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 2015  aprile 22 Mercoledì calendario

PIENI DI SICUREZZE E PRIVILEGI DALLA NASCITA ALLA GIOVINEZZA. POI HANNO CAPITO CHE DOVRANNO LOTTARE CONTRO LA PRECARIETÀ. SARANNO ATTREZZATI?

Ci sono dei fine settimana (lunghi) che per casuali influssi astrali si trasformano in straordinari momenti di umanità e di emozioni. A me è successo: in tre giorni, sono passato dai giovani studenti di organizzazione aziendale e magistrale all’Università di Padova, ai leggermente meno giovani partecipanti a un «master in management dinamico» di FiordiRisorse presso la sede centrale di Lamborghini, nella mitica «Motor Valley» di Modena-Bologna (l’Oxfordshire de noaltri), infine ai soci (adulti) dell’altrettanto mitico Circolo della Caccia di Bologna. In sintesi, nei tre luoghi, l’unico vecchio ero io.
All’Università di Padova il mio obiettivo era chiaro, usare come grimaldello il mio ultimo libro («Fiat una storia d’amore. Finita», Amazon) la storia d’amore fra me e la Fiat di Valletta, della Rubiolo, di Giacosa (il mio Steve Jobs, però perbene), per trasferire ai giovani certezze e sogni. Ce l’avrei messa tutta, ma consideravo l’impresa molto difficile. Sul palco con me e Mario Carraro c’erano due studenti che avevano letto il libro in precedenza, ne avevano colto l’essenza, puntuali le domande. Alla loro età lavoravo da anni, studiavo la sera, avevo una certezza, se mi fossi comportato bene, avrei lavorato in Fiat fino a 60 anni, coperto da un welfare aziendale e sanitario di eccellenza, avrei poi avuto una buona pensione, purtroppo per soli due anni (l’attesa di vita per quelli nati negli anni ’30 era allora 62 anni). Avrei avuto più doveri che diritti, però se fossi stato bravo e fortunato avrei potuto diventare, forse, Direttore Generale (una probabilità su 100 mila). Nulla di tutto ciò per questi ragazzi.
Come sempre è stato, essi si chiedono quale futuro avranno, ma, a loro insaputa, la risposta è già incorporata nella domanda. Appartengono alla generazione che i sociologi chiamano «millennial», sono stati pieni di sicurezze e di privilegi dalla nascita fine alla prima giovinezza, poi hanno capito che avrebbero dovuto lottare tutta la vita contro la precarietà. Saranno attrezzati alla bisogna? Sapranno muoversi nel contesto del «ceo-capitalism» imperante? Mi sono sentito molto coinvolto dalle loro evidenti insicurezze.
Amo partecipare come testimone ai master FiordiRisorse, una Community di professionisti aziendali. Per l’incontro in Lamborghini, avevo preparato un intervento che ho abbandonato, e ridisegnato, dopo aver ascoltato quello brillante del direttore personale Ikea. Interessante quello di un giovane collega giornalista (di una Radio privata) che segue il percorso dei nostri giovani laureati che vanno all’estero. Curiosamente non li chiamano «espatriati» ma «talenti», solo però al momento in cui se ne vanno dall’Italia. Perfette, anche stilisticamente, le testimonianze di due supemanager di multinazionali americane (uno diventato imprenditore). Ho imparato molto. Nelle 10 ore di presentazioni-dibattiti è emerso come la Funzione Personale (e il suo impatto sull’azienda) si sia modificata in modo radicale. Il politicamente corretto, ora dominante, sta configurando sempre più il suo ruolo, dall’attività riferita ai prodotti-processi di un tempo ai rapporti con i dipendenti, però nei loro aspetti più personali (orari, ferie, mensa, etc.) conseguenti all’enfasi sul multiculturalismo.
Al Circolo della Caccia di Bologna mi sento di casa, racconto il libro per quello che è, una storia d’amore fra un ragazzo, poi un uomo, infine un vecchio, finisce senza traumi quando «lei» se ne va, cambia nome, lingua, forse sesso. Ho parlato pure su «quando il grande non si fa più amare e il piccolo è sempre meno bello». Motivanti le domande di Giancarlo Mazzuca e di tutti gli intervenuti. Per la prima volta mi ha colpito l’atmosfera: la stessa di quella vissuta con i giovani universitari di Padova, e pure con i partecipanti al master. L’aspetto che più mi turba in questi incontri è l’attesa messianica che abbiamo per qualche «ricetta» salvifica. Per 20 anni ci hanno e ci siamo assegnati diritti di ogni tipo, privilegi che secondo noi non potevano non spettarci, pur sapendo che non potevamo permetterceli, ci siamo raccontati bugie, i giovani allevati nella «disciplina della scarsità» (ha connotato la mia vita) sono sempre meno.
Mi chiedo: come possiamo, con queste truppe, affrontare il nostro «nemico»? I tre numeri che stanno già condizionando il nostro «oggi», immaginiamo l’impatto che avranno sul nostro «domani». I numeri sono sempre gli stessi, 7-25-50: noi europei (i 28) siamo il 7% della popolazione mondiale (in riduzione), produciamo il 25% del PIL (in riduzione), consumiamo il 50% del Welfare mondiale. Da alcuni anni studio, non il fenomeno (sarebbe troppo per me), ma se possano, in teoria, esserci «ricette». L’unica ricetta è essere trasparenti, con tutti ma soprattutto verso noi stessi, e pretendere che i nostri leader facciano altrettanto. Usciamo dalla nuvola di cipria nella quale siamo immersi e troveremo la soluzione. Le ricette possono non esserci, anzi spesso non ci sono, ma le soluzioni ci sono sempre.
Riccardo Ruggeri, ItaliaOggi 22/4/2015