Notizie tratte da: Steve Sheinkin # L’atomica. La corsa per costruire (e rubare) l’arma più pericolosa del mondo # il castoro 2015 # pp. 294, 15,50 euro., 21 aprile 2015
Notizie tratte da: Steve Sheinkin, L’atomica. La corsa per costruire (e rubare) l’arma più pericolosa del mondo, il castoro 2015, pp
Notizie tratte da: Steve Sheinkin, L’atomica. La corsa per costruire (e rubare) l’arma più pericolosa del mondo, il castoro 2015, pp. 294, 15,50 euro.
Vedi Libro in gocce in scheda: 2314383
Vedi Biblioteca in scheda: 2311282
Robert Oppenheimer ragazzino: maldestro e taciturno, saccente («Fammi una domanda in latino, e io ti risponderò in greco»), se ne stava da solo in camera sua a studiare le lingue, a divorare libri di scienza e di letteratura e a riempire taccuini di poesie. A quattordici anni, secco come un chiodo, i genitori lo mandarono a un campo estivo di atletica, ma era un disastro nello sport. I compagni, quando scoprirono che gli piacevano la poesia e la ricerca di minerali, cominciarono a chiamarlo Bambolina.
Oppenheimer all’università, interrompeva le lezioni per proporre le sue teorie. Compagni di corso spesso infastiditi. Un amico: «Il problema è che Oppie ragiona così velocemente che mette in imbarazzo gli altri».
Oppenheimer, di origini ebraiche, quando seppe che Hitler aveva preso di mira gli scienziati ebrei, impiegò una parte del proprio stipendio per aiutarli a fuggire dalla Germania nazista.
Berlino, dicembre 1938: il chimico Otto Hahn scopre nel corso di un esperimento che la forza dell’impatto di alcuni neutroni, in accelerazione a causa della loro radioattività, su atomi di uranio sembra scindere in due questi ultimi. Hahn informa della cosa la ex collega Lise Meitner, fisica ebrea rifugiata in Svezia, lei ne parla con il nipote Otto Frisch, anch’egli fisico, il quale ne parla a sua volta a Copenaghen con Niels Bohr, in procinto di partire per l’America.
Per Meitner e Frisch il procedimento della scissione di un atomo di uranio – che si cominciò presto chiamare «fissione» – avrebbe prodotto energia. Calcolarono che la scissione di quel singolo atomo potesse bastare per muovere un granello di sabbia.
L’atomo di uranio, il più grande in natura (nucleo composto da 92 protoni e 146 neutroni), ma pur sempre piccolo: in meno di 30 grammi di uranio se ne contano 100.000.000.000.000.000.000 (cento miliardi di miliardi).
Washington, gennaio 1939: Bohr comunica la scoperta della scissione dell’atomo a una conferenza tra fisici a Washington. Il mattino dopo il fisico Luis Alvarez legge la notizia sul giornale mentre è dal barbiere a Berkeley, California, e corre subito verso il campus dell’università per informare i colleghi. Uno dei primi che incontra è Oppenheimer.
«Nel giro di una settimana forse – ricordava un suo studente – comparve sulla lavagna nello studio di Oppenheimer il disegno, orribile e fatto malissimo, di una bomba».
«Non ci avevo proprio pensato»: Albert Einstein al fisico Leo Szilard che lo aveva raggiunto nel suo cottage di Long Island per raccontargli la recente scoperta della fissione e spiegargli come fosse possibile usare l’uranio per costruire armi dagli
effetti devastanti.
11 ottobre 1939: l’economista Alexander Sachs consegna al presidente americano Roosevelt una lettera di Albert Einstein. Nel dubbio che i tedeschi stiano già lavorando su un ordigno nucleare, Einstein sprona il governo americano affinché cominci a lavorare a stretto contatto con i fisici sull’eventualità di costruire una bomba atomica. Poche settimane dopo Roosevelt istituirà la Commissione uranio, incaricata di studiare le basi del funzionamento della bomba e i materiali necessari alla sua costruzione. Avvio faticoso, primo budget, 6.000 dollari.
Ottobre 1941: Oppenheimer partecipa alla sua prima riunione della Commissione uranio.
«Enormoz» (enorme): nome in codice dell’operazione avviata dal Kgb – con scarso successo – per rubare i segreti dell’atomica americana.
Leslie Groves, 46 anni, ingegnere di formazione, colonnello dell’esercito americano. Il 18 settembre 1942, promosso generale, assume la guida delle ricerche per la costruzione della bomba atomica (nome in codice, «Progetto Manhattan»). Aveva appena finito di guidare i lavori di costruzione del Pentagono.
