Andrea Cabrini, MilanoFinanza 24/4/2015, 24 aprile 2015
LA NOSTRA AUTONOMIA È GARANTITA
[Intervista a Giuseppe Guzzetti] –
Il protocollo d’intesa siglato tra il ministero dell’Economia e l’Acri «fa un passo in avanti per garantire l’autonomia delle fondazioni». Parola di Giuseppe Guzzetti, presidente dell’Acri e di Fondazione Cariplo. Che poi tiene a precisare: «È falso che le fondazioni sono la cinghia di trasmissione della politica all’interno delle banche.
Invito a leggere la lista dei membri del cda di Intesa Sanpaolo e di Unicredit e dire quali politici hanno messo le fondazioni».
Domanda. Presidente, come è nata l’autoriforma delle fondazioni?
Risposta. Nasce in casa nostra perché da anni avevamo avvertito che la legge Ciampi - che è tuttora valida - fosse una legge di principi. Noi ci siamo battuti perché il Parlamento non mettesse mano a una nuova legge ma, essendo una legge di principi, occorreva dare a questi principi dei contenuti, tradurli in comportamenti quotidiani. Quello che è mancato in questi anni la definizione di questi principi. Così abbiamo approvato la carta delle Fondazioni che è un’iniziativa autonoma. A quel punto siamo stati pronti a fare un atto negoziale con il Mef. E finalmente con il ministro Padoan è arrivata data la spinta finale.
D. In quel momento eravate preoccupati che ci fosse la tentazione di intervenire con quello che il presidente della Cdp, Franco Bassanini, ha definito atti di imperio?
R. Sì, assolutamente. Anche perché avevamo visto per altri settori che questo governo va spedito attraverso i decreti legge. Noi abbiamo detto che eravamo disponibili e Padoan si è reso disponibile a siglare un atto negoziale con l’Acri. Abbiamo lavorato con il Mef e finalmente tra fine novembre e inizi dicembre il documento era pronto.
D. Con l’introduzione dell’obbligo per le fondazioni di rispettare il tetto alla concentrazione dell’investimento nella banca conferitaria che non potrà superare il 33%, come cambia la vita degli enti?
R. Questa norma determina un cambiamento sul versante del patrimonio delle fondazioni che dovranno avviare un processo diluitivo della quota in eccesso entro tre-cinque anni che mi sembra essere un lasso di tempo ragionevole. Ma questa diluizione dovrà avvenire senza creare danno al titolo interessato; anzi bisognerà tenere conto soprattutto della situazione del mercato per non danneggiare le valutazioni. All’atto della firma del protocollo ha fatto piacere che il direttore di Bankitalia, il ministro Padoan e il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, abbiano dato atto alle fondazioni di avere avviato grandi processi di ristrutturazione del sistema bancario italiano già prima della legge Ciampi.
D. Quanto hanno inciso i casi di Banca Mps e di Carige?
R. Noi ci siamo mossi prima. La consapevolezza di dare contenuti alla legge Ciampi era già ben presente prima delle due crisi di Mps e Carige. È chiaro che queste due situazioni contingenti hanno reso ancora più evidente e urgente che si fissassero delle regole in materia. Negli anni passati ci sono state polemiche in cui si sosteneva che l’Autorità di Vigilanza non avesse svolto le sue funzioni, fosse stata troppo blando e disattento. Va ricordato, però, che una delle due sentenze della Corte Costituzionale che nel 2003 ha messo fine a questo conflitto tra Parlamento, governo e fondazioni, aveva dichiarato incostituzionale un inciso della Ciampi, laddove si diceva che la Vigilanza non poteva emanare atti di indirizzo vincolanti per le fondazioni. Era praticamente una Vigilanza molto disarmata e noi consapevolmente le abbiamo dato uno strumento che consente preventivamente di vigilare che quanto sta nel protocollo si traduca negli statuti. Noi siamo i primi a invocare regole che portino a comportamenti virtuosi. Pensate a che danno hanno fatto all’immagine delle fondazioni le due crisi di Siena e Genova. Noi non abbiamo interesse a che si verifichino queste crisi; noi abbiamo interesse a che gli amministratori delle fondazioni si comportino in modo virtuoso.
D. Con il tetto del 33% dove reinvestirete le risorse?
R. Alcune delle nostre fondazioni, quelle che hanno i patrimoni più consistenti, dispongono di strumenti di gestione della liquidità professionali e di grande competenza. L’articolo 11 della Finanziaria 2002 conteneva una norma importante che consentiva alle fondazioni di investire una parte del loro patrimonio per interventi che, avendo un contenuto di carattere sociale, potevano prevedere un ritorno anche minore. Le fondazioni devono avere un impegno forte sull’innovazione: dobbiamo usare le nostre erogazioni per fare attività innovative come il problema dell’inserimento dei disabili nel mondo del lavoro. È la nostra missione. Abbiamo la presunzione di riuscire - forse - a sostituire allo Stato la parola comunità.
D. La riforma introduce anche elementi importanti sotto il profilo della governance delle fondazioni che spesso sono state definite la cinghia di trasmissione della politica nelle banche.
R. Si fa un passo avanti per garantire autonomia alle fondazioni. È falsa la tesi che ci accusa di essere, o essere stati, la cinghia di trasmissione della politica nelle banche. Invito ad andare a leggere la lista dei membri dei consigli di amministrazione di Intesa Sanpaolo e Unicredit - giusto per citare le banche più grandi del Paese - e dire quali politici hanno messo le fondazioni. Quello che noi chiediamo a un amministratore è che faccia crescere il valore della banca e che ci distribuisca dividendi in modo da poter fare le erogazioni.
D. Cosa pensa della stagione delle aggregazioni che sta per aprirsi e che vedrà protagoniste le banche popolari?
R. Non posso e non voglio dare indicazioni sulle singole situazioni, non mi compete. In via generale credo che una fondazione abbia il diritto di investire in una popolare che ha garanzia di un ritorno adeguato, è una cosa che può fare. Non dobbiamo però dimenticarci che le fondazioni sono investitori istituzionali e non investitori che vanno a pasticciare nei consigli di amministrazione.
D. Come giudica l’operato della Cdp di cui siete soci?
R. Siamo azionisti istituzionali e quindi non entriamo nella gestione della Cassa; ma siamo lì per garantire alcuni principi. Ad esempio, la Cassa non può fare certe operazioni senza il voto delle Fondazioni; inoltre non può fare investimenti che siano fuori dal suo perimetro né puntare su asset rischiosi. Siamo molto interessati che la Cassa svolga la funzione di finanziamento delle imprese, delle esportazioni e infrastrutture. Con la Cdp abbiamo un ottimo rapporto perché ha fatto la sua attività e ha consentito di essere uno strumento importante. Vorremmo che lo fosse ancora di più. Siamo soddisfatti anche perché ha distribuito dividendi anche nel 2014. Speriamo che questo rapporto di collaborazione continui anche in futuro.
Andrea Cabrini, MilanoFinanza 24/4/2015