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 2015  aprile 18 Sabato calendario

LE PRIME VOLTE NON SI DIMENTICANO QUASI MAI

[Giacomo Agostini]
La prima volta non si scorda mai. O quasi. Può accadere che il peso del tempo renda i confini del ricordo più tenui, incerti, spingendo la memoria a galleggiare sulle onde della nostalgia, sino quasi a confonderne i contenuti. Ma se “la prima volta” segna l’avvio di una serie di successi da record, forse imbattibile, allora il ricordo si lega a una data destinata a divenire una piccola pietra miliare. Per Giacomo Agostini, l’uomo che ha vinto più di chiunque altro con le moto, quel giorno è il 24 aprile 1965, quando al Nürburgring centrò la prima vittoria in una gara mondiale. Eppure, bizzarra situazione, i libri d’oro riportano la data del 25, non precisando che le gare di quel GP di Germania Ovest si disputarono in due giorni. E quella delle 350, che inaugurò la serie di Agostini, si tenne appunto il 24, sabato. È una ricorrenza, quella delle nozze d’oro con la vittoria, che il “quindici volte’’celebra ripercorrendo la sua vita e la sua carriera attraverso una serie di indimenticabili “prime volte”.

Il primo giorno di scuola.
«Cominciamo bene, non riesco a ricordarlo. Però rammento, di quel mio primo anno tra i banchi, che “facevo il filo” a una compagna. Mi piaceva davvero tanto».
La prima volta in moto.
«Sul Galletto di papà, quando lui andava a lavorare in macchina. Avrò avuto otto anni e in sella non toccavo per terra: mi aiutava la forma da scooter di quella Guzzi, mi sedevo sul tunnel dietro lo scudo. Quando invece papà andava in ufficio in moto, io entravo nella sua Giardinetta dal tetto apribile, e mettendo in contatto due fili avviavo il motore. Come un ladro!».
La sua prima moto.
«Aquilotto Bianchi con trasmissione a rullo. Avevo nove anni. Mi presentai davanti al negozio per ritirare quel regalo due ore prima dell’apertura. Una volta in sella, innamorato pazzo di quel motorino, girai tutto il giorno. Fu la prima fuga da casa. Non pensai ai miei genitori in attesa, sicuramente preoccupati. Arrivai soltanto a sera e furono botte».
Il primo flirt.
«Con una ragazza di Lovere. Andavamo al cinema, nell’oscurità, con molta timidezza e incertezza facevo le mie avances. Ma se lei appena si muoveva mi ritiravo pensando non gradisse. E ricominciavo senza successo sino a fine film. Non riuscii a darle nemmeno un bacio. Ero troppo timido, forse anche un po’ “bortolo”».
La prima volta che ha fatto l’amore.
«Lei era una donna meravigliosa. No, cioè.... Proprio la prima volta non me la ricordo. Mi confondo perché “frequentavo” contemporaneamente sei ragazze. È che ero un po’ farfallone. La timidezza era sparita».
La prima sbornia.
«Avrò avuto 19-20 anni. Era Capodanno, in giro con gli amici in Valcamonica a far festa nei dancing. Io bevevo solo acqua ma quella sera, un po’ di whisky e un po’ di Cola, un bicchiere tira l’altro, fui castigato. Mi dovettero riportare a casa».
La prima bugia.
«Impossibile ricordare. Ne ho dette troppe».
La prima intervista.
«Quando da ragazzo facevo le gimkane motociclistiche. Vincevo tutte le domeniche. Finivo sulle pagine dei giornali locali. Ero una piccola celebrità».
La prima gara.
«La salita Trento-Bondone del 1961, secondo con la Morini 175. Prima c’erano state le gimkane e le sfide-scommessa su strada. Vere corse abusive. Vincevo e incassavo».
La prima vittoria.
«Alla Bologna-San Luca del 1962. Con la mia Morini Settebello privata battei tutti sotto gli occhi del Commendatore Morini. Mi notò, mi offrì di provare una Settebello ufficiale assieme a due altri piloti sul circuito di Cesenatico. Provai per primo, feci il record. Scelsero me senza nemmeno far salire in moto gli altri due».
La prima auto.
