21 aprile 2015
1992 Presentata al Festival di Berlino la fiction 1992 è stata celebrata dalla stampa internazionale
1992 Presentata al Festival di Berlino la fiction 1992 è stata celebrata dalla stampa internazionale. La Frankfurter Allgemeine ha scritto: “Raramente un Paese ha il coraggio di guardarsi allo specchio come in questo caso”. Silvia Fumarola, la Repubblica 16/3/2015 Buoni anche i giudizi espressi dal francese M Le Magazine Du Monde e dalla rivista Variety, che ha parlato di «gran bel colpo per l’industria televisiva italiana».http://www.davidemaggio.it Silvia Fumarola: Si prova un senso di vertigine, a rivedere sullo schermo l’anno della rivoluzione di Tangentopoli. Tutto comincia con l’arresto di Mario Chiesa – era il 17 febbraio – ma la storia raccontata nella serie più attesa della stagione, 1992, di Giuseppe Gagliardi, dieci episodi in onda dal 24 marzo su Sky Atlantic, mescola realtà e finzione, con immagini d’epoca, costruendo un affresco formidabile dell’Italia di quegli anni. Nata da un’idea di Stefano Accorsi, che interpreta il personaggio filo conduttore, Leonardo Notte, ex autonomo, diabolica mente di Publitalia, scritta da Ludovica Rampoldi con Stefano Sardo e Alessandro Fabbri, la serie prodotta da Wildside per Sky intreccia gli anni di Mani Pulite con le storie di persone sconosciute. La bellissima soubrette Veronica Castello (Miriam Leone), disposta a tutto pur di arrivare in tv, si lega all’imprenditore Michele Mainaghi (Tommaso Ragno) travolto dall’inchiesta, poi al reduce dell’Iraq Pietro Bosco (Guido Caprino), arruolato dalla Lega Nord. La sorella giornalista di cronaca giudiziaria (Elena Rodonicich) va a caccia di scoop inseguendo il poliziotto del pool Luca Pastore (Domenico Diele), mentre l’agente Rocco Venturi (Alessandro Roja) è invischiato in affari poco chiari. Poi c’è Bibi Mainaghi (Tea Falco) la figlia punkabbestia dell’industriale... Le riunioni di Publitalia, con Fabrizio Contri più vero di Marcello Dell’Utri, spiegano bene la filosofia berlusconiana, l’ex Cavaliere appare nell’intervista a Mike Bongiorno che gli chiede se entrerà in politica (risposta: “Mi considero l’uomo del fare”). Nella Milano da bere tutto sembra a portata di mano: potere, donne, soldi. La politica si spartisce miliardi mentre il pool – Gerardi è Di Pietro, Pietro Ragusa interpreta Gherardo Colombo, Natalino Balasso è Piercamillo Davigo, Giuseppe Cederna il procuratore Francesco Saverio Borrelli – seguendo le mazzette arrivano ai politici. In una scena Falcone spiega a Di Pietro come si fanno le rogatorie internazionali. Silvia Fumarola, la Repubblica 16/3/2015 Orlando Sacchelli: «Al centro della storia ci sono sei persone comuni, la cui vita si intreccia con il terremoto politico, civile e sociale innescato dalla maxi inchiesta. I personaggi di fantasia si muovono in parallelo a quelli reali. Questo per permettere agli autori un certo margine di libertà nello sviluppo della storia, che corre lungo i binari della realtà. Nelle prime due puntate trasmesse da Sky vengono subito ben tratteggiati i protagonisti: Leonardo Notte (Stefano Accorsi), rampante pubblicitario esperto di marketing, che lavora per Publitalia; il poliziotto Luca Pastore (Domenico Diele), che entra a far parte del pool di Mani pulite proprio quando inizia l’inchiesta; Bibi Mainaghi (Tea Falco), figlia viziata di un imprenditore milanese colluso con la politica; Veronica Castello (Miriam Leone), bella showgirl disposta a ogni compromesso pur di sfondare in tv; Pietro Bosco, ex militare rientrato dall’Iraq, che inizia un’avventura politica militando nella nascente Lega Nord. Accanto a loro ci sono i protagonisti reali, a partire da Antonio Di Pietro (interpretato da Antonio Gerardi), Piercamillo Davigo (Natalino Balasso), Francesco Saverio Borrelli (Giuseppe Cederna), Gherardo Colombo (Pietro Ragusa). Il racconto ha ritmo e gli attori sono bravi. Belle le musiche, tutte rigorosamente di quel periodo ("Non amarmi", di Aleandro Baldi e Francesca Alotta, "Everybody hurts" dei Rem), interessanti gli spezzoni dei tg dell’epoca. Ma a chi non ha vissuto quel periodo o letto qualcosa, questa serie fornirà qualche informazione utile per capire cosa è stata davvero Tangentopoli? Secondo noi no. Del resto non c’era d’aspettarsi troppo: si tratta di fiction non di un documentario e tantomeno di un approfondimento storico». Orlando Sacchelli, Il Giornale 25/3 Sacchelli: «In "1992" si capisce che si vuole andare a parare in una certa direzione. Il messaggio viene messo in bocca a Dell’Utri, che parlando con il rampante Notte (Accorsi) senza mezzi termini gli indica il suo obiettivo, con un mix tra spregiudicata filosofia politica e marketing: "Bisogna salvare la Repubblica delle banane". E il riferimento non è tanto all’impresa (Publitalia) quanto alla politica, la nuova formazione che dà lì a pochi mesi vedrà la luce. Per il resto c’è molta superficialità e una grande banalizzazione. Siamo solo alle prime due puntate ed è probabile che, grazie ai personaggi di fantasia, la serie vivrà un crescendo di emozioni e colpi di scena. C’è da sperarlo. Perché se dovessimo limitare il giudizio alla prima parte della storia, la delusione sarebbe grande. E non perché sappiamo già come va a finire. La politica vera si vede solo sullo sfondo: nei manifesti elettorali, nei comizi di Umberto Bossi e poco altro. Tutto qua? Chi ha visto House of cards sa come si può trattare l’argomento in una serie tv. Fiction, sì, ma con molta più sostanza. Tutta un’altra cosa rispetto a 1992. Forse il problema, per la serie ideata da Accorsi, è che si dovevano fare i conti con la realtà. E si è preferito limitarsi ai cliché». Orlando Sacchelli, Il Giornale 25/3 La fiction vista con Antonio di Pietro Già alla prima inquadratura, si preoccupa: «Oh, ma non è che quello lì con le chiappe all’aria sono io?». Lo «Zanza», anzi, lo «Zanzone» come Antonio Di Pietro veniva chiamato dagli allora giovani cronisti