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 2015  aprile 24 Venerdì calendario

ARRIVA FREEDHOME E IL CARCERE DIVENTA UN BRAND

ARRIVA FREEDHOME E IL CARCERE DIVENTA UN BRAND–

Quando Walid entrò in carcere non aveva mai sentito parlare di busta paga, tfr, contratto nazionale di categoria. Arrivato giovanissimo dalla Tunisia, ha trascorso la maggior parte dei suoi venti anni in Italia nel giro dello spaccio. Ci è voluto l’incontro con il laboratorio di stampa e serigrafia della cooperativa sociale Extraliberi – che nella casa circondariale torinese di Lorusso-Cutugno dà lavoro a quattro detenuti con contratti a tempo determinato – a fargli capire cosa vuol dire avere un posto di lavoro e ricevere uno stipendio a fine mese. E a insegnargli come usare un computer per realizzare piccoli lavori di grafica da trasferire su tazze, gadget e magliette. Articoli fatti dietro le sbarre che oggi, insieme a borse, oggetti di design, dolci e caffè, degli istituti penali piemontesi e non solo, è possibile acquistare da Marte, il jail concept store che ha aperto in Via delle Orfane a Torino, a ridosso del centro storico, grazie all’appoggio del Provveditorato regionale del ministero della Giustizia e al finanziamento della Compagnia di San Paolo.
Nato come temporary store per il Natale 2013 e riaperto in forma permanente alla fine dello scorso anno per lanciare l’economia carceraria, Marte è però solo il primo passo di un’esperienza più ambiziosa. «Stiamo lavorando alla realizzazione di un brand carcerario chiamato Freedhome» spiega Gianluca Boggia, presidente di Extraliberi. «L’obiettivo è mettere insieme una decina di cooperative di detenuti creando una catena di negozi specializzati nella distribuzione delle eccellenze prodotte nei penitenziari italiani».
Il progetto aspira ad andare oltre la tradizionale distribuzione delle botteghe del commercio equo, i gruppi di acquisto solidale e la vendita online. E ambisce a raccontare all’esterno il volto meno noto del carcere: un tessuto diffuso di laboratori e officine in grado di proporre un made in Italy contaminato dall’attenzione per l’ambiente e il territorio. Sullo sfondo (ma non troppo) il valore sociale del lavoro, che stabilisce un ponte con il mondo di fuori e offre a quelli che stanno dentro una professionalità spendibile anche una volta usciti di prigione. Come è accaduto a Luigi (nome di fantasia), 40 anni, arrivato nel carcere di Torino con una condanna per furto e rapina. «Quando è entrato in serigrafia aveva alle spalle un passato di tossicodipendenza e quasi nessuna esperienza di lavoro» racconta Boggia. «Qui realizziamo gadget e personalizziamo capi di abbigliamento per agenzie di pubblicità, scuole, piccole e grandi aziende. E una volta tornato in libertà, lo scorso luglio, Luigi ha cominciato a lavorare con uno stage presso Robe di Kappa, il nostro più importante committente».
Walid, invece, lavora come aiuto cuoco in un ristorante italiano di Torino. Oltre al mestiere dello stampatore, in carcere aveva seguito un corso professionale di cucina. «In Italia però ci sono più di 50 mila detenuti e solo duemila hanno un’occupazione» dice Boggia. «Man mano che si scende a sud la situazione peggiora e i reclusi, quando hanno un impiego, restano confinati alle tradizionali mansioni domestiche a servizio dell’amministrazione penitenziaria: scopini, porta-vitto, addetti alla “mof”, manutenzione ordinaria fabbricati, ovvero ai piccoli lavori di riparazione nella struttura». Niente a che fare con l’idea del carcere come epicentro di un’economia solidale capace di stare al passo con le richieste di consumatori esigenti. Una produzione di «cose buone da dentro» – come recita lo slogan di Marte – che lo store torinese ha deciso di raccogliere e distribuire e che ora Freedhome mira a diffondere in tutta Italia.