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 2015  aprile 20 Lunedì calendario

CON MEDIASET E TELECOM BOLLORÉ VUOLE VINCERE LA CHAMPIONS DEI MEDIA

Il ciclone Vivendi si prepara a riscrivere (da Parigi) il futuro delle tlc e probabilmente delle tv tricolori. Regista unico: Vincent Bolloré. Il finanziere bretone che, dopo aver imparato a conoscere misteri e debolezze del capitalismo di relazione italiano grazie a una dozzina d’anni come azionista di Mediobanca, ha deciso di far da sé. Applicando alla lettera la regola aurea dell’inarrivabile maestro Enrico Cuccia “Articolo quinto, chi ha i soldi ha vinto” - si prepara a fare shopping tra i resti degli ex salotti buoni di casa nostra. Entrando da padrone nel capitale di Telecom Italia e corteggiando, per ora con discrezione, la Mediaset dell’antico sodale e amico Silvio Berlusconi. Il suo obiettivo - manda in giro a dire lui da qualche mese - è di «essere un investitore di lungo termine» nel nostro paese. Gli osservatori esterni, leggendo il suo curriculum vitae, si sono fatti un’altra idea: punta a guadagnare soldi. Tanti, com’è riuscito a fare quasi sempre in passato. Senza preoccuparsi se per arrivare alla meta deve rompere vecchie amicizie o perdere per strada qualche partner utilizzato come un taxi e poi abbandonato al suo destino.
LA CAMPAGNA D’ITALIA
La seconda campagna d’Italia di Bollorè inizierà tra poche settimane con l’ingresso nell’ex monopolio delle tlc con una quota dell’8,3% dei diritti di voto. E si fonda, come la prima, su due valori fondamentali: la liquidità e le buone entrature. Il raider transalpino - erede (e salvatore) di un impero familiare nato da una cartiera a inizio ‘800 - ha fatto sempre buon uso di entrambe e l’avventura nel Belpaese ne è uno specchio fedele. A Milano è sbarcato nel 2001 grazie ai buoni uffici di Antoine Bernheim, cui era legato da consolidati rapporti di lavoro e amicizia, entrando nel capitale di Mediobanca e recitando un ruolo da utile comparsa nella partita Pirelli-Telecom e nella guerra per Montedison. Che non fosse una meteora o una semplice testa di legno era chiaro già da allora a chiunque si fosse preso la briga di leggere le cronache finanziarie transalpine: nei due anni precedenti il raider di Quimper aveva squassato gli equilibri consolidati della Borsa di Parigi sfidando un mostro sacro della finanza francese come la Lazard con la scalata dalla Rue Imperiale de Lyon e assaltando l’impero della famiglia Bouygues. Due partite chiuse con una doppia vittoria ai punti e con eccellenti plusvalenze. Una volta varcate le Alpi, in effetti, Bollorè ha confermato di non avere timori reverenziali nei confronti di nessuno. Ha fatto da mediatore per l’addio di Vincenzo Maranghi da Mediobanca - dove oggi ha il 6% del capitale - ha cavalcato la stella di Cesare Geronzi (“è stato Silvio Berlusconi a presentarmelo nel 2003”, ha raccontato il banchiere di Marino) traghettandolo in Piazzetta Cuccia, pilotandolo verso le Generali salvo poi accompagnarlo alla porta - con la consolazione di una buonuscita di 16 milioni per 11 mesi di lavoro - a fine 2011. Stessa fine che ha riservato all’ex mentore Bernheim, prima parcheggiato a Trieste e poi “licenziato” in tronco. Un divorzio che l’ottuagenario banchiere non ha digerito al punto di liquidare l’ex figlioccio bretone in un’intervista a “Le Point” come “un mascalzone”. Bolloré ha tirato dritto per la sua strada. Pecunia non olet. Ha snobbato gli incidenti di percorso come i 3 milioni di multa della Consob per alcune spregiudicate operazioni in Borsa sui titoli Premafin. Ha badato a consolidare la sua rete di influenza in Piazzetta Cuccia - dove già conta sul fedelissimo Tarak Ben Ammar - facendo entrare nel capitale la Fininvest. E una volta messi in sicurezza gli investimenti tricolori è tornato a concentrarsi sui suoi affari internazionali.