di Mani Pulite a significare la scaltrezza e la furbizia contadina, si accomoda sul divano. Chiede un caffè, ride di gusto: «Ah, no, meno male, non sono io… Eccomi, eccomi! C’è perfino il gilet bordeaux che usavo allora». Panoramica sulla Milano da bere: i rampanti di Publitalia, l’attricetta che si fa raccomandare, le ragazzine di Boncompagni, i ristoranti e la rucola: «Era così ma non per tutti: c’era chi se la godeva, chi faceva affari, chi faceva carriera…Io indagavo, ricordi?». E come dimenticarselo: 1992, un anno infernale. Prima puntata di un ventennio che sembra non aver mai fine. «Se si confronta un’informativa del ‘93 che feci insieme a Davigo sulla corruzione con quella che hanno fatto su Incalza adesso, ritrovi molti degli stessi nomi». [...]Di Pietro è ansioso di vedere la fiction. Non mangia, non beve, un asceta. Passa la prima scena di sesso e si sfila gli occhiali: «Prendo atto, però non mi pare necessaria…». Però il sesso è sempre stato un orpello fondamentale del potere. «Vero. Ma, se interessa, vorrei dire che durante la nostra inchiesta non abbiamo mai utilizzato il gossip per scoprire le tangenti». Certo è strano per un’inchiesta che nacque anche grazie alla causa di separazione tra l’ex presidente della Baggina, Mario Chiesa, e la sua ex moglie, Laura Sala. «Si, ma non ci fu bisogno di intercettazioni. Chiedemmo di poter vedere gli atti della separazione, poi lei ci parlò dei conti in Svizzera, “Levissima” e “Fiuggi”. Quando dissi a Chiesa che l’acqua minerale era finita, lui capì al volo e crollò. Fu l’inizio della fine». Alla scena dell’arresto di Mario Chiesa, lo «Zanza» chiede di mettere in pausa: «Non è vero che andò in bagno per buttare altri soldi. Quella storia la raccontò dopo una settimana e si riferiva a un’altra mazzetta di un altro imprenditore…». Osserva divertito l’ufficio del suo pool investigativo: «Seee… magari avessimo avuto tutto quello spazio!». È colpito dal rampante di Publitalia interpretato da Stefano Accorsi, chiamato da Marcello Dell’Utri a fondare Forza Italia: «Bisogna dire che Dell’Utri che racconta la storia della Repubblica delle Banane è convincente. Grazie a Berlusconi stiamo comprando banane ancora adesso. La differenza è che mo’ ci stanno tanti berluschini». [...]Davvero Craxi all’inizio era un tabù? «Ma quando mai. Per noi Craxi all’inizio non era un problema. Cioè, sapevo, avendo visto come si era comportato in precedenza, che si sarebbe potuti arrivare a lui, ma davvero nell’inchiesta il suo nome non esisteva. Il “Cinghialone”, come lo chiamavate voi, era ancora lontano dalle carte…». Alla fine, rimane deluso: «Qui mi sembra che Mani Pulite sia solo uno sfondo, una scusa per raccontare altro». Emozioni? «Nessuna, io ho vissuto una realtà che mi ha riempito abbastanza. Mi basterebbe che qualcuno un giorno scrivesse come hanno cercato di delegittimarmi in tutti i modi… Non c’azzeccava niente. Speriamo nella storia, questa è solo fiction». Paolo Colonnello, La Stampa 25/3/2015 Di Pietro su 1992: «Non c’azzecca niente» lanuovasardegna.gelocal.it 3/4/2015 La gaffe di Di Pietro parlando della realtà distorta di 1992: «Fate rigirare Borrelli nella tomba». (Borrelli è vivo). liberoquotidiano.it 26/3/2015 Dall’intervista di Dipollina a Stefano Accorsi L’altra sera, mentre andava la prima di 1992 su Sky, Di Pietro è risbucato ospite a Ballarò, in contemporanea. E poi ha detto che la vostra serie non gli è mica piaciuta... «Va bene così. Il senso lo abbiamo spiegato. Di Pietro ha poi avuto l’occasione di dimostrare che politici non ci si improvvisa, che forse i vituperati professionisti della politica servono eccome, che i problemi hanno bisogno di un altro passo. Tangentopoli ha insegnato tutto, in se stessa e nel suo contrario». (Stefano Accorsi a Antonio Dipollina, la Repubblica 29/3) Leonardo Notte fa fuori in due minuti la vecchia guardia pubblicitaria della tv berlusconiana. C’è il mobiliere brianzolo che non è più convinto da Casa Vianello e lui gli scodella le ninfette di Non è la Rai: eccitandolo e rassicurandolo, ché tanto sono quelli fuori, i clienti, a essere pervertiti e bisognosi di mobili. O qualcosa del genere. «Gli dice: non pensi a me e a lei che siamo due persone normali, pensi a quelli fuori che guardano le ragazzine e poi vengono a comprare i mobili da lei». E ovviamente i due mostri sono loro che si rassicurano l’un l’altro fingendo che i mostri siano là fuori. «Sì, il senso è quello. È una delle scene più simboliche dell’avvio di 1992: ma devono ancora capitare tante cose». Eppure su quell’universo che andava a prendere solida forma politica si è detto che non siete accusatori a prescindere, c’è il leghista personaggio complesso, il mondo berlusconiano è frastagliato… «Gli autori sono stati più laici possibile. E hanno delle consapevolezze: la tv privata aprì spazi impensabili altrove. Il famigerato Drive in era pieno di autori di primo piano di sinistra: stavano lì perché c’era spazio anche per quel tipo di creatività. Una cosa che alla Rai sarebbe stata impensabile, era tutto chiuso. Se non si tiene conto di questo, nell’analisi vent’anni dopo, allora meglio non cominciare nemmeno». Lo sa che cosa si dice? Chi gliel’ha fatto fare ad Accorsi di prendersi un guaio simile, le critiche conseguenti, uno che può vivere di rendita con un filmotto ogni tanto… «Uno che è pacificato dentro e vuole la rendita, secondo me, non fa il mio mestiere. Buttarsi dentro anche l’impossibile fa sempre bene». È vero che arriveranno anche 1993 e 1994? «Ci si sta pensando. E anche qualcosa di più». A occhio toccherà metterci dentro più politica… «Credo proprio di sì. E senza muoverci da Milano: anche quello che accadde dopo accadde qui». (Stefano Accorsi a Antonio Dipollina, la Repubblica 29/3 Dall’intervista della Fumarola a Stefano Accorsi Accorsi, com’è nata l’idea di 1992? «Avevo 21 anni quando è scoppiata Mani Pulite, fu un momento esaltante, di passione civile e di speranza. L’immagine