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 2015  aprile 20 Lunedì calendario

COOP, FUSIONE FREDDA TRA GLI SCAFFALI ROSSI

Bologna
La parola d’ordine è “non fare la fine del mattone”, fondendo stavolta i gioielli di famiglia prima che sia troppo tardi. Perché per decidere di unire in matrimonio, dopo anni di corteggiamenti a vuoto, tre (dei nove) giganti della grande distribuzione a marchio Coop – Adriatica, Estense e Nordest – è servito non poco coraggio. Mandare in soffitta rivalità e gelosie tra “campanili” non è infatti agevole per chi, come i cooperatori, ha sempre fatto del legame con le terre natie la propria ragion d’essere. Ma a questo giro le resistenze sono cadute: entro l’anno nascerà così la più grande Coop italiana, con un fatturato da oltre 4,3 miliardi e 334 supermercati sparsi lungo la dorsale adriatica. Nel mirino c’è il mercato domestico, con l’obiettivo di rilanciare il marchio nelle regioni meridionali, dove i punti vendita Coop sono spariti o godono di scarsa salute sul fronte vendite. L’operazione cade in uno dei momenti più delicati nella storia delle coop “rosse”. Fiaccate, a livello d’immagine, dagli scandali che hanno travolto nomi storici del movimento Legacoop (dagli appalti per l’Expo al caso Cpl Concordia). E poi la crisi infinita, che ha spazzato via intere filiere – come l’edilizia – dove si è capito troppo tardi che le fusioni avrebbero potuto salvare i costruttori coop dal crollo. E quando ci si è arrivati, non c’era quasi più nulla da accorpare, perché commesse e appalti pubblici erano nel frattempo svaniti. Sul fronte dei supermercati, invece, le coop viaggiano a testa alta. È un settore in cui hanno mostrato di avere spalle larghe per affrontare anni di fuga delle famiglie dagli scaffali. Nel 2014 oltre il 30% delle vendite di Coop Italia, la “casa madre” del gruppo, guidata dal presidente Marco Pedroni, è arrivata dagli scontrini di Adriatica (la più grande), Estense e Nordest, che da sole controllano il 5% del mercato italiano, raggiungono i 2,6 milioni di soci e quasi 20mila dipendenti, sparsi soprattutto tra Emilia Romagna, Marche, Veneto e Trentino. Metterli dentro un’unica macchina organizzativa non sarà immediato, il rischio di gigantismo è dietro l’angolo, ma la fusione ormai è partita. I tre cda presieduti da Adriano Turrini (Adriatica), Mario Zucchelli (Estense) e Paolo Cattabiani (Nordest) hanno approvato il progetto, accompagnato da una lettera ai soci in cui avvertono che «non sarà un’operazione semplice » ma per uscire dalla crisi «occorrerà essere pronti, confermando la presenza delle forma cooperativa al sud». L’idea sarebbe quella di andare oltre la nota roccaforte emiliana per ridare smalto agli store Coop traballanti in Puglia (dove Coop Estense ha perso 50 milioni negli ultimi cinque anni) e Sicilia (l’estero per ora può attendere, vista l’infelice esperienza della Nordest con gli Hipermarketi in Croazia). «In operazioni di questa portata gli obiettivi sono più di uno» spiega il presidente di Legacoop, Mauro Lusetti, che ha guidato a lungo Nordiconad e conosce a memoria il mondo della grande distribuzione. E da lì parte per ragionare sui vantaggi della fusione: «Raggiungere una “potenza di fuoco” che ci permetta di competere sul mercato dei beni di consumo, dove uno dei fattori chiave è la dimensione delle aziende. Mettere insieme le forze, anche finanziarie, consentirà infatti di svilupparci in nuovi territori, investendo sullo sviluppo della rete e nuovi prodotti». E nelle zone dove si tenterà il rilancio, come Friuli o Campania, «avremo piani di sviluppo e capacità di presidiare il mercato che le singole Coop da sole non hanno». Quanto ai papabili avversari «le fusioni non si fanno contro qualcuno » taglia corto Lusetti, che assicura non si tratti di una mossa per uscire dall’angolo: «Questi percorsi non nascono dall’oggi al domani, sono anni che i gruppi dirigenti ne discutono». La novità, spiega, è che «si è scelto di unire tre Coop che stanno in salute, mentre di solito le fusioni si facevano con aziende in difficoltà». Nei prossimi mesi verrà rispettato il rito, caro alla via Emilia, delle assemblee dei soci per il via libera al progetto entro la fine del 2015. La capofila Adriatica, la più in forma del terzetto, sotto la guida di Turrini, destinato a prendere la redini della nascente supercoop, in questi anni ha allargato il suo giro d’affari in campi inediti: da Librerie Coop alle assicurazioni sanitarie, dai distributori di benzina low cost alle attività immobiliari della quotata Igd (che tra gli azionisti include il finanziere George Soros). Con i consumi alimentari al palo anche nel 2014 (meno 1,1% secondo l’Istat), Turrini è riuscito lo stesso a chiudere l’anno con vendite per 2,1 miliardi di euro, dietro solo ai toscani di Unicoop Firenze nella grande galassia Coop Italia. Altra alleanza di lusso è col patron di Eataly Oscar Farinetti. Le coop hanno rilevato il 40% di Eataly Distribuzione e ora gestiscono assieme all’alfiere della gastronomia gourmet decine di negozi alimentari. Attività che verranno tutte ereditate dalla Coop postfusione, che non limiterà a gestire “carrelli”. Nel nuovo schema, a fianco di Turrini, che sarà presidente, siederanno entrambi con il ruolo di ad, Cattabiani, che con la sua Nordest fattura 937 milioni (in frenata nel 2014) e Massimo Ferrari, direttore della Estense, che registra ricavi in calo a 1,3 miliardi. Sullo sfondo c’è poi l’infinita concorrenza con il big Esselunga guidato da Bernardo Caprotti (che però ha la sua roccaforte al Nord). A finire in una sola cassaforte, oltre a supermercati e prestiti dei soci, saranno infine le quote di Unipol, che dopo l’acquisizione di FonSai ha ricominciato a macinare utili (e dividendi) come ai tempi d’oro. La fetta più consistente è per le coop di distribuzione emiliane, che controllano più del 34% di Finsoe, la holding che guida Unipol. Una volta unite, le tre aziende saranno il vero azionista di controllo delle polizze bolognesi. In fondo, nessuno ha il “libretto di istruzioni” su come costruire una coop così grande. L’unico modo è provarci.
Enrico Miele, Affari&Finanza – la Repubblica 20/4/2015