Oppenheimer e gli altri scienziati sapevano di poter bombardare un atomo di uranio con i neutroni e provocare la scissione del nucleo, e sapevano che questa scissione avrebbe sprigionato energia. Immaginavano soltanto che dividendosi in due, il nucleo di uranio avrebbe liberato altri neutroni, che si sarebbero allontanati a grande velocità collidendo con altri atomi di uranio, causandone a loro volta la fissione. Non sapevano se sarebbe andata davvero così ma avevano già un nome per questo processo: «reazione a catena». E solo se fossero riusciti a causare una reazione a catena abbastanza veloce, avrebbero potuto costruire una bomba atomica.
Enrico Fermi sperimenta la prima reazione a catena atomica: è la dimostrazione della «possibilità di produrre energia atomica in modo controllato». Il mattino del 2 dicembre 1942, in un campo di squash dell’Università di Chicago.
Il commando norvegese, addestrato in Inghilterra, che distrusse l’impianto per la produzione di acqua pesante di Vemork, in Norvegia, senza perdere un uomo (febbraio 1943).
Acqua pesante: quella in cui l’atomo di idrogeno ha un nucleo costituito non da un solo protone ma da un protone e un neutrone. Serviva agli scienziati tedeschi per rallentare i neutroni e creare una reazione a catena con l’uranio. Fermi aveva usato la grafite.
I tre partigiani norvegesi, guidati da Knut Haukelid (lo stesso che era a capo della missione del febbraio 1943), che fecero affondare con una bomba il traghetto su cui i tedeschi avevano imbarcato i vagoni del treno contenenti quaranta barili di acqua pesante destinati alla Germania, gli ultimi prodotti da Vemork (agosto 1943) Dopo il sabotaggio di febbraio la centrale era stata riparata e aveva ripreso a funzionare. Ma poi era stata smantellata dai tedeschi che non la consideravano più sicura.
Nella primavera del 1943 la squadra di scienziati capitanata da Oppenheimer che porta avanti il progetto Manhattan si insedia a Los Alamos, nei pressi di Santa Fe, New Mexico. Dovendo la loro missione restare segreta, ai fisici più famosi vengono assegnati nomi in codice: Enrico Fermi è Henry Farmer.
Europei quasi tutti i membri della squadra di Oppnheimer, molti gli ebrei fuggiti dal regime nazista.
Della quarantina di scienziati giunti a Los Alamos, pochi sapevano che erano lì per produrre una bomba atomica. Riuniti tutti in quella che un tempo era la sala di lettura della biblioteca alla Los Alamos Ranch School, glielo spiegò per la prima volta il 15 aprile 1943 l’assistente di Oppenheimer, Robert Serber.
Preoccupato per la presenza degli operai che stavano ancora lavorando a Los Alamos, Oppenheimer suggerì di usare con moderazione la parola «bomba». Robert Serber, il suo assistente, usò allora il termine «arnese». E disse poi che da quel giorno, a Los Alamos, «la bomba che stavamo costruendo divenne per tutti “l’arnese”».
Oppenheimer sempre sorvegliato dal controspionaggio militare americano: molti agenti dell’intelligence credevano che fosse segretamente comunista, e forse addirittura in contatto con le spie sovietiche.
A metà del 1943 il governo russo aprì il «Laboratorio numero 2», un centro di ricerca segreto, situato in una pineta alla periferia di Mosca, con il compito di costruire la bomba atomica. Progetto affidato a un fisico di quarant’anni: Igor Kurčatov.
«Rispetto al lavoro di ricerca, che è così importante sia per la portata sia per l’obiettivo prefissato, e che si svolge proprio lì accanto a voi, il lento procedere della coltivazione di nuovi agenti negli Stati Uniti è davvero intollerabile» (cablogramma del Kgb alle spie sovietiche in America, in una data non precisata del 1943).
Oak Ridge (Tennessee) e Hanford (Washington): due delle «città segrete» che facevano parte del Progetto Manhattan. Nell’enorme fabbrica di Oak Ridge – ottantamila dipendenti che vivevano nei camper intorno al complesso – veniva arricchito l’uranio.
Il nucleo di un atomo di uranio contiene normalmente 238 particelle, 92 protoni e 146 neutroni. Se colpito da un neutrone veloce, non dà vita a una fissione nucleare ed è quindi inutile ai fini della costruzione di una bomba. Tuttavia, una piccola percentuale di atomi di uranio, circa uno su centotrenta, contiene 235 fra protoni e neutroni (i neutroni in questo caso sono 143). Quando viene colpito dai neutroni, questo uranio si scinde producendo energia. Compito dell’impianto di Oak Ridge era di separare gli atomi di uranio 235 da quelli di uranio 238 e di inviarli a Los Alamos.