che ho davanti agli occhi è Paolo Brosio a Palazzo di giustizia. Ero disinteressato alla politica, ho cominciato a interessarmi a qualcosa. Si è spalancata una porta». Che cosa voleva raccontare? «M’incuriosiva capire quello che succede nei palazzi e nei corridoi del potere; mostrare il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica. Mescolare personaggi inventati a quelli reali permetteva alla narrazione una libertà maggiore, tenendo la Storia sullo sfondo. Non è stato facile, ho cominciato a parlarne anni fa, poi ci siamo incontrati con Mario Gianani e Lorenzo Mieli e ci siamo confrontati con Andrea Scrosati di Sky. Così il progetto ha preso corpo, gli sceneggiatori hanno avuto l’idea fantastica di raccontare solo il 1992, c’è dietro un lavoro di documentazione monumentale. Le storie dei personaggi le hanno create loro». Il suo personaggio Leonardo Notte è un serpente tentatore: cinico, non ha ideali né morale. Spiega ai suoi: “L’elettorato va dove gli tira l’uccello”. «Ah sì, se è per questo dice anche che “l’elettorato è smodato e arrapato...”. Conosce gli uomini. Raramente a un attore vengono proposti ruoli che osano così tanto dal punto di vista morale, etico, fisico. Notte riesce a cogliere le cose cinque minuti prima, non è un caso che Dell’Utri gli dia l’incarico. È un archetipo: viene dai movimenti degli anni Settanta a Bologna, ha creduto in un’ideologia e capisce che non c’è niente in cui credere, va a Milano e si butta nella pubblicità. Niente può fermarlo». Mai avuta la tentazione di giudicarlo? «No, non avrei mai potuto. In 1992 i personaggi funzionano nella fuga delle emozioni, e forse in parte rappresentano quel periodo storico, sono ubriachi di adrenalina, ma non sono superficiali. Penso alla soubrette Veronica Castello, interpretata da Miriam Leone. Reagisce al lutto facendo sesso; Notte è tutto giacche firmate-cravatte-sorrisi, l’animalità viene fuori nei rapporti sessuali. È un free lance, non fa parte di un sistema, è artefice del suo successo: un self made man che non vede limiti. Vede opportunità ovunque».L’intuito non si discute, ma il modo in cui raggiunge i suoi obiettivi sì.«Vive di astrazioni per sfuggire alla sua infelicità, grattando la scorza il dolore riaffora, ha sempre bisogno di essere un po’ ebbro, di credere nella forza di un sogno che sia un discorso pubblicitario o un progetto. Questo lo rende diverso dai collaboratori, intuisce per esempio che può vendere gli spazi all’interno di Non è la Rai solleticando il voyeurismo degli adulti». E grazie al primo sondaggio nella scuola steineriana che frequenta la figlia fa una scoperta ancora più interessante... «I ragazzini votano come personaggio preferito Berlusconi: capisce che è un leader naturale e che gli uomini per costruire il partito sono in Publitalia, non vanno cercati fuori. Ormai il “bene comune” è un concetto astratto. È giusto discordare, ma se in un gruppo qualcuno non è d’accordo e non dice cose fondamentali, dovrebbe fare un passo indietro. L’intuizione di Notte è infilarsi in una squadra che fa riferimento al capo». Si è chiesto come reagirà Berlusconi? «No, è una serie che riserva molti snodi e sorprese. So che non susciterà giudizi univoci». Anche sapendo com’è finita, guardando la serie si prova un curioso sentimento misto di speranza per il futuro e nostalgia. «È un periodo lontanissimo e vicino allo stesso tempo, una classe politica è stata spazzata via ma la cronaca ci dice che Tangentopoli non è finita. C’è tanto da raccontare, gli sceneggiatori stanno già scrivendo 1993, ci piacerebbe chiudere la trilogia con 1994». Silvia Fumarola, la Repubblica 16/3/2015 La fiction secondo Claudio Martelli «Le escort? Ci saranno sempre state, ma a quell’epoca non capitavano a tavola con i politici... È successo dopo, molti anni dopo». Claudio Martelli davanti a «1992», la serie di Sky sull’anno in cui esplose Tangentopoli. «C’è qualcosa di vero, mai emerso finora. C’è una mescolanza fra il presente dell’epoca ed echi del futuro. La fiction assieme al racconto della realtà. Una gran centrifuga». Martelli, compagno di scuola e braccio destro di Bettino Craxi, nel Partito socialista, al centro degli scandali con la Dc. Ministro della Giustizia nel governo Andreotti, dove aveva chiamato, a Palermo, Giovanni Falcone, agli Affari penali. Quello fu l’anno della morte di Falcone e anche del distacco fra Craxi e Martelli. «Ho visto, nelle prime puntate, una grande accelerazione su Berlusconi, come se già nel 1992 fosse lanciato verso la politica. Ma finché io e Craxi eravamo attivi, Berlusconi era un personaggio influente e non di più, come lo era Carlo De Benedetti. Mi è piaciuta una scena con una copertina dell’ Espresso : gli intellettuali di sinistra non avevano capito nulla di ciò che accadeva». Mario Segni si è arrabbiato proprio per la scena con le escort. «Ha ragione. Berlusconi voleva convincere lui e Martinazzoli a capitanare i moderati. Ma senza escort». Il protagonista della serie è Leonardo Notte, personaggio inventato: per conto di Dell’Utri lavora alla trasformazione di una struttura per la raccolta pubblicitaria in un partito. «Notte è ambiguo e livido, Accorsi è marmoreo nella recitazione. Viene dalla sinistra extraparlamentare e si converte al berlusconismo: ci sono stati parecchi casi simili nella realtà. “Cosa vuole la gente?”, dice, “Che i potenti siano sbattuti in galera. Noi dobbiamo seguire quello che la gente vuole”. Spinge così la Fininvest a cavalcare l’inchiesta Mani Pulite». Andò così? «All’epoca nessuno di noi pensò che questa fosse una strategia preordinata. E probabilmente non lo era ancora». Notte dipende direttamente da Dell’Utri. «Dell’Utri è dipinto come un’eminenza grigia, diabolico. Non lo conosco personalmente, sembra più low profile». A Roma muoveva intanto i suoi passi la Lega. «Questa parte è raccontata bene. Lo sbarco di Bossi e colleghi nella capitale, loro che sfogliano il regolamento di