminale invitare alle riunioni del Comitato dirigenti generali del Ministero, l’Ispettore generale del Corpo delle capitanerie di porto, altri rappresentanti dell’amministrazione dello Stato e delle forze armate.
Sindone
Cinquecento uomini al giorno vigileranno sui pellegrini che si recheranno a Torino per l’ostensione della Sindone. Otto porte di accesso al Duomo con metal detector e tunnel radiogeni per controllare zaini e bagagli.
Giubileo
Il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha annunciato che la task force dei 5 mila uomini utilizzati per l’Expo sarà destinata anche al Giubileo, per il quale sono previsti a Roma 25 milioni di visitatori.

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MARCO COBIANCHI, PANORAMA 9/4/2015 -
31 marzo 2008. Milano vince (con 86 voti contro i 65 andati alla turca Smirne) la gara indetta dal Bureau international des expositions (Bie) per organizzare l’Expo 2015. Nasce la Expo Spa.
Luglio 2008. Letizia Moratti, sindaco di Milano per il centrodestra, propone Paolo Glisenti come amministratore unico di Expo Spa ma il presidente della Regione Roberto Formigoni e il governo Berlusconi si oppongono.
Settembre 2008. Viene individuata l’area dove costruire l’Expo ma Moratti e Formigoni si dividono su un punto cruciale: i terreni devono essere comprati, come vorrebbe il presidente della Regione, o affittati e poi restituiti, come vorrebbe il sindaco di Milano?
1° dicembre 2008. Viene nominato il consiglio d’amministrazione della Expo Spa. Sono 5 persone in rappresentanza dei soci pubblici. Diana Bracco è nominata presidente e, qualche settimana dopo, Paolo Glisenti amministratore delegato.
19 marzo 2009. Glisenti si dimette dal consiglio d’amministrazione, gli succede Lucio Stanca. I soggetti che si occupano di Expo diventeranno quattro: Lucio Stanca amministratore delegato di Expo Spa; Diana Bracco presidente di Expo Spa, Roberto Formigoni commissario del governo; Letizia Moratti commissario straordinario. Tutti hanno forti poteri decisionali. Il risultato è l’immobilismo.
Aprile 2009. A un anno dalla vittoria, i lavori sono ancora fermi. Intanto scoppiano due polemiche. La prima riguarda la decisione di Stanca di non dimettersi da parlamentare; la seconda la sede della società che Stanca vorrebbe in centro, a Palazzo Reale (100 mila euro di affitto al mese) invece che in una villa del ‘700 a Quarto Oggiaro (gratis).
24 giugno 2010. Stanca si dimette dalla Expo Spa. Le spese per le consulenze ammontano già a 40 milioni di euro, ma nessun lavoro è ancora partito.
28 giugno 2010. Giuseppe Sala viene nominato direttore generale della Expo Spa e il mese dopo anche amministratore delegato. Continua l’impasse sul problema dei terreni.
Settembre 2010. Dal Bie arriva una lettera allarmata: entro il 19 ottobre l’Italia deve dimostrare di avere a disposizione le aree. Scadenza non rispettata.
7 gennaio 2011. Partono le lettere di invito a 190 Paesi.
10 aprile 2011. Nasce Arexpo, società che comprerà i terreni.
30 maggio 2011. Giuliano Pisapia diventa sindaco di Milano per il centrosinistra.
14 giugno 2011. Moratti si dimette da commissario straordinario per l’Expo (e viene sostituita da Pisapia). Nel corso dell’anno il progetto iniziale presentato al Bie viene molto ridimensionato. Smirne propone a Milano di rinunciare all’esposizione in cambio di un indennizzo e si ripropone di organizzare l’Expo. L’offerta è rifiutata.
3 agosto 2011. A tre anni e mezzo dall’assegnazione viene pubblicato il primo bando in assoluto, quello per la bonifica dell’area (peraltro non ancora comprata). Vince la gara la Cmc di Ravenna, che inizierà i lavori il 28 agosto. Ottobre 2011. Il Comune entra con il 34,67 per cento in Aerexpo, la società che compra i terreni, pagandoli 142,6 milioni, 49,6 dei quali incassati dalla famiglia Cabassi, proprietaria di parte dell’area. Banca Intesa presta alla società 160 milioni.
12 giugno 2012. Il sindaco Pisapia si dimette da commissario straordinario per l’Expo.
26 giugno 2012. Luigi Roth, nominato commissario del Padiglione Italia appena quattro mesi prima, si dimette.
3 agosto 2012. La società Mantovani vince la gara per la realizzazione della «Piastra», l’area che comprende tutte le grandi infrastrutture dell’intera esposizione.
28 febbraio 2013. All’interno dello scandalo Mose di Venezia viene arrestato Piergiorgio Baita, amministratore delegato della Mantovani, l’azienda che per l’Expo deve costruire la Piastra. Una decina di società dovranno essere escluse per legami con la mafia e la ‘ndrangheta. All’inizio del 2015 le interdittive antimafia sono 68.
1° marzo 2013. Il consiglio d’amministrazione della Expo Spa stabilisce che Angelo Paris sarà il responsabile unico per l’esecuzione dei lavori.
Aprile 2013. Il governo Monti, nell’ultimo Consiglio dei ministri, attribuisce a Giuseppe Sala «poteri straordinari» per la realizzazione dell’Expo 2015. 20 marzo 2014. I componenti della struttura dirigenziale di Infrastrutture Lombarde, società pubblica che materialmente scriveva gli appalti Expo, vengono arrestati per presunte corruttele. Altre 30 persone vengono indagate.
8 maggio 2014. Angelo Paris viene arrestato con Gianstefano Frigerio, Primo Greganti ed Enrico Maltauro. Nello stesso giorno vengono effettuate 80 perquisizioni in 15 città. L’accusa ipotizza la corruzione e l’inquinamento del regolare svolgimento delle gare d’appalto. 17 settembre 2014. Avviso di garanzia al subcommissario per l’Expo, Antonio Acerbo, che un mese dopo finirà in carcere. 15 novembre 2014. Va deserta la gara per la vendita dei terreni dell’Expo, una volta finita la manifestazione.
Marzo 2015. A due mesi dall’inaugurazione ufficiale del 1° maggio il 74 per cento dei lavori, ufficialmente, non è terminato.