L’impianto di Hanford era basato su un’altra scoperta. Quando gli atomi di uranio 238 vengono colpiti da neutroni in fuga, in realtà li assorbono: vale a dire che il neutrone resta all’interno del nucleo di uranio. Ciò trasforma l’atomo in un elemento nuovo, non presente in natura, che gli scienziati chiamarono plutonio. E il plutonio risultò soggetto alla fissione ancora più rapidamente dell’uranio 235, quindi poteva essere usato per la costruzione di una bomba. La fabbrica di Hanford aveva il compito di produrre plutonio quanto prima possibile.
Il Progetto Manhattan nel suo complesso dava lavoro a più di trecentomila persone. Il governo stava spendendo centinaia di milioni di dollari, ma in un progetto segretissimo: il presidente Roosevelt decise di non riferire al Congresso dove andava a finire tutto quel denaro.
Due paia di guanti e una pallina da tennis: i segnali di riconoscimento rispettivamente per Harry Gold, spia americana per conto dei sovietici, e Klaus Fuchs, fisico di origini tedesche nel team inglese del Progetto Manhattan, che aveva già collaborato con il Kgb. Al loro primo contatto a New York, il 5 febbraio 1944.
Per arrivare a tutti i costi prima dei nazisti nella realizzazione della bomba gli americani progettarono anche di rapire Werner Heisenberg, considerato da quasi tutti gli scienziati di Los Alamos il fisico di punta rimasto in Germania e con tutta probabilità la guida del progetto per realizzare l’atomica tedesca. Il piano poi cambiò. Un ex giocatore di baseball, il quarantunenne Moe Berg, fu incaricato di avvicinarlo a una conferenza che avrebbe tenuto il 18 dicembre 1944 a Zurigo. Berg doveva eliminarlo se avesse avuto l’impressione che i tedeschi erano prossimi alla realizzazione della bomba. Arrivò a parlargli a quattr’occhi: Heisenberg si disse convinto che il suo paese avrebbe perso la guerra. Era una prova a sostegno dell’ipotesi che Hitler non stesse per lanciare la bomba atomica. Berg lo salutò e lo lasciò andare.
Theodore Hall, brillante studente di fisica e matematica a Harvard, chiamato a Los Alamos nel 1944, quando aveva diciotto anni. Lo assegnarono alla squadra guidata dal fisico italiano Bruno Rossi. Provava simpatia, «come molti», per l’Unione Sovietica. «Mi sembrava che un monopolio americano [nel nucleare militare] fosse pericoloso e andasse evitato», dichiarò anni dopo. A metà ottobre del 1944 a New York, dov’era in congedo per due settimane, passò ai russi una cartella con il maggior numero di dati sulla bomba che Mosca avesse mai avuto.
Paul Tibbets, ventinove anni, esperto pilota, colonnello dell’aviazione americana: l’uomo selezionato per guidare l’aereo che avrebbe sganciato la prima bomba atomica. Anche se la bomba non era ancora pronta. La sua squadra venne istituita ufficialmente il 17 dicembre 1944.
La difficoltà di costruire una bomba al plutonio: troppo lento il processo di sparare due masse all’interno di un fusto di cannone. Bisognava prendere diversi frammenti di plutonio, grandi tutti insieme quanto un pompelmo, e sistemarvi tutt’intorno degli esplosivi, come fossero la buccia del frutto, per generare un’implosione. Ma lo scoppio verso l’interno doveva essere perfettamente simmetrico.
Realizzato un prototipo di bomba al plutonio, il chimico George Kistiakowsky si accorse che l’esplosivo al plastico, esaminato ai raggi X, aveva delle minuscole sacche d’aria che avrebbero compromesso la fissione nucleare. Passò quindi una notte a scavare con un trapano da dentista buchi nei pezzi difettosi per arrivare alle sacche d’aria e riempì poi le cavità, goccia dopo goccia, con una miscela di esplosivo liquido.
Il 12 aprile 1945 muore il presidente Roosevelt. Harry Truman, vicepresidente da tre mesi, giura come presidente degli Stati Uniti e viene informato per la prima volta del Progetto Manhattan.
Il 23 aprile 1945 una squadra speciale dell’esercito americano entra per prima nella cittadina tedesca di Haigerloch e trova in una grotta protetta da una porta d’acciaio il laboratorio della ricerca atomica tedesca. Heisenberg aveva provato a costruire una pila atomica simile a quella realizzata da Fermi a Chicago. Ma aveva fallito. I tedeschi erano in ritardo sul programma di oltre due anni.