Montecitorio prima di addormentarsi. E poi il democristiano che vuole istruire il leghista ex militare...». Di Pietro in «1992» ha l’ossessione di far finire Craxi nella rete. «È una novità: non era mai stato detto così chiaramente. Ci furono anche due incontri, fra la fine di luglio e l’inizio di agosto, tra Craxi e Di Pietro. A Craxi premeva la sorte di Dini, presidente della Metropolitana di Milano e di Zaffra, ex segretario della Uil lombarda. Poco dopo gli incontri furono scarcerati, ma Di Pietro non mollò la presa». C’è un pranzo, in «1992», fra Di Pietro e Giovanni Falcone, che lavorava al ministero della Giustizia. Falcone spiega a Di Pietro come si devono fare le rogatorie internazionali. «Che io sappia, non ci furono pranzi fra loro. L’atteggiamento della serie è interessante, perché da una parte glorifica il pool di Mani Pulite, dall’altra insinua dubbi. In questo caso, si racconta l’incompetenza di Di Pietro sulle rogatorie. E c’è Falcone che si lamenta: Di Pietro mi manda le rogatorie senza gli allegati...». Una scena mostra il traffico che si ferma, a Milano, perché la gente riconosce Di Pietro. Succedeva? «Il clima era quello, folla plaudente per le strade. Giorgio Bocca scrisse che Di Pietro era l’espressione autentica della stirpe italiana, contadina, impegnata ad affrontare il male. Sono curioso di vedere se si parlerà — nella serie — delle indagini su Di Pietro». Nell’ultima puntata andata in onda, si suicida l’industriale Mainaghi, arrestato e tenuto in carcere finché non fa il nome di un corrotto. Chi è Mainaghi? «La sintesi di molti imprenditori. Ho pensato a Ligresti, ma ci sono in lui Gardini e Cagliari, che si tolsero la vita. Mi aspetto che si parli, nelle prossime puntate, di Sergio Moroni, deputato socialista suicida (estate 1992) dopo aver ricevuto due avvisi di garanzia». Andrea Garibaldi, Corriere della Sera 4/4/2015 La fiction secondo Mario Segni In un episodio di 1992 , Mario Segni appare scandalizzato. È rappresentato al tavolo di un ristorante: discute di politica e di possibili intese con alcuni uomini di Publitalia (la discesa in campo di Berlusconi in prima persona è di là da venire). Arrivano Olga, Irina e Katarina, tre prostitute ingaggiate per «siglare l’intesa». Segni si alza e se ne va indignato. A differenza del personaggio della serie, Mario Segni, quello vero, martedì sera non si è alzato, è rimasto davanti alla tv a guardare la puntata. Ma era scandalizzato: «Sono indignato. Hanno mistificato la realtà». Segni è stato tra i protagonisti (quando da deputato lasciò la Dc dopo il successo del referendum per il maggioritario) della stagione politica raccontata da 1992 . Nulla di strano che il suo nome compaia nella serie di Sky, che mescola personaggi reali e di fantasia e racconta una storia di fiction nel contesto(reale) di Mani pulite: Dell’Utri lo vuole sondare come possibile leader di una «casa dei moderati»; a trattare c’è Leonardo Notte (Stefano Accorsi), protagonista della fiction, uomo marketing del Biscione incaricato del dossier politico. Notte e Segni sono insieme al ristorante: il deputato ex dc è indeciso sul dolce («vorrei una mousse, anzi no, una crostata. Aspetti... abbia pazienza. Ho cambiato idea... mi porti il menu»). Notte taglia corto: «Il dolce lo offre la casa». Arrivano le prostitute e l’intesa fallisce. Notte dirà a Dell’Utri: «Ci ha messo mezz’ora solo per scegliere il dolce, Segni non va da nessuna parte». «Possibile che si debba ridurre tutto a una volgare pochade?», si chiede Segni, quello vero, dopo aver visto la puntata. «I rapporti tra movimento referendario e la nascita di Forza Italia sono parte di una storia più complessa, che ha inizio con l’offerta di alleanza di Berlusconi e si conclude con il mio rifiuto. Una storia politica, non fatta di prostitute. I contatti furono diretti», specifica. E di quella scena smentisce tutto. A cominciare dall’anno: non fu il 1992. «Il primo contatto con Berlusconi fu a casa di Gianni Letta, nell’ottobre del 1993: al tavolo c’erano Berlusconi e Confalonieri». E nessuna prostituta russa. In effetti quella di Sky è una fiction: «Anche se ispirate a fatti realmente accaduti le storie narrate sono frutto della fantasia degli autori», è chiaramente espresso all’inizio di ogni puntata di 1992 . Per Segni, «va bene mescolare realtà e finzione, ma quando nomi e cognomi sono quelli... Non puoi raccontare falsità e attribuirle a una persona specifica». Renato Benedetto, Corriere.it 3/4/2015 La fiction secondo Paolo Liguori Lei ha criticato il racconto fatto da 1992. Perché? «Perché racconta in maniera distorta la storia di un concorrente, Mediaset. Non dimentichiamoci però che Sky è nata grazie a un’idea di Silvio Berlusconi, che aveva creato Telepiù, la prima televisione italiana a pagamento. Successivamente, a causa della legge che non permetteva di poter avere contemporaneamente una Tv generalista e una a pagamento si è visto costretto a vendere a Rupert Murdoch». Murdoch vorrebbe screditare Mediaset? Non stiamo esagerando? «Murdoch non ha mai accettato di essere secondo a nessuno. Con le buone o con le cattive ha sempre perseguito i suoi obiettivi. Oggi però, probabilmente, con la sua Tv è addirittura terzo, dopo Mediaset e la Rai e quello che deve averlo infastidito di più deve essere stata la perdita dei diritti della Champions. Per questo deve aver deciso di sferrare l’attacco». Cosa non la convince e quali sarebbero gli eventuali errori di 1992? «Non parlerei di errori ma di falsificazioni. La prima riguarda il monologo del personaggio interpretato da Stefano Accorsi, che lascia intendere che, dopo l’arresto di Chiesa, Publitalia si sia vista costretta a dedicarsi alla politica, fatto completamente falso perché sino al 2002 la pubblicità ha vissuto anni d’oro. I problemi sono iniziati con l’attentato dell’ 11 settembre alle Torri Gemelle e l’apice della crisi è stato solo nel 2008».Qualcosa da dire sulla figura di Silvio