Maurizio Crosetti, la Repubblica 25/4/2015, 25 aprile 2015
Il mondo veloce del timido Mick il pilota bambino che insegue papà - Ha la faccia di Schumi, gli occhi di Schumi, il nome di Schumi, lo sguardo di Schumi
Il mondo veloce del timido Mick il pilota bambino che insegue papà - Ha la faccia di Schumi, gli occhi di Schumi, il nome di Schumi, lo sguardo di Schumi. Ha, sul casco, le sette stelle che portava Schumi, sette titoli mondiali e un firmamento nel cuore. Ha la velocità dentro, come Schumi. E una macchina da corsa a fasciargli il corpo, come aveva Schumi. Ha lo sguardo serio di Schumi e quello stesso sorriso improvviso, un po’ tirato, a volte i timidi sorridono così. Ma lui sente il rombo dei motori, vede, si emoziona, ha paura. Il figlio Mick è vivo, il padre Michael vegeta. E il padre non c’è, nel giorno in cui il figlio sale per la prima volta su un bolide di Formula 4 per una corsa. Cerchiamo i nostri padri, fuggiamo i nostri padri per avere un nome e una storia solo nostra. Non è possibile. La pista è in mezzo a una prateria vicino a Magdeburgo, un tempo si chiamava Germania Est. Prati infiniti e capannoni, odore d’erba e benzina. Il figlio indossa una tuta nera e un elmo fluorescente verde mela, la sua macchina numero 25 è nera e argento. Ha i capelli corti sparati all’insù, è un bambino dentro un giorno da grandi, un grumo di destino enorme. «I fotografi mi seguiranno sempre? Non hanno fatto abbastanza scatti? Sarà sempre così?» domanda a Sabine Kehm, la portavoce del padre che ora accudisce lui. Mick, spaurito ma coraggioso, fissa i monitor dove lampeggia la linea del circuito, ne impara gli angoli a memoria. Quando appoggia il viso al mento è il padre sputato. Anche quando mette le braccia conserte: identico. E forse è davvero una storia da psicanalisi, non di automobilismo sportivo. C’è Telemaco che aspetta Ulisse, ma Ulisse non verrà. Il ritorno del padre diventa la scelta del figlio, la sua sorte e il suo peso, il suo sogno. Corre forte, il figlio. Vice campione del mondo 2014 sui kart. Ieri, nel giorno di prove in F4, Schumacher in miniatura è andato bene al mattino e maluccio il pomeriggio, forse la tensione l’ha un po’ frenato, guai se così non fosse, Mick sarebbe già d’acciaio e a quell’età non è il caso. Tre gare, una oggi e due domani, all’ora di pranzo partirà diciannovesimo su trentotto, non un granché. «Non ci aspettiamo che vinca, lui è tranquillo, un ragazzo magnifico», racconta Sabine. «Oh sì, Mick è adorabile » conferma Frits Van Amersfoort, il proprietario della scuderia olandese che gli ha dato un’auto. «La Formula 4 è sicura, si corre in primavera e d’estate perché i ragazzi non perdano la scuola, non esiste un modo migliore per imparare e arrivare un giorno, chissà, in Formula Uno». Il gene della velocità corre e passa nel sangue, insieme a una serie di privilegi e scorciatoie per i figli di papà al volante, ieri e oggi: Rosberg, Schumacher, Alesi, Prost, Piquet, Andretti, Villeneuve. «Anche i figli dei medici spesso fanno i medici», dice il patròn. E quelli dei giornalisti, e dei notai, così va il mondo. Ma qui c’è un padre che non c’è, è diverso. Fino all’altro ieri, il figlio aveva provato a uccidere simbolicamente il padre, togliendosi il cognome: sui kart correva infatti come Mick Betsch, così si chiamava da nubile mamma Corinna (quasi certamente verrà, oggi o domani). Però è tempo di non scappare più e accettare per intero il destino, nel nome del padre. Scritto adesso sulla fiancata dell’auto, in maiuscolo, iniziale del nome e cognome. Come fare il ciclista ed essere il figlio di Coppi, oppure mettersi a insegnare fisica chiamandosi Einstein. Un peso immane sulle spalle curve del ragazzo, esile come un giunco mentre indossa la tuta del guerriero, lentissimi i gesti rituali, le scapole gli escono all’infuori come le ossa di un uccellino. Ha solo sedici anni, ci rendiamo conto?, eppure sfreccia ai 220 all’ora con 160 cavalli sotto il sedere, e chissà come si sente sua madre e se l’angoscia le leva il fiato, chissà cosa pensa sua sorella Gina Maria che fa la cavallerizza come Corinna da giovane, anche lei segue una pista e insegue una traccia. Peccato che il destino si faccia beffe della paura, il padre si salvò ai trecento all’ora e si schiantò sugli sci quasi da fermo, sono sedici mesi ormai, adesso pesa 45 chili e ogni tanto batte le ciglia: dicono parli così, ma forse non è vero. La sua villa a Gland, sul lago di Ginevra, ogni giorno è più immensa. A marzo i ladri hanno portato via altre cartelle cliniche dallo studio del medico Johannes Peil, la prima volta il presunto ladro s’impiccò in carcere, era d’estate e la pietà per tutto questo non finisce mai. Magari il figlio corre anche per isolarsi, per essere altrove e, insieme, il nocciolo dello stesso frutto, Mick come Michael mentre il mondo sfreccia di lato, quando i contorni sfumano nella centrifuga della velocità. Ha il volto punteggiato di foruncoli in quell’età che cambia i lineamenti da un giorno all’altro, oggi il naso sembra più grosso di ieri e la mascella s’allarga, il mento si appuntisce, la voce sprofonda. Anche l’espressione di un uomo si forma e muta così, di colpo, quando l’uomo dice addio al ragazzo che aveva dentro. I tifosi lo aspettano fuori dai box, gli chiedono l’autografo, e i cronisti parole che non avranno. La cortina attorno a Mick non è solo il nastro nero del paddock, è la necessaria protezione, però se ti chiami Schumacher e decidi di fare il pilota è un po’ difficile passare inosservato. Il figlio si abituerà anche a questo, mentre guarda una bandiera della Ferrari sbattuta dal vento accanto al furgone “Pizzeria Amore Mio”. «È difficile passare dai kart alle monoposto, ma io sarò sempre vicino a Mick», promette Sebastian Vettel, quasi il padrino automobilistico del ragazzo. «Avrà una pressione enorme addosso, sempre», commenta invece Nicki Lauda. Da fuori sembra tutto semplice e tutto difficilissimo, ma per capire davvero bisognerebbe entrare nei pensieri del figlio ora che sale in auto e appare ancora più minuscolo, mentre lo legano con le cinture rosse. Quasi un neonato nella culla. C’è quel momento speciale in cui un pilota è l’essere più solo al mondo, e di solito fissa un punto all’orizzonte. Tutto è misterioso. Poi abbassa la visiera con un colpo secco, un altro istante ed è già via, lontano. Quasi più di Ulisse che non tornerà.