Gennaro Bozza, La Gazzetta dello Sport 24/4/2015, 24 aprile 2015
BYE BYE PING PONG: A PECHINO SI FA GOL
Due settimane fa, ai più importanti mezzi cinesi di informazione (si parla quindi di colonne come l’Agenzia Nuova Cina e la televisione di stato CCTV), arriva una richiesta speciale da parte del Ministero dello sport. Ovviamente, è una richiesta non ufficiale, riservatissima: dare più spazio possibile ai Mondiali di tennistavolo, dal 26 aprile al 3 maggio a Suzhou, vicino Shanghai. Una «raccomandazione» come questa, proprio in Cina che è la patria del ping pong, potrebbe apparire paradossale. Rivela, invece, un nuovo mondo che si contrappone a quello immaginato dagli stranieri. Ed è un mondo in cui, negli ultimi 15 anni, è avvenuto un gigantesco ribaltamento di gusti e passioni sportive. Un mondo in cui il calcio, che pure è il parente povero dello sport cinese dal punto di vista dei risultati, suscita più entusiasmo, davanti al basket, che anche dopo il ritiro di Yao Ming è in continua ascesa, e in cui «miti» come il tennistavolo hanno imboccato una china che appare irreversibile.
La vecchia immagine della Cina provoca equivoci, come nel caso di Sven Goran Eriksson, allenatore dello Shanghai Sipg, che all’Afp dice: «Qui i giovani giocano a ping pong, badminton, basket, non a calcio». Non è più così e, anche se ci sono obbiettive situazioni di difficoltà per il calcio in ambienti sempre più congestionati, ormai «alveari» di milioni di abitanti, la passione preponderante è per il pallone. Non ci sono ancora i grandissimi numeri dei praticanti, perché mancano gli adeguati spazi fisici, le scuole, i tecnici, ma c’è la domanda sempre più consistente di calcio, a cominciare dalla Tv.
Le richieste più grandi per le gare di Spagna, Germania, Inghilterra, Francia e con l’Italia sempre più dietro: era la prima scelta fino a 10 anni fa. Il derby madrileno fra Real e Atletico in Champions è andato sulla CCTV5, il canale più seguito, Monaco-Juve sul 5+, secondario che nemmeno arriva in tutte le case. Ad accogliere comunque la richiesta di calcio c’è l’autorità più grande in Cina, il segretario del Partito Comunista e presidente della Repubblica Popolare, Xi Jinping, che ha più poteri del Premier, Li Keqiang. Xi Jinping è un grandissimo appassionato del calcio, sogna una grande Nazionale (attualmente n. 82 della classifica mondiale), sogna di organizzare il Mondiale in Cina e, ma qui siamo oltre l’immaginazione, di vincerlo un giorno. Lui, però, non è il tipo che si perde in questi sogni, comincia a fare qualcosa di concreto.
Xi Jinping sa che servono spazi fisici e mentali per lanciare il calcio. Così, li abbina sfruttando la scuola, ma quella vera, dalle elementari all’università: collaborazione con i club, calcio nelle ore di educazione fisica, «materia» che viene introdotta nel curriculum dello studente e che serve anche da «qualificazione» (in Cina difficilissima) per l’iscrizione all’università. Si parte da 26mila scuole in 28 province e 40 città per un totale di 20 milioni di partecipanti con l’obbiettivo di arrivare a 400 mila scuole, 31 province e 120 città per 260 milioni di partecipanti nel 2023. Basterà tutto questo per avere un campionato più interessante (al momento 4 stranieri per squadra, ovviamente europei e sudamericani, più uno asiatico) e una Nazionale in grado quantomeno di tornare alla fase finale del Mondiale?
Per la verità, un felice esperimento del passato è stato forse frettolosamente messo da parte: la Cina che, guidata da Bora Milutinovic, si qualificò per l’unica volta a un Mondiale, nel 2002 in Giappone-Sud Corea, era composta da giocatori che, 14enni, furono mandati a vivere e giocare in Brasile per cinque anni. Vennero fuori i migliori calciatori della storia cinese, alcuni dei quali andarono a giocare all’estero: Li Tie (Everton e Sheffield United), Fan Zhiyi (Crystal Palace, Dundee), Li Weifeng (Everton), Sun Jihai (Crystal Palace, Manchester City, Sheffield United), Yang Chen (Eintracht Francoforte), Shao Jiayi (Monaco 1860). Dopo quell’esperienza, il crollo, sia per la Nazionale che per la Superlega, squassata da corruzione (arrestato anche un arbitro) e scandali legati alle scommesse.
Il ruolo di Xi Jinping è anche quello di rottamatore di certi sistemi. Sia pure fra i dubbi che accompagnano queste iniziative, considerate di facciata in molti casi, è partita una campagna moralizzatrice che riguarda l’intera società. Alcuni dei primi risultati sono la diffidenza negli investimenti immobiliari e la lotta ai ricchi che ostentano il loro benessere, tanto che ne sta facendo le spese il golf: 66 circoli chiusi, il green visto come terreno per accordi d’affari sporchi. E Tiger Woods, che doveva presentare il progetto di un Golf Club vicino Pechino, sembra che si tiri indietro.
Resta, al di là di questo, il quadro di una realtà sportiva che è ormai la seconda nel mondo, dietro gli Usa. Una realtà in gran movimento. Detto di calcio e basket, ormai senza rivali nell’interesse dei giovani, restano al palo anche badminton, pallavolo (in caduta dopo l’oro olimpico femminile 2004) e atletica, orfana di Liu Xiang. Avanza il nuoto, grazie a Sun Yang, reggono i tuffi, soprattutto con le campionesse di tecnica e di grazia, dal ricordo di Fu Mingxia e Guo Jingjing all’attualità di Wu Minxia; regge la ginnastica, dopodiché c’è il gran mare degli sport olimpici che portano medaglie ma suscitano interesse minore. Ormai, col calcio come bandiera, la Cina è diventata europea.