Berlusconi? «Sì, viene presentato come attivo in politica già nel 1992 quando in realtà scese in campo due anni dopo. Ai tempi dell’inchiesta “Mani pulite” le Tv di Berlusconi erano al servizio dei cittadini per raccontare quello che stava accadendo, con inviati che tutti ricorderanno come Paolo Brosio e Andrea Pamparana. A chi accusava Mediaset di dare troppo spazio alla vicenda, veniva risposto “Siamo una Tv nazional popolare e offriamo alla gente quello che ci chiede!”». Cosa ne pensi della scelta di Stefano Accorsi tra gli attori? «Non poteva non esserci perché la fiction è nata da una sua idea. Ha due espressioni: una con il sopracciglio alzato e una con il sopracciglio abbassato. Forse di espressioni ne ho più io che non faccio l’attore!». Come viene descritta la Tv di Berlusconi in 1992 «Nella fiction si parla di Non è la Rai, un programma ideato da Gianni Boncompagni e Irene Ghergo, esuli dalla Rai. La Tv di Berlusconi nasce invece con Drive in, ideato e diretto da un giovanissimo Antonio Ricci e dalle idee di giovani direttori di rete come Giorgio Gori, Giancarlo Giovalli e Carlo Freccerò, uomini che non possono certo essere definiti “berlusconiani”.Lo stesso Enrico Mentana non ha mai rinnegato di aver preso pare all’inizio di una televisione “berlusconiana”». Quindi nella fiction si è finito per confondere “Tangentopoli” con “Vallettopoli”? «Si è mischiato tutto per dimostrare che Mediaset e Silvio Berlusconi sono sinonimo di malaffare. Si vuole dare una lezione all’Italia ed è come se la Pepsi Cola finanziasse un film per raccontare la storia della Coca Cola ma con molto odio». (Paolo Liguori intervistato da primaonline.it, 3/4/2015) Mariarosa Mancuso: Complimenti per il coraggio, un po’ meno per la tenuta delle puntate (giudichiamo dalle prime due viste a Berlino). I personaggi presi dalla vita si portano dietro tutti i dettagli che sappiamo di loro, peccato per un trucco e parrucco non sempre all’altezza. I personaggi di fantasia faticano a imporsi – anche qui, speriamo in successivi sviluppi che acchiappino lo spettatore sparigliando le carte. Quando irrompono gli spezzoni di repertorio non c’è gara: un balletto di “Non è la Rai” vale più delle parole che il venditore di Publitalia spende per convincere all’investimento l’industrialotto delle chiavi a brugola (comunque c’era già la crisi, consolatevi, i soldi erano già belli e finiti all’inizio degli anni ‘90). Rispetto a “Romanzo criminale” e a “Gomorra”, il ritmo è decisamente più lento. Gli americani – per esempio in “True Detective” – se lo possono permettere, dopo aver sperimentato tutte le sfumature del colpo di scena, noi ancora no. “1992” nasce da un’idea di Stefano Accorsi, che ha scelto per sé la parte del cattivo dall’oscuro passato (un ruolo così al cinema non gliel’avrebbero dato mai, e se lo gode anche un po’ troppo, beati gli attori che spariscono nel personaggio). Ha iscritto la figlia alla scuola steineriana, lezioni in pantofole per liberare assieme al piedino la creatività e cestini da intrecciare con le figlie di Berlusconi. Il giudizio storico sull’epoca naturalmente uno non se lo aspetta da una serie tv. Pare già un bel risultato essere usciti dal recinto asfissiante della resistenza, del sessantotto, della “meglio gioventù”. La più recente storia d’Italia è altrettanto ricca di storie che vale la pena di raccontare. Mariarosa Mancuso, Il Foglio.it 23/3 Aldo Magro: Chiappe all’aria più che Mani pulite. A guardare la serie "1992" - in onda su Sky Uno e su Sky Atlantic - che vorrebbe raccontare la stagione di Tangentopoli e quei mesi che hanno rivoluzionato l’Italia, la prima domanda che un telespettatore giovane (che di quell’epoca non può avere ricordi) - ma pure uno più anziano (che i ricordi li ha) - si pone è: ma quanto scopavano?Hai capito questi socialisti. O meglio, questi politici, affaristi e via di seguito. Antonio Di Pietro, (voto 9 all’attore Antonio Gerardi che lo interpreta), a chi gli domanda cosa pensi della serie, con la sua ironia molisana risponde con un «Senti a me, in questa fiction scopano tutti tranne io». Perché, battuta a parte, si sa, il sesso ed i nudi in televisione hanno un certo appeal e la Miriam Leone (che nella serie interpreta il ruolo di Veronica Castello, una showgirl disposta a tutto pur di raggiungere il successo) - un sedere da 10 ed un personaggio tormentato e spogliato (recitato bene, voto 8,5) - di sicuro è un ingrediente intrigante. I social, ad esempio, sono letteralmente impazziti per lei, tra ironia e desiderio, elogi e critiche. Aldo Magro, Il Tempo.it 11/4 Aldo Magro: [...] il romanzo di quegli anni, i personaggi storici che, attraverso la scrittura della serie, si incarnano in qualcos’altro rispetto ai se stessi di allora, assomigliano parecchio ad una riscrittura della storia. In fondo la fiction, le serie ed i film, con il pretesto della realtà, spesso finiscono con il cambiarla in tv, il che in un Paese come il nostro dalla memoria non corta ma istantanea, può generare parecchia confusione. Ecco allora che un Marcello Dell’Utri, oggi nella vita reale in carcere ma un tempo potente e temuto, viene raffigurato come un bischero, qualità che non ha mai avuto e che neppure i suoi nemici gli hanno mai attribuito. Il leghista, poi (voto 8 all’attore Guido Caprino che lo interpreta), sembra un vichingo bizzarro e buzzurro, pure un po’ coglione: uno stereotipo fuorviante (Umberto Bossi, per stare agli anni Novanta, che lo si apprezzi o lo si detesti, è stata una sapida mente politica) che non inquadra affatto ciò che rappresentò la rivoluzione di Mani Pulite in quegli anni, dove la Lega, nel senso comune del nord, giocò un ruolo importante tanto che proprio da lì sboccerà l’antipolitica del futuro.E poi Silvio Berlusconi, circondato a tutte le ore del giorno, pranzo e cena da ragazze minorenni (ci andrà pure la figlia adolescente di uno dei protagonisti, Leonardo Notte - interpretato da Stefano Accorsi - un pubblicitario