Elisabetta Intini, Focus 5/2015, 22 aprile 2015
7 PROGETTI (IM)POSSIBILI
Se gli ingegneri si mettono d’impegno, riescono a tagliare in due i continenti e a collegare terre distanti: basti pensare al canale di Panama tra le Americhe o al tunnel sotto la Manica. E si lanciano in nuovi mega-progetti sempre più ambiziosi: come il canale del Nicaragua, una via d’acqua di 278 km che dividerà a metà il Paese centroamericano collegando il Pacifico al mar dei Caraibi e rivaleggiando col canale di Panama (lungo meno di un terzo) nel transito delle navi. L’idea era stata lanciata già nell’800, ma fu “superata” dal progetto panamense: ora il gruppo cinese Hknd ha ottenuto la concessione e i lavori sono iniziati a dicembre. L’opera costerà almeno 46 miliardi di € e per i suoi sostenitori sarà il più grande progetto di ingegneria della storia.
Ma qualche progettista ha sognato ancora più “in grande”: c’è chi ha proposto di sbarrare il Mediterraneo con una diga, chi ha lanciato l’idea di un acquedotto transoceanico, chi immagina un ponte tra continenti... Sono opere che comporterebbero costi esorbitanti, problemi ambientali enormi e impegnative sfide tecniche, ma questo non ha limitato la fantasia dei progettisti. Ecco 7 progetti tra i più ambiziosi, visionari o – almeno per ora – davvero impossibili.
COLLEGAMENTO ASIA-AMERICA. Salire in auto in Asia e scendere in Nord America: si potrebbe fare unendo Russia ed Alaska, attraverso lo stretto di Bering, con un ponte o un tunnel. Nel punto più angusto, il braccio di mare è largo 82 km, mai più profondo di 50 m, e si possono sfruttare come punto intermedio le isole Diomede al centro dello stretto.
L’idea è in auge da fine ’800. Da allora i progetti proposti sono stati molti. Per il ponte è stata per esempio immaginata una struttura a più livelli: uno per il traffico su ruote, uno per treni, uno per oleodotti e gasdotti per trasportare le risorse naturali della zona. Su dettagli e optional, poi, i progettisti si sono sbizzarriti. Tra le proposte spiccano un ponte inabissato in alcuni punti per permettere il transito navale e con grossi tubi trasparenti per consentire il passaggio della fauna (un’idea del 2009 dello studio francese Off Architecture) e un ponte ferroviario su cui sorgerebbero anche edifici dell’Onu, per sottolineare il ruolo di collegamento tra continenti (dei canadesi di Lateral Office, del 2009).
Ma le condizioni ambientali pongono seri ostacoli: non solo la zona è soggetta a terremoti, ma i ghiacci in movimento in alcuni periodi dell’anno sarebbero una minaccia per i piloni di un ponte. Una (ambiziosa) alternativa sarebbe quindi passare sotto l’oceano, con un tunnel. E la soluzione approvata dalle autorità russe, che da alcuni anni annunciano di voler costruire un tunnel che collegherebbe Siberia e Alaska permettendo il passaggio di treni e tubature, soprattutto per il trasporto di merci: il progetto si chiama Tkm World Link. E nel 2014 i media cinesi hanno riportato l’intenzione della Cina di costruire una linea ferroviaria ad alta velocità dall’Asia al Nord America: lunga 13.000 km, comprenderebbe appunto un passaggio di 200 km – il più lungo tunnel sottomarino al mondo – sotto lo stretto di Bering.
ENERGIA DALLA DEPRESSIONE. La ricetta è semplice. Prendi una zona sotto il livello del mare, non lontana dalla costa. Scava un canale per portare fin lì l’acqua e falla precipitare nella depressione. Con una centrale idroelettrica, dalla “caduta” di acqua otterrai energia. Creando un lago salato, con un livello dato dall’equilibrio tra entrata d’acqua ed evaporazione. È quanto si pensava di fare nella depressione di Qattara, in Egitto: un’area desertica di 19 mila km² che arriva a 133 m sotto il livello del mare e si trova ad appena 50 km dal Mediterraneo. L’idea di convogliarvi acqua circolava dal 1912; negli Anni ’70 il governo egiziano esaminò la proposta del tedesco Friedrich Bassler, che suggeriva di scavare il colossale canale tra mare e depressione usando testate nucleari: l’idea fu abbandonata... Ma è riemersa in un progetto più recente, a firma di Magdi Ragheb (Università dell’Illinois), che vuole sfruttare un sistema di pompe alimentate da turbine eoliche per portare l’acqua dal mare a depositi sulle colline con megatubature. Poi, attraverso condotte, la caduta dell’acqua nella depressione genererebbe energia elettrica. Lo studio era stato commissionato dalla Desertec, consorzio per produrre energia rinnovabile in Nord Africa, che però sta vivendo una battuta d’arresto.