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CARLO VERDELLI, LA REPUBBLICA 9/4/2015 -
A un soffio dal via della seconda Esposizione Universale che ci siamo andati a cercare (la prima, nel 1906, cominciò un anno dopo il previsto, guarda caso per ritardi), vagando per il cantiere destinato a diventare per i prossimi sei mesi la nostra bandiera issata su un vero villaggio globale, viene la tentazione di buttarsi in ginocchio sullo sterrato e invocare l’intervento di Harry Potter, Mary Poppins e la fata di Cenerentola, sperando che un magico “bidibi bodibi bu” corale possa compiere il prodigio di completare in 21 giorni quello che a oggi sembra lontano anni luce dall’avere una forma presentabile.
Immaginate una superficie grande quanto l’antica Paestum, l’equivalente di 160 campi da calcio, circondata da un canale lungo 6 chilometri e mezzo e da una rete alta 3 metri e 15, sormontata di filo spinato. Intorno, una periferia di comune mestizia. Su un fianco, c’è il carcere di Bollate; sull’altro, il ponte di una tangenziale. In mezzo, una sagoma a forma di pesce, con la testa rivolta a Milano e la coda a Rho, un “non luogo” che l’allora premier Enrico Letta, nei 10 mesi del suo governo, indicò come «la via per uscire dalla cappa di svalutazione e autolesionismo che incombe sull’Italia». La lisca del pesce è lunga un chilometro e mezzo e l’hanno chiamata “decumano”, alla maniera dell’antica Roma; la parte larga, cioè le branchie, è il “cardo maximus”, 350 metri. Si incrociano nel “forum”, cioè la piazza. Sul decumano si affacciano tutti gli 86 padiglioni, tra nazionali, tematici, umanitari, aziendali, più i ristoranti con 20 cucine regionali eccetera. Il cardo è per l’Italia, con il palazzo più alto (24 metri contro i 12 di tutti gli altri), l’Albero della vita, che è già l’icona di questa Esposizione, e quattro costruzioni in divenire, tra le più in divenire, a ospitare le varie eccellenze nazionali. Il tutto doveva costare 63 milioni, siamo a 92, con il disavanzo pare coperto da sponsor. Lo sforamento è da addebitare a Italia Costruzioni dei fratelli Attilio e Luca Navarra, già indagati, a cui però, «visto il rischio di gravi ripercussioni sul crono-programma dei lavori» (proprio così, «crono-programma»), sono stati risparmiati altri guai in cambio di un’aggiustatina al consiglio di amministrazione, che d’ora in poi sarà controllato da un tutore, Umberto Bertelé del Politecnico, scelto da Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, per «scongiurare il rischio di ulteriori condizionamenti criminali nella gestione dell’appalto». Come dire: al punto in cui siamo, precedenza al “crono”. I conti, anche giudiziari, seguiranno.
Quanto a quelli più squisitamente economici, visto che il biglietto per un giorno costerà tra i 34 e i 39 euro, per andare in pari bisognerebbe arrivare a 24 milioni di ingressi pagati. I più ottimisti sostengono che già toccare i 20 milioni sarebbe un sogno. Ne ballerebbero 4, così come balla il numero di capi di Stato che avrebbero assicurato la loro presenza: i vertici di Expo garantiscono che alla fine saranno più di cento, ma all’inaugurazione ce ne saranno 15, forse. Papa Francesco non sarà tra loro, come del resto il nostro presidente Mattarella e in generale nessuno dei variamente grandi della Terra. Ma il padiglione del Vaticano si imporrà lo stesso, se non altro per coerenza con il nuovo corso imposto dal suo pastore: un parallelepipedo bianco, con una piega morbida che sparisce nell’ombra, e sui lati scritte discrete e in apparenza discordanti come “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” e, accanto, “Non di solo pane vive l’uomo”. La fede è mistero, e questo “essere mistero” si accorda a perfezione con lo stato di Expo 2015. Comincerà dimezzato? Faremo una figuraccia internazionale? Oppure, a sorpresa, sarà premiata l’incrollabile fiducia che ancora anima, nonostante i massacri del malaffare, i ritardi omerici e un gran caos gestionale, gli ardimentosi pochi che credono all’impresa?
L’enorme feto che sta ingrossando nella pancia di Milano, e che il primo maggio verrà inevitabilmente esibito al mondo, si agita scomposto come se, invece di premere per uscire, cercasse di resistere all’evento. La gestazione è stata in effetti travagliatissima. Dalla vittoria del marzo 2008 sulla concorrente Smirne, sono passati 7 anni e 4 governi (Berlusconi, Monti, Letta, Renzi), più una crisi che ha azzerato benessere e certezze di mezzo Occidente, con l’Italia tra i Paesi più puniti. La prima ruspa, simbolica, sul campo di quella che sarebbe stata la fiera di Milano-Rho, compare il 28 ottobre 2011, con a bordo l’allora governatore lombardo Formigoni. Una pagliacciata, doppia se si considera che non tutti i terreni agricoli erano stati acquistati e quindi disponibili. Sarebbe accaduto solo un anno dopo, nel luglio 2012. Nel 2013, quando i granelli della clessidra cominciano a cadere troppo rapidi, si arriva al commissario straordinario, Giuseppe Sala, già in carica come direttore semplice da metà 2010, milanese, 57 anni, manager di lungo corso prima in Pirelli poi in Telecom, prototipo del cammello da lavoro. E non gliene manca, di lavoro: in un’impietosa foto dell’agosto 2014, l’altro ieri, sul campo c’è poco più di un deserto e lo scheletro in ferro di qualcosa, le costole di un corpo che verrà.
Non che la situazione sia molto migliorata in prossimità del parto. Anzi, ogni giorno porta pena. L’ultima è l’abbandono con sdegno dello scenografo Dante Ferretti, l’uomo da tre Oscar: stufo delle dilazioni e del ridimensionamento del suo ingaggio artistico (22 statue in stile Arcimboldo invece delle 500 stabilite, più otto stazioni dedicate alla vita dei mercati che non si sa più se si faranno e quando e come), ha tolto di colpo la firma e chiesto i danni. Costi, non solo d’immagine, che andranno ad aggiungersi a quelli extra, 30 milioni solo per il Padiglione Italia, appena denunciati dal prefetto Cantone. Senza contare le infinite piccole falle che si aprono un po’ dovunque, dentro e intorno alla placenta del povero feto a cui è affidato l’onere di incarnare l’orgoglio italiano, come le colonnine pubblicitarie esposte a fine marzo fuori dalle metropolitane milanesi con la scritta “But your ticket” invece di “Buy”, cioè compra il tuo biglietto. Si è rimediato con una pecetta: una Y al posto della T. Pecette, rattoppi, ridimensionamenti, tagli con la scure di progetti e strutture. Nuova parola d’ordine: semplificare. E correre, correre, altro che Forrest Gump. Tic-tac, tic-tac, più si avvicina l’ora fatale e più sembra allontanarsi il miraggio di un esito all’altezza, se non delle aspettative, almeno della decenza.
Eppur qualcosa si muove, anzi di movimento ce n’è tantissimo, un rumore infernale, un via vai convulso di camion, l’impressione di un formicaio infastidito da un bastone dove più di seimila operai di ogni razza (i nepalesi hanno fatto venire i loro con martelletti e scalpelli per istoriare lunghi pali di legno con migliaia di romboidi) si danno i turni 24 ore su 24 alla ricerca disperata del tempo perduto. Di erba e giardini non c’è traccia, ma dicono che il verde è il meno perché spareranno fitociti come se piovesse negli ultimi giorni. Le piante sono al 90 per cento in loco, in paziente attesa che qualcuno le interri. Bene invece i 400 tornelli agli ingressi, tutti pronti a girare, e i 4 mila bagni pubblici: due terzi per le donne, un terzo per i maschi. Perché non pari?
Calcolo statistico dei tempi di permanenza medi. A parte la consolazione che la parte igienica sia smarcata, il resto è un casino, si spera organizzato. Dovunque, ammassi di pietre da posare, sbarramenti improvvisi, cumuli di macerie da rimuovere, tra cui spuntano come fiori spaesati i padiglioni che si scorgono tra tralicci e inferriate. Siccome il tema di Expo 2015 è il cibo, sottotitolo “nutrire il pianeta”, e per ribadire il concetto hanno speso 50 milioni in comunicazione (su un miliardo e 300 stanziati in totale), molti Paesi si sono comprensibilmente ispirati ai prodotti locali: la Thailandia è a forma del cappello con cui i contadini raccolgono il riso, la Malesia abbozza una semi foresta tropicale, la Cina, che è la terza costruzione più grande dopo Germania e, come di diritto, Italia, ha una forma a pagoda con delle onde a evocare i campi di grano, il Messico sembra una pannocchia, il Qatar è fatto a cesto, l’Ecuador somiglia a un quadrello di torta al cioccolato agghindato di perline colorate; il Padiglione zero, quello per smistare i visitatori, e i due riservati ai media, sono dei trulli giganti. La lotta alla fame nel mondo e contro gli sprechi alimentari procede in ordine sparso. Qualcuno, come Gran Bretagna, Russia e Giappone, magari concentrerà l’impegno all’interno: da fuori sono strutture anche belle ma neutre. Nel complesso, pezzi di un puzzle ancora in larga parte sparsi su un pavimento, tra l’altro ancora tutto da asfaltare. «Ma ce la faremo», ripete come un mantra il comandante Sala, calmo come un cammello nella tempesta di sabbia. «Magari non con tutto, ma col meglio saremo pronti», assicura Giuliano Pisapia, sindaco non rinnovabile per sua stessa decisione. Anche il presidente del Consiglio Renzi, che il primo maggio sarà il primo a metterci la faccia, professa ottimismo: «Da quando siamo arrivati noi, è successo una specie di miracolo». La speranza è che si compia, vista la posta in gioco. Che non è la riprova, o la smentita, dell’efficientismo di Milano. È il biglietto da visita di un Paese in uno dei momenti più drammatici della sua storia. Lanciarlo e ritrovarselo addosso come un boomerang sarebbe per l’Italia qualcosa di più e di peggio che un’occasione perduta.
Giuseppe Sala, il padre putativo del grande feto, contratto in scadenza a fine aprile, cioè prima che la festa eventuale cominci, ha ben chiaro che una buona apertura farebbe da traino a tutto l’evento. Ha superato il trauma di due strettissimi collaboratori, Angelo Paris e Antonio Acerbo, su cui avrebbe messo la mano sul fuoco e che invece hanno tradito e poi patteggiato per somme non certo milionarie. «Fare carriera, favorire un figlio…». Dicono che potrebbe essere il prossimo candidato sindaco di Milano. Potrebbe, molto dipende dal primo maggio, e poi dal 2, dal 3. «Comunque, se va male, ci sarà un solo colpevole: io. Ma sono sereno, non andrà male». Gira come un matto per il cantiere con l’elmetto bianco in testa, condivide la follia con una squadra giovane di 350 persone, punta molto sui cinesi che hanno garantito un milione di presenze e rappresentano, secondo lui, un futuro che l’Italia farebbe male a sottovalutare. «E questo Expo potrebbe rappresentare per loro un ottimo gancio». Peccato che il sito in mandarino, pensato proprio per favorire le relazioni con Pechino, sia in panne. Quanto al portale ufficiale dell’evento, è solo in due lingue (inglese e francese), si carica piuttosto lentamente e contiene filmati, specie quelli sulla grande famiglia della mascotte Foody, ovvero Piera la Pera, Pomina la Mela, Guagliò l’Aglio, non esattamente irresistibili. Una piccola star della rete, Yotobi, ha raggiunto 600 mila visualizzazioni con un video beffardo sulle incongruenze presenti nelle simulazioni ufficiali dei vari ambienti Expo. Conclusione piratesca: «Che me ne strafotte a me, l’importante è che se magni».
Se allo sberleffo si somma l’angoscia per la rincorsa a quello che non è stato fatto e chissà se si riuscirà a fare, più l’apprensione, sottaciuta ma palpabile, dei cortei dei vari antagonismi che proprio il primo maggio convergeranno su Milano per ribadire il loro no a tutti e tutto, più ancora la minaccia, insondabile, del terrorismo col cappuccio nero, il clima generale che si respira intorno alla Milano-Rho è di quelli che richiederebbero perlomeno un colpo d’ala.
Marco Balich, oltre che direttore artistico del Padiglione Italia, è un veneziano cinquantenne diventato ricco e famoso inventando eventi spettacolari nel mondo. Prossimamente si occuperà dell’Olimpiade di Rio. Al momento ha realizzato l’Albero della vita, 35 metri di larice siberiano e anima di metallo, che sboccerà ogni giorno con uno spettacolo diverso di luci e suoni. Da solo è costato 8,5 milioni di euro. Sarà la Madonnina laica dell’Expo, il punto più alto, lo show più imprevisto. «E dentro, nel nostro Palazzo, abbiamo organizzato una serie di mostre che hanno un denominatore comune: puntare ai ventenni e comunicargli l’orgoglio di cos’è l’Italia». Il Palazzo è un frastagliato castello bianco, trapuntato di guglie che sembrano spume d’onda o spaghetti, a scelta. Ospiterà le nostre bellezze, cibi, palazzi, paesaggi, in un modo non convenzionale, sensoriale, con ologrammi, schermi tv con i mercati di Roma, Venezia e Palermo collegati in diretta dall’alba a notte, percorsi al buio tra i sapori, persino un plastico immaginario dove non c’è “lo stivale”. Vedi le coste dell’Africa, e poi un Mediterraneo che arriva a bagnare direttamente Francia, Svizzera, Austria e Slovenia. Titolo: «Un mondo senza Italia». Un vuoto ingombrante. Un piccolo colpo d’ala.
Carlo Verdelli, la Repubblica 9/4/2015