IL CAPOLAVORO VIVENDI
La strada, anche su questo fronte, è stata spianata dai soliti ingredienti di base: i soldi, accumulati grazie a un business di famiglia da 10 miliardi incentrato per metà sulla logistica con l’Africa, e l’appoggio di una parte dell’estabilishment transalpino. In particolare quel Nicholas Sarkozy che finirà nei guai “politici” per le sue vacanze a bordo del “Paoloma”, lo splendido yacht di Bolloré. Lui - con il beneplacito dei salotti buoni di Parigi - ha scalato così la casa editrice Havas, poi ha messo le mani sulla Aegis. E alla fine ha inquadrato nel mirino il bersaglio grosso: Vivendi. Il blitz è scattato nel 2013. La holding del finanziere ha iniziato a rastrellare titoli del conglomerato. Poi gli ha ceduto un paio di canali televisivi salendo fino al 5% del capitale. A quel punto è scattato l’affondo. Bolloré è partito all’attacco del management guidato da Jean René Fourtou, uno dei mostri sacri della generazione Ena, i “templari” dell’economia francese, chiedendo lo scorporo delle attività di entertainment (Universal e Canal +) da quelle delle tlc e un piano di dismissioni per ridurre il debito. E alla fine ce l’ha fatta. Fourtou ha alzato bandiera bianca e Vivendi ha cambiato pelle. Cedendo in successione Maroc Telecom, Sfr, Activevision, e Numericable. A fine 2011 il gruppo fatturava 29 miliardi, ora ha 10 miliardi di ricavi. In compenso la zavorra di 13 miliardi di debiti si è trasformato in un tesoretto di almeno 10 miliardi di liquidità in cassa pronti da spendere per la crescita. In che direzione lo deciderà Bolloré che un passo alla volta, domando anche le resistenze dei fondi Usa, è salito al 14,52% del capitale spendendo in poche settimane 3,2 miliardi e mettendo a presidiare il cda il solito Tarak Ben Ammar.
GLI APPETITI TRICOLORI
Cosa farà di questo gruzzoletto l’ambizioso e audacissimo collezionista di fumetti bretone? «Voglio essere il Bertelsmann francese e diventare un campione europeo dei media» è l’unico indizio che ha dato all’assemblea di venerdì scorso. Un colosso, per intendersi, al crocevia tra tlc e tv pronto a crescere a suon di acquisizioni («non ci accontenteremo nel 2015 di Dailymotion»). Qualcuno ha ventilato un interesse per la quota di Murdoch in Sky o per l’inglese Itv. Ma i vertici della società transalpina hanno gettato acqua sul fuoco: «Non ci interessano, sono troppo costose - ha liquidato l’argomento l’ad Arnaud de Puyfountaine - faremo solo operazioni con valore intrinseco e più complementari con i nostri business». Parole che hanno fatto drizzare le antenne a molti nel nostro paese dove Vivendi, grazie alla vendita a Telefonica della brasiliana Gvt, sta per entrare come azionista industriale nel capitale di Telecom Italia. Due più due, in finanza, spesso fa quattro. E i conti sono in questo caso semplici. Silvio Berlusconi è in cerca di partner per Mediaset e sogna da sempre un asse con l’ex monopolio delle tlc. Con l’uscita alla spicciolata delle banche da Telco, l’azienda di telecomunicazioni avrà in tempi non troppo lontani necessità estetica e politica, sotto la regia a questo punto di Bollorè, di una tinteggiatura tricolore al suo azionariato. In molti così hanno iniziato a ipotizzare un asse a tre che sulla pietra angolare dello storico rapporto.
Ettore Livini, Affari&Finanza – la Repubblica 20/4/2015