di Publitalia, dal passato oscuro), chiaro giudizio politico di parte, più che narrativo, sul politico e sull’uomo. Fattoiodi, più che fatti, verosimiglianze e non realismo. Costruzione "politica" di personaggi reali. "1992", a vederlo, è tutto questo ma nell’esserlo genera un equivoco. Sin dal titolo, che rimanda ad una stagione reale. I poliziotti e le forze dell’ordine, almeno loro ne escono bene, eroi di una stagione che ha trovato nella fiction la propria epica. Ma può bastare questo? O sarebbe servito un maggiore sforzo di verità, seppur col linguaggio della tv, per un’epoca che ha cambiato l’Italia è che non può essere liquidata con una via di mezzo tra il Romanzo storico e la docufiction. Il risultato è una calligrafia di ritmo, anche avvincente, dove, secondo gli stereotipi della sinistra più comuni, i "cattivi" sono ancora più cattivi e persino un po’ coglioni. Una pedagogia senza troppo riguardo per la storia. Per quella ci sono i libri. Aldo Magro, Il Tempo.it 11/4 Domenico Naso: Gli attori del cast sono bravi, ma si sapeva, anche se Tea Falco, interpretando Bibi Mainaghi, non parla ma biascica, un mix insopportabile tra Asia Argento e Domenico Naso, ilfattoquotidiano.it 25/3 Domenico Naso: [...]in 1992 c’è troppo, e tutto assieme. Un concentrato di quello che furono quegli anni, fin troppo concentrato: i corrotti, l’AIDS, la droga, la tv, tutto assieme sullo sfondo dell’inchiesta Mani Pulite e del crollo dell’Impero partitocratico. I personaggi, poi, sono così stereotipati da sembrare quasi macchiettistici: il bolognese imborghesito candidato del Pds, i leghisti ignoranti e burberi, la soubrette rigorosamente zoccola, il manager di Publitalia con l’ex moglie hippy che vive a Bologna e mangia bio. I dialoghi a volte sono surreali e un po’ ridicoli, e gli attori bisbigliano un po’ troppo, costringendo lo spettatore a usare un volume da rave party, non da salotto di casa. Qualche banalità sparsa qua e là, poi, completa il lato problematico della serie: le ragazze di Non è la Rai come esempio negativo di adolescenti, per esempio, ha stufato da tempo, e in fondo sappiamo tutti che si tratta di un atteggiamento poco generoso nei confronti di un fenomeno che all’epoca aveva assunto dimensioni enormi.La cosa migliore di 1992 forse è la colonna sonora: dai REM alla sigla di Casa Vianello, passando per Lorella Cuccarini e Non Amarmi, si traccia alla perfezione il background musicale che ha segnato quegli anni, almeno per la maggior parte della gente, per quello che definiamo “paese reale”. C’è una scena, per esempio, che è un piccolo capolavoro: Marcello Dell’Utri legge la notizia dell’omicidio di Salvo Lima mentre in sottofondo parte la sigla di Casa Vianello. Tutto un mondo racchiuso in pochi secondi. Domenico Naso, ilfattoquotidiano.it 25/3 Domenico Naso: Ovviamente non poteva mancare, nella narrazione di quell’anno cruciale, l’allora cavaliere Silvio Berlusconi. È un personaggio di contorno, che non si vede mai, ma è fondamentale. Un po’ come la moglie del tenente Colombo o la mamma di Howard Wolowitz in The Big Bang Theory. A un certo punto si sente la sua voce, dietro la porta di un bagno: il Cavaliere fa la pipì (ebbene sì: anche lui la fa!), e avvisa Accorsi sui rischi del fumo, soprattutto per i denti gialli. Primo piano sul tacco di rialzato (altra banalità buona per un monologo comico, non per una serie come 1992), e il gioco è fatto. Milano, snodo cruciale di quel terremoto che fu Mani Pulite, è raccontata e descritta piuttosto bene, anche se ogni tanto gli sceneggiatori hanno un po’ esagerato nel cliché (eccone un altro) della Milano da bere. Per concludere, 1992 è una serie qualitativamente superiore rispetto agli standard italiani, ma distante anni luce dalla perfezione stilistica e narrativa di Gomorra. C’è qualcosa che non convince del tutto, probabilmente nella scrittura e nella psicologia troppo stereotipata dei personaggi. Ma vale la pena continuare a seguirla, anche solo per tentare di comprendere una singola parola pronunciata da Tea Falco. Mission impossible, ma ci proveremo. Domenico Naso, ilfattoquotidiano.it 25/3 Mattia Feltri: John Wayne non c’è. Nessun giustiziere solitario, nessun supereroe spuntato dal retrobottega della nostra coscienza a riscattare gli umili e offesi. Non aspettatevi inquadrature di metaforici calci di fucile segnati di tacche a ogni potente abbattuto, intanto che la vecchietta o il ragazzino o il padre di famiglia risollevano la testa dalla polvere. Non è la biografia agiografica o problematica di un Tonino Di Pietro né quella collettiva di un pool che vediamo oggi, venti anni dopo, nelle foto di gruppo mentre avanza con lo sguardo che punta lontano, involontario e caricaturale nuovo Quarto stato di Pellizza da Volpedo, la serie di cui la prima puntata va in onda stasera (21,10) su SkyAtlantic, non è – nella sintesi che migliore non ci riesce – la storia di Mani pulite ma la storia di Tangentopoli, e cioè non è la storia del drappello di pm bensì la storia di come eravamo, noi abitanti della città delle mazzette. Una bella sorpresa: due decenni e tre anni dopo quel 17 febbraio – giorno dell’arresto di Mario Chiesa e inizio della fine della Prima repubblica – qualcuno è stato capace di ricacciare il secchio in quei complicati mesi senza attingere a retorica settaria. Non ci sono i buoni contro i cattivi. Non è il bene contro il male. I politici rubavano e furono presi con le mani nel sacco, e non erano né mostri né perseguitati. I magistrati indagavano con le timorose prudenze del contesto, espresse dal procuratore capo Francesco Saverio Borrelli che trattiene Di Pietro: «Per puntare in alto ci vogliono le spalle coperte». È un Di Pietro a cui luccicano gli occhi alla vista di cinque lettere stampate sul giornale – «Craxi» – perché è lì che vuole arrivare, introduzione a una giustizia redentrice che prima trova i colpevoli e poi le notizie di reato. E però non è questo il punto. Davvero