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RENATO PEZZINI, IL MESSAGGERO 7/4/2015 -
Onore alla Repubblica Ceca che, se fosse per lei, l’Expo di Milano sarebbe già bell’e pronto per l’inaugurazione. Sono stati i primi, i cechi, a completare il proprio padiglione comprensivo di statua davanti all’ingresso: con un mese d’anticipo. Persino troppo presto. Così gli operai e i tecnici giunti da Praga si guardano intorno, a braccia conserte, mentre dal resto del cantiere si alza un infernale brusio meccanico di escavatrici, camion, gru, martelli pneumatici, trapani. E tutti, a differenza dei cechi, si affannano assediati dalla stessa domanda: «Faremo in tempo?».
In gioco qui, tra cavi all’aria e tondini ancora desolantemente nudi piantati nel fango, c’è l’immagine dell’Italia ma anche la proverbiale efficienza milanese, a dir poco a forte rischio. L’area dell’Expo di Milano, vista dall’alto, ha la forma di un pesce grande come duecento campi da calcio. È attraversato da un viale di un chilometro chiamato Decumano, e sul lato corto da un altro viale chiamato Cardo. A lavori ultimati ci saranno ottantasei palazzi sui due viali. Più di cinquanta costruiti e gestiti dai Paesi che hanno voluto uno spazio tutto per loro, altri nove dove le Nazioni meno abbienti (o meno interessate) si sono messe insieme sulla base di «tematiche comuni». Poi un’altra ventina di padiglioni gestiti da imprese o associazioni private, o dedicati ad argomenti specifici.
I russi e i turchi sono i più indietro. I loro padiglioni stanno quasi a zero, e ci vuole la fantasia di un sognatore per immaginarli finiti entro il Primo Maggio. Ma hanno garantito che ce la faranno. I nepalesi si sono imbarcati in un’avventura stramba affidando il grosso del lavoro agli incisori che decorano con minuzia grandi travi di legno scuro che costituiranno lo scheletro del loro palazzo. Lavorano con lentezza, ma col sorriso, certi di farcela. «A parte Russia, Turchia e Nepal, tutti gli altri progetti sono a buon punto» dice il commissario di Expo, Giuseppe Sala.
Nel giorno di Pasquetta il sindaco Pisapia si aggira nel cantiere per un sopralluogo: «Stiamo facendo i miracoli». E già l’utilizzo della parola «miracoli» la dice lunga sul clima da emergenza che si respira. Del resto, sono ancora in corso i lavori per la «rimozione delle interferenze», quelli che dovevano essere completati più di un anno fa per rendere l’area accessibile ai costruttori degli stand. Affidati a una cooperativa di Ravenna, i termini di consegna hanno subito tre rinvii per le ragioni più disparate, e i costi sono saliti da 52 milioni a quasi 130 milioni di euro.
L’OROLOGIO DIGITALE
Una decina di giorni fa il sito web creato appositamente per monitorare lo stato di avanzamento dei lavori (OpenExpo) aveva creato scompiglio decretando che solo il 9 per cento dei progetti è già stato realizzato. Poi qualcuno ha spiegato che in realtà le statistiche non vengono aggiornate da tempo e che, dunque, la progressione delle opere è ben più avanti, oltre il 60 per cento. I susseguenti sospironi di sollievo hanno fatto passare in secondo piano il fatto che il sito creato appositamente per garantire la trasparenza dell’operazione sia stato abbandonato a sé stesso.
GIORNO E NOTTE
Ci sono 6.500 operai che in questi giorni lavorano nel cantiere. Sabato e domenica compresi. Intorno a qualche padiglione s’è iniziato pure a lavorare di notte, significa che il fiato sul collo del tempo che passa si fa sentire. Vicente Loscertales, segretario del Bureau International des Expositions, viene a Milano ogni due settimane per verificare lo stato dell’arte. Un paio di giorni fa se n’è andato somministrando ottimismo, però ha anche messo in guardia l’Italia: «Il Paese organizzatore non può permettersi di fallire col proprio Padiglione».
Già, perché oltre ai problemi dei russi e dei turchi ci sono anche i problemi degli italiani. Il nostro Paese, ovviamente, fa la parte del leone. Ha riservato per sé tutti gli spazi che si affacciano sul Cardo. I cinque piani del Palazzo Italia – il cuore dell’area espositiva – sono completati. Il problema sono gli allestimenti interni ancora in una fase embrionale: «Il primo maggio i visitatori potranno vedere tutto quello che c’è da vedere». Per quella data, però, gli uffici e l’auditorium che nel progetto iniziale dovevano trovare spazio nel Palazzo non saranno ultimati.
Lo stesso discorso vale per il resto del settore italiano, in particolare per le palazzine che ospitano gli stand delle regioni, quello di Confindustria, quello di Coldiretti. La società che ha vinto l’appalto per l’edificazione e l’allestimento delle strutture – Italiana Costruzioni – ha moltiplicato il numero dei tecnici e degli operai impegnati nel cantiere e ha sottoscritto un accordo in base al quale se i lavori non termineranno in tempo utile dovrà pagare una penale. Rimane il fatto che questo forcing contribuisce a far lievitare i costi del Padiglione, già saliti da 63 milioni a 92.
PROGETTI RIDIMENSIONATI
«Sui soldi in più nessun problema» giurano i responsabili di Padiglione Italia «con i contratti degli sponsor privati le spese suppletive sono già coperte». Sarà pur vero. Ma col crescere delle spese cresce il rammarico per quel che poteva essere e non è stato. E, soprattutto, per gli anni spesi a litigare, a ingaggiare battaglie politiche per chi doveva comandare, a fare e disfare consigli di amministrazione, insomma a occuparsi di tutto fuorché dell’essenziale. Col risultato che i progetti iniziali sono stati ridimensionati e ora si sta col cuore in gola per arrivare in tempo.
Ai problemi interni al cantiere si devono sommare quelli esterni. Che sono parecchi e riguardano soprattutto i trasporti. La bretella autostradale che doveva collegare il nord di Milano con l’area espositiva non sarà in funzione nei giorni dell’inaugurazione. La nuova linea 5 della metropolitana è aperto solo a metà, e le stazioni più prossime all’Expo verranno inaugurate a fine mese ammesso che i collaudi vengano fatti in tempo. Per non parlare dell’altra linea (la Blu) che nei progetti iniziali doveva essere in funzione, ma la cui costruzione è stata rimandata al 2022.
«In qualsiasi grande manifestazione internazionale si arriva sempre col cuore in gola» dice ancora il commissario Sala. Perfino gli olandesi che hanno deciso di partecipare solo alla fine del 2014 stanno finendo solo ora il loro padiglione. Però non tutti corrono allo stesso modo: qualche giorno fa la società Expo ha indetto un appalto da più un milione per le coperture di abbellimento dette di «camouflage». Sono quei teloni che vengono innalzati per coprire le brutture di cantieri ancora aperti, e anche questa notizia ha creato allarme. In realtà i teloni stavolta dovrebbero servire solo per dare grazia ad alcune strutture non proprio gradevoli, tipo i container delle biglietterie, o i bagni chimici. «Su Expo siamo riusciti a raddrizzare una situazione di grande difficoltà» ha detto l’altro ieri il neo ministro delle Infrastrutture, Delrio. Bisogna aspettare ancora venticinque giorni per capire se la situazione è stata raddrizzata per davvero.