ACQUEDOTTO OCEANICO. Un acquedotto transoceanico che trasporti acqua dolce dalla foce del Rio delle Amazzoni agli aridi Stati africani al di là dell’Atlantico: è una delle idee portate avanti da Richard B. Cathcart, fondatore della società Usa Geographos. Lungo 3.700 o 4.300 km (in base alla rotta), sarebbe costituito da un fascio di tubi sommerso 100 m sotto la superficie del mare e ancorato al fondale. Trasporterebbe fino a 10 mila m³ d’acqua dolce al secondo «grazie a pompe attivate dalle correnti oceaniche», dice Cathcart. I contro? Dall’impatto sulla salinità delle acque marine ai costi astronomici. Più modesto è il piano per un condotto sottomarino di 3 mila km che porti acqua da Papua Nuova Guinea al Queensland, Australia, proposto dal magnate australiano Fred Ariel.
BARRIERA TESSILE. Le dighe sono le grandi opere per eccellenza. Perché non costruirle anche tra mari e oceani? È quello che propone il progetto della “Barriera tessile dello stretto di Gibilterra”: uno sbarramento di materiale sintetico che dividerebbe Atlantico e Mediterraneo, là dove Europa e Africa sono più vicine. La “vela” si estenderebbe per 20 km tra Spagna e Marocco: flessibile e impermeabile, impedirebbe all’acqua dell’Atlantico di fluire nel Mare Nostrum. Cavi d’acciaio ancorerebbero la “diga tessile” al fondale e un ponte su chiatte galleggianti consentirebbe il transito dei veicoli. Lo scopo? «Mantenere l’attuale livello del Mediterraneo», spiega Cathcart, che è anche l’ideatore della barriera tessile. «Potrebbe salvare Venezia dall’innalzamento dei mari. E impedirebbe l’erosione delle coste in Nord Africa e Sud Europa». L’idea rivisita il progetto Atlantropa, teorizzato negli Anni ’20 dal tedesco Herman Sörgel. Prevedeva di sbarrare Gibilterra tramite una diga, con una centrale idroelettrica per produrre energia: il Mediterraneo “chiuso”, per l’evaporazione, si sarebbe abbassato di 200 m portando allo scoperto 600 mila km² di nuove terre (per esempio nell’ex mare Adriatico). «Con la barriera tessile, invece, le chiuse farebbero entrare abbastanza acqua da compensare la perdita per evaporazione, consentendo il passaggio delle navi. Le difficoltà tecniche sarebbero minime, come i costi», dice Cathcart. «Il principale ostacolo sarebbero gli accordi tra i Paesi e con le compagnie navali».
SBARRAMENTO SUL GOLFO. Un progetto di diga riguarda anche l’oceano Indiano e il golfo Persico: in questo caso, lo stretto da sbarrare è quello di Hormuz, largo 39 km al suo minimo. Il golfo Persico si abbasserebbe di 35 m; l’acqua dall’oceano Indiano, mantenuta a un livello più alto dalla diga, sarebbe sfruttata per produrre energia idroelettrica. A lanciare l’idea, nel 2005, è stato Roelof D. Schuiling, già geochimico dell’Università di Utrecht (Paesi Bassi), in team con Cathcart e altri. Ha proposto di chiudere lo stretto di Hormuz con «un’isola artificiale connessa alle estremità con la terraferma», dice Schuiling. «Per ricavarla si potrebbe sperimentare una mia “invenzione”: iniettando acido solforico nelle rocce calcaree si otterrebbe gesso, che ha volume doppio rispetto al calcare, e così la terra si gonfierebbe. Per evitare che il golfo degeneri in un acquitrino, inoltre, le sue acque salate e pesanti sarebbero ricondotte nell’oceano, da cui entrerebbe un volume equivalente d’acqua». Gli ostacoli? Enormi, dal blocco del transito delle petroliere ai problemi ambientali: «fauna, vegetazione e clima della regione cambierebbero», dice Schuiling, che immagina la sua utopia per un futuro in cui finisca il petrolio e diventi vitale trovare nuove fonti di energia. E Schuiling ha proposto un progetto ancora più in grande: chiudere il Mar Rosso, bloccando l’ingresso delle acque dell’oceano Indiano, con una diga sullo stretto di Bab-el-Mandeb. Si produrrebbe elettricità, perdendo però la via di trasporto e le barriere coralline del Mar Rosso.
TERRA GONFIATA. Creare un ponte facendo emergere la terra dalle acque: l’idea è ancora di Schuiling, che vuole sfruttare la reazione chimica tra acido solforico e calcare questa volta per creare un ponte nello stretto di Palk, tra India e Sri Lanka. Quest’area di oceano è solcata da una striscia di banchi calcarei a pochi metri dalla superficie (il “ponte di Adamo”). Trattate con acido solforico, le rocce gonfiate emergerebbero creando un ponte a costi ridotti.
ISTMO APERTO. È stata persino avanzata l’ipotesi di “aprire” l’istmo di Panama, scavando tra i monti un mega-canale a livello del mare con esplosioni nucleari. Lo scopo? Riunire Atlantico e Pacifico per ripristinare una corrente equatoriale (che circolava tra le Americhe, separate fino alla formazione dell’istmo di Panama 3 milioni di anni fa) e stabilizzare il clima. Ma cambiare il flusso degli oceani avrebbe conseguenze enormi. Forse è un bene che, tra le proposte, questa sembri davvero irrealizzabile.
Elisabetta Intini