Gli americani trovarono Heisenberg in un casolare di montagna. Li stava aspettando seduto in veranda. Sospirò e si alzò, sentendosi «come un nuotatore spossato che mette piede sulla terraferma».
«Per me, Hitler era la personificazione del male, la giustificazione principale per la costruzione di una bomba atomica… Ora che la bomba non sarebbe più servita contro i nazisti, cominciavano a sorgere dei dubbi» (il fisico italiano Emilio Segrè sul clima a Los Alamos dopo la resa della Germania).
Urgenza del primo test sull’atomica: a Potsdam il 16 luglio Truman deve incontrare per la prima volta Stalin. Vuole essere sicuro che l’America abbia una bomba atomica funzionante.
Il primo test in un luogo del deserto del New Mexico, vicino alla base dell’aviazione di Alamogordo, che Oppenheimer chiamò in codice Trinity. Il 16 luglio 1945 alle 5.30 ora locale, in un momento in cui il meteorologo aveva previsto che sarebbe cessata la pioggia. Bomba al plutonio, sfera di esplosivi di un metro e mezzo di diametro, peso totale cinque tonnellate. Alcune centinaia, tra scienziati e militari, i testimoni, a non meno di trenta chilometri dal punto di esplosione. Tensione altissima al conto alla rovescia, diffuso nei rifugi di tutta Trinity.
«Poi, senza neppure un suono, fu come se in cielo splendesse il sole» (il fisico Otto Frisch). «Ci fu un enorme lampo di luce, il più intenso che abbia mai visto, e non credo che qualcuno ne abbia mai visto uno più luminoso» (Isidor Rabi). «Un nitore e una bellezza impossibili da descrivere» (generale Thomas Farrell). «Quello che mi stupì non fu tanto la luce, quanto il caldo insopportabile di una giornata di sole che sentii sul viso in quella gelida mattina nel deserto. Fu come aprire un forno acceso» (Philip Morrison). Circa trenta secondi dopo l’esplosione, arrivò il boato (che si sentì fino a El Paso, nel Texas, a quasi duecentocinquanta chilometri di distanza).
«Fu un momento assai solenne. Sapevamo che il mondo non sarebbe più stato lo stesso. Alcuni ridevano, altri piangevano. Per la maggior parte, restarono in silenzio» (Robert Oppenheimer).
La bomba esplose con la potenza di circa diciottomila tonnellate di tritolo. Il calore generato polverizzò la torre d’acciaio che reggeva il congegno. Per un raggio di centoventi metri la sabbia si fuse trasformandosi in un vetro verdastro. Le strumentazioni a più di un chilometro dal sito dell’esplosione rilevò temperature vicine ai 400 gradi centigradi. All’interno di quell’area non era rimasta nessuna forma di vita, animale o vegetale.
«L’intervento si è svolto al mattino. La diagnosi non è ancora completa, ma i risultati sembrano soddisfacenti» (dal telegramma in codice inviato al presidente Truman a Potsdam dopo il test di Trinity).
«Ci fu come un lampo. All’improvviso mi sentii come se mi avessero chiuso in una fornace… Quando riaprii gli occhi, dopo un volo di otto metri, era ancora buio, come se fossi davanti a un muro dipinto di nero» (Shintaro Fukuhara, dieci anni, a Hiroshima, il 5 agosto 1945).
Un lampo accecante e poi il buio, sensazione comune dei sopravvissuti in ogni parte di Hiroshima: l’improvvisa oscurità fu causata dall’enorme quantitativo di polvere e detriti scagliati in aria dalla forza dell’esplosione.
«Mio Dio, che cosa abbiamo fatto?» (appunto di Robert Lewis, copilota dell’Enola Gay, l’aereo americano che lanciò l’atomica di Hiroshima, sul diario di bordo).
«Stalin ebbe una reazione tremenda. Perse la calma, prese a pugni la scrivania e batté i piedi», ricordò uno dei suoi ufficiali in comando. Stalin voleva la sua bomba, la voleva subito. Affidò la guida del progetto al capo della polizia segreta, il temutissimo Lavrentij Berija.
Il 9 agosto gli americani lanciarono il secondo ordigno nucleare: una grossa bomba sferica a implosione al plutonio, conosciuta come Fat Man, «il Ciccione». Esplose sulla città di Nagasaki con la forza di ventiduemila tonnellate di tritolo.