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SEBASTIANO VASSALLI, CORRIERE DELLA SERA 5/4/2015 -
«Noi siamo sul promonto-rio estremo dei secoli!» Così scriveva Filippo Tommaso Marinetti nel Manifesto del Futurismo, pubblicato dal «Figaro» di Parigi il 20 febbraio 1909. Arrivava, però, con qualche ritardo. Il promontorio estremo dei secoli, già peraltro previsto da Leopardi che proprio futurista non fu, era stato raggiunto e superato nel 1851 a Londra con la prima esposizione universale: la Great Exhibition tenutasi al Crystal Palace. Che registrò, dicono le cronache dell’epoca, ben sei milioni di visitatori! Ci furono poi l’esposizione di Parigi del 1855 con cinque milioni di visitatori, un’altra a Londra nel 1862, un’altra a Parigi nel 1867 con sette milioni di visitatori… L’Italia unita arrivò tardi, con l’esposizione di Torino del 1870 e quelle di Milano del 1881 e del 1906. Il secolo della Modernità, del Progresso (che Flaubert, e mal gliene incolse, tentò di mettere alla berlina nel suo romanzo Bouvard et Pécuchet) e, in definitiva, del Futuro fu l’Ottocento: anche la Tour Eiffel, a Parigi, si fece per l’esposizione universale del 1889. Queste e altre notizie, con qualche testo di accompagnamento e di riflessione, si trovano in un numero speciale: Expo. Saggi e antologia, della rivista letteraria «Nuova corrente» che si pubblica a Genova dal 1954. Non una trattazione sistematica ma materiali certamente utili per comprendere la trasformazione nel tempo di un evento, nato modernissimo, che ormai è diventato postmoderno come noi; e che ci interesserà da vicino nei prossimi mesi.