non contano né Di Pietro né Borrelli né Craxi né Chiesa, conta molto di più tutto ciò che lì dentro c’è di fiction. I personaggi storici sono colonne del tempio dentro cui si muovono i personaggi di fantasia, i veri protagonisti, il ragazzone rientrato dalla guerra del Golfo senza un’idea di sé e del suo futuro che salva un capoccia leghista dall’aggressione di due albanesi, sarà candidato al Parlamento, salirà sul palco a urlare salivante che è ora di finirla adesso basta, «adesso tocca a noi», e tanto basta al nuovo entusiasmo: e lui poi va a liquidare il padre: «Presto avrò una casa quattro volte questa». C’è il collaboratore della procura determinato a incastrare l’imprenditore corrotto per una questione personale, pur di raccattare le prove violerà domicili, ingannerà ragazzine, minaccerà a mano armata e troverà la giornalista cui girare (di nascosto) le informazioni buone per gli scoop e per la fama degli inquirenti. C’è il giovane berlusconiano (Stefano Accorsi, ideatore della serie) collaboratore di Marcello Dell’Utri che per vendere la pubblicità a un inserzionista indeciso gli spiega che «la gente là fuori è orribile», si tratta soltanto di assecondarla: non diseducarla o traviarla, assecondarla. C’è tutto il nostro mondo, la ragazza che per la carriera in tv si concede a chi la piglia, i padri boriosi che non capiscono i figli, i figli tossici che mandano al diavolo i padri, la gente maleducata e velenosa, i grandi attici delle grandi baldorie, i miserabili appartamenti di miserabili rancori, c’è persino l’insegnante delle medie che salverà il mondo liberando i piedi dalla costrizione delle scarpe. Ricordate che niente è definitivo, i peggiori diventeranno i migliori, i pessimi risultati saranno prodotto delle buone intenzioni: è il festival molto credibile, compreso qualche inevitabile eccesso parodistico, dell’ambiguità morale che fa parte della nostra vita e della buona scrittura che la racconta. Mattia Feltri, La Stampa 24/3 Goffredo Buccini: Nostalgia, per forza. Ma mica per i giovani cronisti che fummo. Né per l’immacolata immagine di Antonio Di Pietro che veleni, errori e orrori hanno sfigurato assieme alle nostre speranze di venti e passa anni fa. Nostalgia per le mazzette, sì, ammettiamolo: ancora ingenuo corpo del reato. Quelle della prima inquadratura, i famosi sette milioni che l’imprenditore concusso Luca Magni portò a Mario Chiesa e che il furbo Tonino aveva per tempo siglato «ADP» così da poter annichilire il difensore del mariuolo che protestava — «sono soldi dell’ingegner Chiesa» — con la prima storica battuta dell’epopea di Mani Pulite sulla quale, giustamente, si apre la serie «1992», dieci puntate in onda su Sky da stasera: «No, avvocato, sono soldi nostri: ho segnato le banconote!». Goffredo Buccini, Corriere della Sera 24/3/2015 Goffredo Buccini: Non si riesce dunque a impedirsi un moto di tenerezza per il manager craxiano del Pio Albergo Trivulzio che cerca di far sparire nel water le banconote di Magni ancora non scoperte da Tonino e dalla sua «squadretta». Doppia tenerezza, visto che adesso, 23 anni dopo, l’ingegnere da cui cominciò lo scandalo s’è adontato per quella scena pur descritta in cento e cento articoli e ha provato a bloccarla per vie legali: mariuolo sì, ma non marionetta china sul water, perdinci. È una storia per chi non c’era (e quindi per tanti) questo «1992» in serie televisiva: frutto di un imponente e lodevole sforzo di ricostruzione ma raccontata da sceneggiatori che allora erano ragazzini e che dunque, nel timore di tramutare in macchiette i personaggi reali, storici, se ne tengono a debita distanza umana, ce li consegnano come li hanno letti e visti in foto. E forse è meglio così, perché la storia di Mani pulite storia non è poi davvero, è ancora cronaca soltanto invecchiata, ancora gronda furori tossici, una lettura più calda l’avrebbe arroventata troppo. Sicché Di Pietro (il bravo Antonio Gerardi) ringhia e calca l’accento da contadino del profondo sud come sappiamo che faceva, ma non restituisce granché del pirotecnico sbirro assurto allo scranno di pm che ci riceveva grattandosi le caviglie nella stanza 254 della Procura di Milano, esattamente all’altro capo del lunghissimo corridoio che finiva con gli uffici di Saverio Borrelli (il peso dei sostituti si misurava in metri di distanza dal capo, Tonino era un assoluto carneade prima di diventare padreterno). Era allegro e sfrontato, quel primo Di Pietro: lontano da ciò che sarebbe stato poi. Con una congiura di giovani cronisti, potevamo trasformarlo impunemente in «Di Dietro» nei pezzi del giorno dopo, se recalcitrava nel darci qualche notizia: poi smettemmo per cautela, ma lui sapeva borbottare senza prendersela più di tanto. E nemmeno ci dice granché, questo Di Pietro seriale, dei mille rapporti del vero Tonino con la Milano da bere, pur citando il famoso «poker di Craxi», che molti di noi sottovalutarono colpevolmente. Craxi è un nome vietato nella stanza 254 in versione tv. E lo era davvero, in quei primi mesi di indagine. Tonino si lasciò andare a un’ammissione prudente con Paolo Colonnello del Giorno , il cronista che gli era più vicino («potrei arrivare a lui...»), solo dopo che Chiesa aveva confessato e le sue confessioni avevano spedito a San Vittore otto imprenditori, le cui confessioni avrebbero a loro volta aperto il domino micidiale che segnò il primo anno di Mani pulite. In quella stanza 254 vediamo affacciarsi un Borrelli televisivo fin troppo premuroso, pronto a offrire sostegno per mirare «in alto»: e in alto tutti sapevamo ci fosse il «Cinghialone», infame nomignolo che tra giovani cronisti appioppammo a Bettino. Il procuratore, esperto navigatore della Prima Repubblica, in realtà in quei primi mesi seppellì Di Pietro sotto processetti ordinari e gli affiancò Davigo e Gherardo Colombo certo per aiutarlo ma anche per accertarsi che non prendesse cantonate colossali: le elezioni dell’aprile ‘92 e la vittoria