Nelle settimane successive alle due esplosioni sul Giappone, sia Klaus Fuchs, tramite Harry Gold, sia Ted Hall, tramite una Lona Cohen, spia esperta, passarono ai sovietici i progetti della bomba elaborati a Los Alamos. A ottobre gli ufficiali del Kgb a Mosca poterono fornire un rapporto completo sul progetto per la bomba al plutonio, contenente una descrizione particolareggiata di ciascun componente dell’ordigno e l’elenco specifico dei materiali necessari.
Oppenheimer diede le dimissioni da direttore di Los Alamos il 16 ottobre 1945. «Non ho mai visto un uomo angustiato come Oppenheimer. Sembrava convinto che la distruzione dell’intera specie umana fosse ormai imminente» (il segretario al Commercio Henry Wallace la sera del 24, dopo averlo incontrato nelle prime ore del mattino a Washington).
La prima bomba atomica sovietica, testata il 29 agosto 1949 in una zona pianeggiante del Kazakistan: copia esatta dell’ordigno americano a implosione testato a Trinity. Potenza equivalente a ventimila tonnellate di tritolo.
Gli americani scoprirono che i russi si erano appropriati di informazioni segrete sull’atomica perché durante la guerra gli agenti sovietici che si trovavano negli Stati Uniti avevano dovuto servirsi delle compagnie telegrafiche americane per inviare rapidamente informazioni a Mosca. Erano telegrammi in codice, le compagnie ne conservavano copia che poi giravano ai militari. Nel 1949 gli esperti americani riuscirono a decifrare il codice e cominciarono a decrittare i messaggi spediti in Urss durante la guerra. Il primo che trovarono riguardante la bomba portava a Klaus Fuchs.
«Mi dica, giusto per farmi un quadro della situazione, qual è stata l’informazione più importante che ha passato ai russi?». «Forse la più importante è il progetto finale e completo della bomba atomica» (Klaus Fuchs a un investigatore del MI5).
Fuchs fu processato a Londra. Aveva temuto di essere condannato a morte: solo alla vigilia del processo il suo avvocato gli spiegò che il massimo della pena per il suo reato era 14 anni. Perché aveva passato segreti a un paese straniero, ma non al nemico (Gran Bretagna e Unione Sovietica durante la guerra erano alleate). Fu in effetti condannato a 14 anni, uscì grazie a uno sconto di pena per buona condotta nel 1959 e si trasferì nella Germania Est, dove si sposò e proseguì le sue ricerche nucleari.
Anche Harry Gold confessò e fu processato e condannato (ottenne la libertà condizionata nel 1965). Ted Hall fu l’unico a farla franca: non perse la calma quando l’Fbi lo interrogò, negò di essere stato una spia. Contro di lui il governo aveva solo un cablogramma decrittato, che però non poteva essere usato come prova in tribunale.
La bomba all’idrogeno, o la Super, come la chiamavano. Non basata sulla scissione degli atomi, avrebbe tratto energia dalla fusione, cioè dall’unione degli atomi (di idrogeno, in questo caso). E avrebbe avuto una potenza praticamente illimitata. Oppenheimer e altri scienziati espressero il loro parere contrario, Truman ordinò di proseguire nel progetto.
La prima bomba all’idrogeno, testata dagli americani su un’isola del Pacifico meridionale il 1° novembre 1952. Potenza dell’esplosione pari a 10 milioni di tonnellate di tritolo. Meno di un anno dopo, nel Kazakistan, i sovietici testarono con successo la loro prima bomba all’idrogeno.
«Siamo come due scorpioni in una bottiglia, ciascuno in grado di uccidere l’altro, ma solo a spese della propria vita» (Oppenheimer nel 1953).
Oppenheimer sfiduciato dal governo americano. La sua opposizione alla bomba all’idrogeno fu considerata da alcuni un atto di slealtà nei confronti degli Stati Uniti. Lui continuò a lavorare a Princeton fino al 1966, quando andò in pensione. Morì l’anno dopo per un cancro alla gola.
La bomba sovietica da cinquanta megatoni (equivalente a 50 milioni di tonnellate di tritolo), la più grande esplosione della storia. Il test spazzò via interi edifici di mattoni a più di quaranta chilometri dal luogo della detonazione, e l’onda d’urto incrinò le finestre di palazzi lontani anche ottocento chilometri.
La Gran Bretagna testò il suo primo ordigno nucleare nel 1952. La Francia nel 1960, la Cina nel 1964, l’India nel 1974, il Pakistan nel 1998. La Corea del Nord possiede l’atomica dal 2006. Israele potrebbe avere circa ottanta bombe atomiche, anche se non ha mai confermato o negato l’esistenza di un programma di ricerca nucleare.
Armi atomiche in possesso di Stati Uniti e Russia: nel complesso circa ventiduemila. A metà degli anni Ottanta erano sessantacinquemila.