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FABIO POLETTI, LA STAMPA 3/4/2015 -
Se Italiana Costruzioni non consegna in tempo Padiglione Italia, perde il 20% della commessa. Si corre con una pistola alla tempia caricata ad euro nel sito di Expo 2015 che si inaugura tra 28 giorni. Giuseppe Sala il commissario unico ci mette la faccia: «Se non arriveremo in tempo il primo maggio ci sarà un solo colpevole. Sono io. Ma sono tranquillo». Per fare in fretta e non fare una figuraccia cosmica si dà una ritoccatina alle commesse. Il governo ci aveva messo 63 milioni. Il costo totale della costruzione e dell’allestimento, senza contare la gestione, sarà di 92 milioni. Gli sponsor mettono tanto. L’obiettivo per andare in pareggio è vendere almeno 24 milioni di biglietti. Ma a un niente dal via i team di legali di Italiana Costruzioni e di Expo sono riusciti a trovare un accordo dopo 10 ore. Manca il timbro dell’Avvocatura dello Stato e dell’Anac di Raffaele Cantone. L’entità della cifra dell’accordo, Giuseppe Sala non l’ha voluta dire: «In totale ci sono 4 procedimenti aperti con le imprese sui lavori fondamentali: Mantovani, Maltauro, Cmc e Italiana Costruzioni. Spero si definisca tutto entro il primo maggio».
Soldi a parte, solo alla fine si faranno i conti di questa corsa all’ultimo mattone. Il numero uno di Expo fa l’ottimista: «Ritengo che la visita a Palazzo Italia sarà garantita da subito. Più in difficoltà c’è la zona Sud del Cardo dove sono i padiglioni di Coldiretti, Confindustria e delle Regioni, ma stiamo affrontando le criticità una ad una». Non c’è Expo nel mondo che sia finita in tempo. Quella italiana del 1905 l’hanno fatta addirittura l’anno dopo perché il Traforo del Sempione non era finito. Tra uffici e spazi espositivi, nel caso saranno i primi ad essere sacrificati. Se dovesse mancare qualcosa, assicura Giuseppe Sala, non sarà così decisivo: «Il ristorante di Casa Italia si farà. È a rischio l’auditorium, ma abbiamo altri spazi di questo tipo». Di sicuro non si potrà fare a meno dei collaudi. L’autocertificazione sarà valida solo per le strutture temporanee. A questo punto non sono ammessi cedimenti, parola di Giuseppe Sala: «Sono costernato dal clima che si è creato attorno all’evento. Se devo fare una scommessa dico che tutti arriveranno in tempo in base a quello che vedo e alle rassicurazioni che ho avuto».
Fabio Poletti, La Stampa 3/4/2015