di una Lega delle origini che segna l’inizio del racconto, ruspante e ben lontana da diamanti e cerchi magici, cambiarono la scena radicalmente. Era un pezzo di commedia all’italiana, prima di diventare lo sfondo di vere tragedie umane, quella stanza 254. E dunque uno sbirro bonario come Rocco Stragapede, il più fedele al capo, il più simile a lui antropologicamente, non potrebbe ciabattare, come faceva, ai ritmi da House of card s imposti ai poliziotti della serie tv. Giù, per strada, la gente è come era, vigliacca e delirante, pronta a osannare i pm e a tradirli, a blandire Craxi e a bersagliarlo di monetine, perché questa era, ed è ancora, la nostra Italia. Un’Italia dove sembrava non dovesse mai succedere davvero qualcosa di irreparabile, nemmeno in quei giorni segnati dagli avvocati «accompagnatori», specialisti non nel difendere l’indagato ma nell’assisterlo durante la confessione: una chiamata di correo e via, libero. Fino ai suicidi. Il primo fu Renato Amorese: «Mi hanno sputtanato», disse il segretario socialista di Lodi, un pesce piccolo che teneva alla sua dignità. Noi cronisti non ci fermammo troppo a pensarci su. E la gente continuò ad applaudire per riflesso. Ma già si preparava a cambiare beniamino, in modo paradossale. Il primo Berlusconi della serie di Sky è una voce, la sua , che suggerisce ad Accorsi di non fumare, «fa ingiallire i denti». Sorridendo, le sue tv all’inizio cavalcarono l’inchiesta: Paolo Brosio piantato da Emilio Fede sulle rotaie davanti al palazzo di giustizia resta un’icona grottesca e potente. Ma era solo il 1992, la Prima Repubblica era già uno zombie. Raccontare il ‘93 o il ‘94, prossimo obiettivo dichiarato dei produttori, sarà tutto un altro film: noi italiani ne stiamo ancora scrivendo la storia. Goffredo Buccini Cds 24/3 Beatrice Dondi: Che dire. Prendiamola alla lontana. Ringraziamo Sky Atlantic per averci regalato un mese di repliche dell’anno 1992. Peccato solo che alla fine abbia dovuto mandare in onda la serie. Perché dai, onestamente, l’abbiamo aspettata dai tempi del festival di Berlino e alla fine il risultato è solo una fiction nel solco della più classica tradizione italica. E no, non è un complimento. Il prodotto cerca di mescolare due filoni: quello storico-realistico-amarcord-corruttivo, con Canale 5, Aleandro Baldi, Umberto Bossi, Mario Chiesa, Di Pietro, Dell’Utri, tangenti e mazzette. E un altro frutto della pensata degli sceneggiatori, con sei personaggi in cerca di arrivismo. Il risultato è una specie di frullato di primi piani, transizioni, dettagli, costumi e canzoni che cercano stoicamente di supportare dialoghi insulsi. 21 settimane di ripresa e non sentirle. Quando il risultato è uno Stefano Accorsi meno espressivo del MaxiBon che mangiava un tempo. Tutti fumano, molto, e sono sempre nudi, nudissimi, sbattono le porte forte, e portano gli occhiali, grandi, indossano pellicce, non eco, vanno in bagno, spesso, e maneggiano soldi preferibilmente sporchi. Ma lo fanno con una lentezza, ma con una lentezza che solo l’idea che manchino ancora mille mila puntate rilascia uno sgradevole brividino sotto pelle. Così si passa dalla Lega alla Finvest, dagli inciuci alle raccomandazioni, dal sesso senza cuore alla Cuccarini come in un triste Bignami della storia recente dall’aria soporifera. In cui l’unico sprazzo emotivo è dato dalla meravigliosa cattiveria dello spot pubblicitario di House of cards a fine episodio. E il confronto, davvero, è impietoso. Alla fine verrebbe da sperare solo in un colpo di scena finale con Bettino Craxi che raccoglie per terra le monetine davanti all’hotel Rahael e corre a buttarle nella fontana di Trevi. C’avevamo creduto, sinceramente, nella grande rivoluzione. Aspettavamo con fiducia una serie ’all’americana’, dove le pause fossero meno lunghe delle azioni. Anche perché le recensioni della stampa straniera facevano ben sperare. Ma dovevamo capire che, sulla carta, l’incredibile storia di un paese macchiato di così tanta ignominia potesse sembrare appetibile. E tra la carta e la messa in onda c’è di mezzo qualsiasi altra cosa. Forse, la butto lì, sarebbe il caso di piantarla col nostro passato, i panni sporchi e il lavaggio in famiglia che tanto la storia è sempre quella. E prima di sorbirci un "2015 scandalo Grandi Opere la serie", tifiamo tutti per un soggetto originale, uno qualsiasi, almeno uno. Per piacere... Ps. Però tre cose da salvare ci sono: 1. La sigla di casa Vianello sotto "Assassinato Salvo Lima". 2. La battuta: "Guardi Non è la Rai?" "Sì ma con spirito critico". 3. Il lavoro di promozione durato ben due mesi che ha alzato a tal punto l’aspettativa che a dire il vero, a parlarne male ci si sente un po’ in colpa. huffingtonpost.it 25/3 Tea Falco, l’attrice che in 1992 interpreta Bibi Mainaghi, lapidata su Twitter: “Incapace”, “Raccomandata”, “Quando apre bocca servono i sottotitoli”, “Il suo logopedista si sarà suicidato”. Nella serie tv gli sceneggiatori Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo e Alessandro Fabbri le avevano riservato il difficile ruolo di una figlia viziata, viziosa e inconsapevole, costretta alla metamorfosi imprenditoriale ed esistenziale dall’arresto del padre. Il pubblico si è diviso tra convinti apologeti dell’esperimento (Bertolucci, Virzì, Freccero) e frange diventate ostili dopo gli iniziali apprezzamenti (Filippo Facci, Aldo Grasso). Commento della Falco: “Più che arrabbiata, sono molto triste. Le critiche mi hanno ferita, ma che piovano in fondo è anche normale. Qualcuno mi odia? Significa che il mio personaggio ha colpito nel segno [...] Come chiunque reciti in un’impresa commerciale che si confronta con il pubblico. Ti esponi, ti mostri e ti concedi al giudizio degli altri. A qualcuno sono piaciuta, ad altri meno. Ho diviso e spiazzato. Ma delle mia esperienza in 1992 sono contenta». Twitter di Fabrizio Rondolino : Insulti e sputacchi ai socialisti, e qualche culo nudo. Che tristezza #1992LaSerie