«A 20 anni. Pensavo che papà mi comprasse una 500. Mi regalò una Giulietta Sprint rossa. Disse che in caso di incidente con la 500, a motore posteriore, mi sarei ammazzato. Penso che cercasse anche di lusingarmi regalandomi un’auto più bella della sua nel tentativo di togliermi dalla testa la passione per le moto».
La prima gara mondiale.
«Nel ’63, a sorpresa la Morini mi fece correre a Monza con la sua 250 ufficiale. Feci in testa il primo giro, facevo le curve restando accucciato nella carenatura. Sentii una vibrazione: era lo scarico che si stava staccando. Mi ritirai».
I primi punti mondiali.
«Con la Morini 250 alla Solitude, nel mio primo GP all’estero, dove fui quarto. Stesso risultato a Monza, dietro gli stessi piloti. Una rivista titolò: ci sono voluti i 10 cilindri di Yamaha e Honda per battere il solo cilindro della Morini di Agostini».
La prima volta al Tourist Trophy.
«Nel 1965. Mi misi le mani nei capelli: un giro di 66 km, una gara di 360. Si provava all’alba perché poi le strade dovevano essere riaperte al traffico. Per imparare il tracciato si girava in auto o su moto stradali in mezzo al traffico, dove non si potevano fare e memorizzare le traiettorie corrette. E per un giro si impiegavano almeno 25 minuti. Terribile. Sì, lì si aveva paura. Mi andò bene: 3° nella 350, nella 500 caddi dopo aver preso una pozzanghera. Ma non mi feci nulla».
La prima volta protagonista di un fotoromanzo.
«Nel ’67-’68. La rivista si chiamava Sogno. Non la leggevo, era una pubblicazione per donne. Sul set per mettermi all’altezza dell’interprete, una ragazza tanto bella quanto alta, mi fecero salire su una cassetta della frutta... Dovevo dire “ti amo”. Era una situazione grottesca e non riuscivo a stare serio: ridevo. Mi sgridarono».
Il primo film da attore.
«Amore Formula2. Fu divertente e interessante scoprire una realtà che non immaginavo. E chi poteva pensare che nella scena di un bacio mi sarei trovato circondato da 20 persone? Come attore non mi sono promosso, ero anche doppiato. Ma Pietro Germi mi voleva per un suo film. Rinunciai perché l’impegno, tre mesi sul set, coincideva con la stagione delle corse. Seppi che Germi ci rimase male».
La prima volta che si è sentito un perdente.
«Quando nell’89, da team manager, avevo ingaggiato Schwantz per la Yamaha. Ma un dirigente Suzuki chiamò il suo omologo in Yamaha invitandolo a non sottoscrivere quel passaggio: “Non rubiamoci i piloti”. Da pilota, la sconfitta che mi bruciò di più fu Assen 1975. Credevo di aver già vinto e non affrontai l’ultima curva “da arrabbiato”. Barry Sheene con la Suzuki mi fulminò in volata. Un niente, tanto da accreditarci dello stesso tempo. Mi brucerebbe ancora oggi se non pensassi che, purtroppo, Barry non c’è più».
Il primo incontro con la futura moglie.
«Jerez 1987 per i test precampionato e la presentazione della squadra. Maria era stata ingaggiata come interprete. La guardavo, bellissima, giovane. Lei nemmeno sapeva chi fosse Agostini. La sera ci invitarono a una tv di Siviglia per un’intervista a Lawson. Dissi: “Ci vado se portate anche quella ragazza”. Finimmo la serata a bere qualcosa insieme con un giornalista italiano, Maria e una sua amica. Tempo fa quel giornalista mi ha ricordato che salutandoci, mi disse “Giacomo, questa volta ci lasci le penne...”. Maria mi ha conquistato non solo con la bellezza e la sua freschezza, ma anche con la sua famiglia, numerosa e unita, in quella casa vicino al mare. Mi sono innamorato di tutto!».
La prima volta da papà.
«17 maggio 1989. Maria voleva che assistessi al parto, io non me la sentivo. Mi convinse il medico, che era un amico. Un’emozione indescrivibile trovarsi all’improvviso in braccio quella bimba, Vittoria. Il nome me lo aveva suggerito, qualche settimana prima, il giornalista Nico Cereghini. Vittoria, anche come mia mamma, che stupido a non averci pensato prima!».
La prima volta che si è sentito veramente felice.
«Quando sono nato».