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FABIO POLETTI, LA STAMPA 3/4/2015 -
Attorno al Padiglione Italia ci sono quattro gru sempre in movimento. Dentro a questi cinque piani di cemento biodinamico e vetro fumé operai col caschetto di protezione srotolano rotoli di catrame, lavorano di fiamma ossidrica, spostano scale e tirano fili elettrici che ancora penzolano. Nel cantiere di Expo 2015 che non dorme mai, 6000 operai sono al lavoro giorno e notte, non c’è Pasqua, non ci sono santi. Mancano 28 giorni all’inaugurazione e non c’è un centimetro che non sia affollato da camion e caterpillar. «È come essere tutti i giorni in battaglia...», giura un operaio sotto l’Albero della vita su cui svetta la bandiera italiana e quella di Brescia, orgoglio degli operai che l’hanno tirato su per 35 metri con fronde di legno e acciaio larghe 27. Sembra finito l’Albero simbolo di Expo 2015. Manca la sommità, mancano alcuni migliaia di led e gli allacciamenti elettrici, mancano venti giorni per tirare finalmente il fiato.
OTTIMISTI E PESSIMISTI
Nella zona Sud del Cardo, la branchia del pesce grande 170 campi da calcio, il lavoro è ancora più frenetico. Si lavora dentro e fuori il padiglione di Coldiretti e di Confindustria, due piani ricoperti di impalcature. Gli ottimisti dicono che basta togliere gli operai e le scavatrici e a guardare bene si è a buon punto. I pessimisti non trovano un centimetro senza un operaio che parla nei cento dialetti del Nord Italia o nelle lingue di mezzo mondo. Sul padiglione della Cina operai acrobati lavorano sul tetto, imbragati come alpinisti. Dentro a quello della Repubblica Ceca, uno dei padiglioni più virtuosi, quasi finito con largo anticipo, gli operai vanno a birrette – ce ne sono bidoni ovunque – e sistemano infissi ed allestimenti interni. L’altro giorno per l’inaugurazione c’erano un bel po’ ministri cechi e pure Alena Seredova. Anche il Bahrein è messo bene. Dall’Olanda sono arrivate le piante, comprese la palma alta 17 metri che prima sarebbe morta nel freddo milanese. Manca tutta la domotica perché l’irrigazione sarà guidata direttamente da Amsterdam. «In venti giorni finiamo...», giura il capomastro.
Ci vuole ottimismo e un occhio attento al cronoprogramma per essere sicuri di fare in tempo. Il «cruscotto» del sito Expo 2015 con i dati più aggiornati con lo stato dell’avanzamento dei lavori impone una professione di fede: dei 34 lotti controllati dagli italiani il 65% è ancora in lavorazione, il 21% è concluso, il 6% in fase di collaudo, altrettanto con verifiche contabili e amministrative in corso. «I conti li facciamo tra il 20 e il 25 aprile», giurano gli ottimisti nel cantiere che non si può più permettere di dormire. Le vie d’acqua attorno al sito sono riempite. Quella della zona Sud è ancora a secco, bisogna decidere bene il da farsi. Ma quello che importa è che «tutto quello che c’è da vedere si vedrà il primo maggio». Tutto senza trucchi e senza inganni. «Il camouflage sarà fatto per abbellire mica per nascondere... Ci sono attorno al sito vecchie strutture industriali che c’entrano poco con l’esposizione...», promette Giuseppe Sala il commissario di Expo 2015 di quei 2 milioni 685 mila e 200 della gara d’appalto chiusa solo il 26 marzo, per gli «allestimenti con funzione di schermatura visiva».
IL NEPAL SCEGLIE IL TEAK
E allora si lavora senza rete nei 53 padiglioni selfbuilding dei paesi partecipanti dove si registrano i maggiori ritardi. Il console russo giura che arriveranno in tempo per l’inaugurazione. In Brasile dove il commissario per Expo è in carica da due settimane promettono miracoli. Attorno al padiglione della Turchia gli operai lavorano come turchi per fare in tempo. Lo stesso gli estoni. Solo nel padiglione del Nepal costruito in teak come un mandala, il cerchio della vita, non si scompongono. Il padiglione è alto due piani di legno intagliato a mano. Attorno al perimetro ci sono altre colonne alte due metri interamente intarsiate a fiori e motivi geometrici. Mancano 28 giorni e Chamidra Maharjaa arrivato da Kathmandu con il suo scalpello e altri 50 artigiani, lavora come un matto senza perdere il sorriso : «Per intagliare una colonna ci metto dieci giorni». Attorno al tempio, quando sarà finito, di colonne intarsiate ce ne saranno 42, incise a mano millimetro dopo millimetro con santa pazienza nepalese e un bel po’ di dinamismo milanese.
Fabio Poletti, La Stampa 3/4/2015

