La Stampa 22/4/2015, 22 aprile 2015
Il vero aiuto che serve alla Grecia Franco Bruni Come finirà fra la Grecia e l’Ue? Difficile dirlo, per chiunque
Il vero aiuto che serve alla Grecia Franco Bruni Come finirà fra la Grecia e l’Ue? Difficile dirlo, per chiunque. In un pezzo spiritoso Chris Giles, sul Financial Times, gioca sul paragone della Grecia con un neonato in crisi isterica e classifica gli atteggiamenti dei suoi creditori a seconda della somiglianza ai diversi tipi di reazione degli adulti all’isteria del bimbo, da chi lo tratta come fosse già grande a chi lo disciplina bruscamente, da chi vorrebbe rinnegare il figlio (espellere la Grecia dall’eurozona) all’indulgenza dei nonni che lo lasciano gridare accarezzandolo. Io andrei oltre nella metafora: non sono solo i greci a sembrare bimbi isterici in questa faccenda; c’è molta insicurezza, almeno adolescenziale, anche da parte dei partner europei. C’è il problema di breve periodo: scambiare nuovi aiuti alla Grecia con un suo impegno per riforme strutturali che la mettano in grado di usare bene gli aiuti e tranquillizzare i creditori. E’ comprensibile che per arrivare a un accordo ci sia un po’ di tattica e di azzardo dalle due parti, con gli sguardi sui prossimi mesi e sul gradimento degli elettori di entrambe. E’ invece incomprensibile come a ciò non si aggiunga un più serio lavoro sull’orizzonte lungo della crescita greca. E’ evidente che Atene non riuscirà mai a rimborsare i suoi debiti, né a integrarsi meglio in Europa, né a crescere in modo adeguato e sostenibile, se non sulla base di un piano di investimenti mirato strategicamente e partecipato largamente da investitori internazionali. La Grecia ha una struttura produttiva immatura, male integrata con l’estero, priva di veri vantaggi comparati, disordinata e non competitiva. Se anche potesse svalutare, e anche quando abbassa brutalmente salari e prezzi interni, la competitività del Paese non cresce al punto di migliorare stabilmente la sua posizione internazionale. I volumi esportati e importati non reagiscono abbastanza ai prezzi: sicché, svalutando, il valore delle esportazioni nette tende addirittura a diminuire. Non è chiaro in quali settori la Grecia può farsi largo nel commercio internazionale dei prossimi lustri. Di conseguenza non è nemmeno chiaro chi, dall’interno o dall’estero, sarebbe disposto a finanziare il suo sviluppo investendo in modo non rapinoso e meramente speculativo, com’è successo prima e durante la crisi, quando le banche europee, in particolare quelle tedesche, hanno approfittato dei rendimenti più elevati dei titoli e dei prestiti greci per lucrare, senza una prudente valutazione dei rischi di medio-lungo, salvo poi irrigidirsi con fare punitivo di fronte al debitore non puntuale nei pagamenti. Da questa trappola si esce solo con un’adeguata dose di programmazione dello sviluppo greco. La disciplina di bilancio e le riforme strutturali, come la liberalizzazione dei mercati del lavoro e dei prodotti, le privatizzazioni, il ridimensionamento e la riorganizzazione della pubblica amministrazione e del welfare, non incidono abbastanza sulla crescita e suscitano troppa opposizione se non sono accompagnate da un disegno convincente di sviluppo di lungo periodo, che deve servire anche a spiegarne l’utilità. L’articolazione, la maturità e il grado di avanzamento dell’economia greca sono insufficienti per poter fare a meno di una certa quantità di dirigismo, di «pianificazione» a tavolino. Lo stesso si potrebbe dire del Sud d’Italia: non basta liberare i mercati, occorre ridirigere le risorse, soprattutto all’inizio, in impieghi coordinati e capaci di economie di scala e di scopo. La pianificazione dello sviluppo ha cattiva fama e ha mal funzionato in passato, in molti Paesi e in diverse situazioni. Soprattutto perché si è svolta sotto il controllo di politici faziosi e corporativi, localistici e corrotti, incompetenti e in conflitto di interessi. Ma si può pianificare in modo diverso e con diversi attori, soprattutto nel caso di economie della dimensione e della «semplicità» della Grecia e da parte di una comunità internazionale che può mettere intorno a un tavolo privati e pubblici con i ruoli giusti e le competenze adeguate. L’Ue, il Fmi, la Bei, il meccanismo del piano Juncker, le grandi banche e società di consulenza internazionali devono offrire al governo greco un tavolo lungimirante e molto concreto per lo sviluppo. Non deve essere l’imposizione dei creditori ma la proposta di cooperazione di chi sta investendo. Il vero aiuto che serve alla Grecia sono investimenti ben fatti, concordati in un gruppo di lavoro internazionale che dal caso greco imparerebbe anche per ripetere esperimenti simili altrove. Il mercato internazionale dei capitali è squilibrato e distorto, l’investimento langue dovunque, la miopia degli obiettivi trionfa, la globalizzazione è scoordinata: vogliamo provare a far qualcosa di davvero adulto con la Grecia? O vogliamo farci battere in concretezza dalle offerte russe? franco.bruni@unibocconi.it