Pasquale Panella, IL, Il Sole24Ore 24/4/2015, 24 aprile 2015
DARE I NUMERI A PAROLE
La letteratura non insegna niente, né a scrivere né a vivere, non è un corso, non è una via. Direi che non ha niente a che vedere né con la scrittura né con la lettura. È come le religioni, come le ideologie. Succede, per esempio, che sei ateo e, per disgrazia, incontri un ateo parlante: ti viene la nausea, diventeresti tempio e preghiera silenziosa, tu in persona.
Succede anche al contrario. Queste cose accadono fronte e retro, sempre. Cose, ossia l’inumano. Insomma, letteratura, religione, ideologia, a contatto con l’umano, a libro aperto, esposte, diventano polvere di parole al vento. Ma, nei libri chiusi, sono cose che succedono. Soddisfano un’intuizione dell’umanità: tutto accade lontano, in un istante di serrata fermezza. Chi legge è un supporto, regge il libro in mano e prende le distanze dalla vita. Leggere è quando chiudi le pagine e gli occhi, e stai per un istante così. Cos’è la narrazione? È come stanno le cose. Questa parola terribile: come. A tre teste: avverbio, congiunzione e sostantivo, il come. Come stanno le cose? Stanno come i personaggi in un romanzo, stanno come, in un romanzo, i paesaggi. E gli stati d’animo stanno come le padelle al muro: appesi. E si può dire al contrario: in un racconto, tutto sta come le cose stanno. Insomma, hai la presunzione d’essere una cosa, un come? Scriviti. Ma fallo per necessità, fallo per denaro (non sai quanto risparmi in poetica). Fallo per quell’ottima ragione che è lo sragionare. Fallo per avventura ossia per non viaggiare. Oppure fantastica ovvero crea realtà. Commetti abigeato: trafuga tutto il bestiame delle parole, che mai sono tue. Lascia pure aperto lo stallo del finale, fuggite le frasi muggenti. Ma non comunicare. Non venirmi a raccontare te (parlo con me, nessuno si inorgoglisca). Non farmi due palle di te stesso, anche fittizio, anche terza persona, anche non te con quei nomi inventati da te, sempre tu, inventore di persone, poi pronomi. Non farmi il lamento ossia l’umano. Anche se mi fai il franco americanoide osservatore immerso, comico a sfondo tragico ossia viziato, anche se mi fai il flagellatore di tutti sul tuo corpo spiritoso, tutto il lamento è il tuo, anche se ridi o fai il dolciastro, sempre hai quel lecca lecca in bocca al gusto semeiotico che cola. Basta, devo chiudere. Insomma, i libri non deridono più la vita ma ne fanno parte. Si scrive, ormai, per essere, addirittura, letti.