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ALESSIA GALLIONE, LA REPUBBLICA 3/4/2015 -
Alla fine Giuseppe Sala assicura che anche il padiglione che sarà il simbolo dell’Italia a Expo aprirà il primo maggio. Ma la consegna è da brividi: 30 aprile, il giorno prima. Il tour che faranno i visitatori tra mostre e ristorante «sarà garantito», dice il commissario unico. Nonostante alcuni piani del palazzo principale che comprendono gli uffici e l’auditorium, però, saranno terminati a manifestazione iniziata. Questione di priorità. Perché la corsa non è ancora finita. In ogni caso c’è già una certezza: per riuscire a trasformare un cantiere in uno spazio visibile al pubblico i costi aumenteranno. Tutto il padiglione, composto da Palazzo Italia e da altri edifici lungo il cosiddetto cardo, tra costruzione e allestimenti sarebbe dovuto costare 63 milioni di euro pubblici. Arriverà a 92 milioni: quasi 30 milioni, il 50% in più, necessari per rivedere il progetto e poi per aggiungere operai che lavorano 24 ore su 24, mezzi e materiali. Spese extra che, spiega Sala, «saranno coperte dagli sponsor privati. Il bilancio del padiglione è in pareggio».
Ci ha voluto mettere la faccia, Sala. Su tutta l’area ci sono 6.500 operai e la maggior parte dei padiglioni, spiega il commissario, sarà terminata «tra il 20 e il 25 aprile». Si dice sicuro: «È così in ogni Expo. Le strutture sono in gran parte finite all’esterno. Le criticità sono poche: riguardano i padiglioni di Nepal, Turchia, Russia, forse Estonia». E anche per quelli «se devo fare una scommessa dico che arriveranno in tempo». Se non sarà così, dice il commissario, «c’è un unico responsabile della brutta figura e sono io, ma sono certo che non avverrà». Il mantra è: «Il primo maggio saremo pronti». Un’inaugurazione a cui, a cominciare da Sergio Mattarella non ci saranno molti capi di Stato.
Questione (anche) di sicurezza. Certo, i ritardi e gli scandali ci sono stati. Ma, adesso, si sfoga, «sono costernato dal clima che si è generato» intorno all’evento.
Il cda di Expo ha affrontato ieri la questione tempi e costi di Padiglione Italia. La gran parte (24 milioni) dei 30 di aumento riguarda l’azienda principale (coinvolta nell’inchiesta di Firenze sulle gradi opere) che sta costruendo le strutture: Italia costruzioni. È con questa impresa che è stato raggiunto un accordo economico che dovrà passare al vaglio dell’Anac e dell’Avvocatura dello Stato. Italiana costruzioni partiva da una commessa di 28 milioni(18,5 per Palazzo Italia e 9,2 per il cardo); potrebbe arrivare a 52 milioni. Nel conto vanno messi 16 milioni di lavori extra per modificare il progetto e 8 milioni di “maggiori oneri”. Se la struttura non sarà consegnata in tempo, però, l’impresa perderà il 20 per cento. Lo stesso Sala ammette problemi lungo il cardo – dove ci sono gli spazi di Regione Lombardia e la mostra di Confindustria. Ma con un’accelerazione, promette, le parti visitabili dovrebbero in gran parte farcela. Mancano 28 giorni.
Alessia Gallione, la Repubblica 3/4/2015

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MICHELE BRAMBILLA, LA STAMPA 1/4/2015-
Tra un mese esatto comincia l’Expo e a Milano ci si sta dando da fare affinché tutto sia pronto. O meglio, affinché tutto sembri pronto. Dire che siamo indietro, infatti, sarebbe poco. Il 74 per cento dei padiglioni è ancora in costruzione, altri sono in fase di collaudo o verifica amministrativa, solo il 9 per cento è ultimato.
Così, il 26 marzo scorso è stato chiuso l’appalto per il «camouflage», modo elegante per dire camuffamento. In pratica saranno costruiti dei pannelli mobili – che sempre in modo elegante vengono chiamati «exthernal exhibition elements» – i quali serviranno a non far vedere, ai visitatori, le opere ancora incompiute, i cantieri aperti, insomma il brutto del provvisorio. L’inaugurazione del primo maggio a qualcuno ricorderà probabilmente quella della casa «a comparti mobili» del decaduto conte Mascetti in Amici miei, con il Necchi-Duilio Del Prete che dice «pare che non c’è nulla invece c’è tutto», e il Mascetti-Ugo Tognazzi che risponde amaro «pare che c’è tutto invece non c’è nulla».
Come si sia arrivati in dirittura d’arrivo in queste condizioni, è presto detto, anche se resta un mezzo mistero, vista la fama di efficienza che ha, o meglio che aveva, Milano. Il tempo per far meglio, sinceramente, non mancava. Dell’Expo s’era cominciato a parlare addirittura nel 2006. Un paio di anni più tardi il Comune di Milano se l’era aggiudicato formalmente, grazie all’impegno della giunta Moratti. Poi, qualcosa è successo e, come sempre in questi casi, un po’ di colpa è anche della sfortuna. Infatti a un certo punto è arrivata, imprevista, la grande crisi economica, e il governo – ministro Tremonti – ha cominciato a tagliare a Milano un certo numero di finanziamenti. Poi, ancora più imprevisto, è arrivato il terremoto de L’Aquila, e i fondi per la costruzione della quarta linea della metropolitana milanese sono stati dirottati in Abruzzo.
Ma la sfortuna, come sempre, non basta a spiegare. L’amara verità è che Milano ha commesso molti errori. A cominciare dal fatto che non ha saputo fare squadra. Ci sono stati litigi infiniti, e del gruppo dirigente iniziale è rimasta solo Diana Bracco, la presidente: gli altri sono cambiati tutti. Poi ci sono stati problemi per l’acquisizione delle aree. Poi ci sono stati gli episodi di corruzione, e le inchieste. E qua verrebbe da dire: è vero che la corruzione è un virus onnipresente, ma è anche vero che quando si è in ritardo, e si forzano le procedure per gli appalti per fare in fretta, il virus prende forza.
È mancata anche, come si usa dire, «una visione d’insieme». Beppe Grillo è Beppe Grillo, e quindi esagererà anche quando dice che ci si è limitati a far palazzi «nel luogo più brutto del mondo», fra Pero e Rho, cioè fra l’autostrada e le raffinerie. Però è innegabile che un Expo si fa per mostrare al mondo un Paese intero, non un quartiere. La cultura del cibo, in Italia, è ovunque, i visitatori avrebbero dovuto avere la possibilità di raggiungere facilmente ogni regione, invece saremo ancora qui, tanto per fare un esempio, con la vergogna della Milano-Torino a due corsie, per giunta piene di curve e di camion e delimitate da paratie mobili che quando fai un sorpasso raccomandi l’anima a Dio.
Questo giornale non è, e non è mai stato, «contro» l’Expo. Anzi. Abbiamo sempre pensato che sarebbe stata una grande opportunità per metterci in mostra e per ripartire. Ma per come siamo arrivati impreparati all’appuntamento, il timore è che in mostra metteremo, oltre gli «exthernal exhibition elements», il peggio dell’approssimazione italiana.
Michele Brambilla, La Stampa 1/4/2015

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IL POST 9/2/2015 -

I prezzi dei biglietti d’ingresso a EXPO 2015 – l’Esposizione Universale di Milano che verrà ospitata dalla città dal 1 maggio al 31 ottobre 2015 – variano a seconda delle fasce d’età e della modalità di entrata. Si possono comprare direttamente sul sito oppure dai rivenditori autorizzati (il più grande è l’EXPO Gate in piazza Cairoli, a Milano, davanti al Castello Sforzesco).

Conviene comprare il biglietto di EXPO 2015 prima dell’inizio dell’Esposizione, perché fino al 30 aprile è previsto uno sconto del 20 per cento (i prezzi che trovate ora sul sito e che riportiamo qui sotto sono già scontati rispetto a quanto costerà un biglietto d’entrata dal primo maggio).

Si può scegliere il biglietto per EXPO 2015 con una data fissa o un biglietto per una data aperta, che quindi varrà per una giornata qualsiasi. Le fasce d’età partono dagli 0 ai 3 anni in cui il biglietto è gratuito, ma va ritirato presso l’EXPO Gate in piazza Cairoli o presso i rivenditori autorizzati prima dell’ingresso: poiché il biglietto gratuito per i bambini viene stampato con una data fissa, anche i genitori che li accompagnano devono avere il biglietto per la stessa data. La seconda fascia, quella dei bambini, va dai 3 ai 13 anni, mentre gli adulti sono dai 14 ai 64 anni, oltre i 64 anni si viene considerati nella fascia seniores.

Prezzo del biglietto per EXPO 2015 per una data fissa:

Adulti: 27 euro entrata singola, 47 euro entrata per due giorni (per forza consecutivi).

Senior: 20 euro entrata singola, 34 entrata per due giorni (per forza consecutivi).

Pacchetto famiglia per un giorno: 1 adulto + 1 bambino 34,50 euro; 2 adulti + 1 bambino 57,50 euro; 1 adulto + 2 bambini 46 euro; 2 adulti + 2 bambini 67 euro.

Pacchetto famiglia per due giorni: 1 adulto + 1 bambino 62 euro; 2 adulti + 1 bambino 105 euro; 1 adulto + 2 bambini 81 euro; 2 adulti + 2 bambini 124 euro.



Prezzo del biglietto per EXPO 2015 per una data aperta:

Adulti: 32 euro entrata singola, 57 euro entrata per due giorni (per forza consecutivi).

Senior: 25 euro entrata singola, 40 euro entrata per due giorni (per forza consecutivi).

Pacchetto famiglia per un giorno: 1 adulto + 1 bambino 41 euro; 2 adulti + 1 bambino 69 euro; 1 adulto + 2 bambini 54 euro; 2 adulti + 2 bambini 82 euro.

Pacchetto famiglia per due giorni: 1 adulto + 1 bambino 76 euro; 2 adulti + 1 bambino 129 euro; 1 adulto + 2 bambini 99 euro; 2 adulti + 2 bambini 152 euro.

È fortemente consigliato convertire in un secondo momento i biglietti in data aperta in biglietti con una data precisa, poiché c’è un limite massimo di ingresso giornaliero – 250mila persone – e si può rischiare di rimanere fuori. Basterà andare sul sito qualche giorno prima e confermare la data (una volta fatto non si potrà più cambiare).