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 2015  aprile 19 Domenica calendario

VENEZIA LA PICCOLA GRECIA D’ITALIA

Come l’alta marea che quando si ritira lascia per le calli di Venezia solo i detriti, così l’inchiesta sul Mose ha trascinato con sé pezzi interi delle istituzioni. E ora si contano i danni: il Comune, commissariato, ha un bilancio disastrato; il Consorzio Venezia Nuova che finanziava persino le sagre delle parrocchie di Mestre, ha chiuso i rubinetti e dal Governo i fondi della legge speciale per Venezia, che garantivano un aiuto economico alla città, ora sono tutto dirottati al Mose. Un’opera che è già costata cinque miliardi di euro. E il sottobosco della cricca Serenissima, azzerata a giugno con quella che è stata definita la tangentopoli Veneta, attende nuove maree. Che potrebbero arrivare con il voto del 31 maggio. La sfida per la guida della Regione, che vede contrapposti il governatore uscente Luca Zaia, il sindaco di Verona Flavio Tosi e la democratica Alessandra Moretti; ma soprattutto la scelta del primo cittadino della Laguna. Una partita dall’esito assolutamente incerto: a Felice Casson, ex magistrato e senatore democratico civatiano, il centrodestra oppone un imprenditore finora lontanissimo dalla politica, Luigi Brugnaro. Ciascuno ha una propria idea di come ripulire la melma lasciata dall’alta marea. Che è davvero tanta.
PER FORTUNA PAGA RENZO ROSSO. E IL COMMISSARIO VIETA I TROLLEY NELLE CALLI
Il Comune mette all’asta 350 alloggi pubblici. Per fare cassa. Perché oltre al buco di bilancio da 60 milioni di euro da coprire, ci sono le spese di gestione inevitabili se non mettendo a repentaglio l’unico patrimonio rimasto alla città: il turismo. Ciò che era ordinario è diventato straordinario, in stato di costante emergenza. Per i consueti lavori di restauro del Ponte di Rialto, ad esempio, l’amministrazione ha dovuto cercare uno sponsor e l’ha trovato solamente due giorni fa: la Otb di Renzo Rosso si è impegnata a coprire i cinque milioni di spese necessarie. Alle casse della città lagunare, per le peculiarità che la rendono di difficile gestione rispetto a tutte le altre, contribuiva lo Stato con i fondi introdotti dalla legge speciale per Venezia. Ora invece da Roma tutto ciò che arriva in San Marco va direttamente al Mose. L’ultimo stanziamento è stato inserito nel Def approvato dall’esecutivo la scorsa settimana: 221 milioni all’opera che vedrà la luce (forse) nel 2017.
Il problema di Venezia era l’acqua alta. Chi doveva risolverlo ha scelto il Mose. Poi invece di realizzarlo ha aggiunto altri problemi. Ben più gravi. Con gli arresti dell’ex sindaco Giorgio Orsoni, dell’ex ministro e presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan, del capo indiscusso del Consorzio Venezia Nuova (che doveva gestiva il Mose) e secondo l’accusa “grande burattinaio” della cricca Serenissima Giovanni Mazzacurati, dei due Magistrati alle acque, Patrizio Cuccioletta prima e Maria Giovanna Piva poi – che avrebbero dovuto controllare la corretta esecuzione dell’opera e si sono invece venduti a Mazzacurati, cioè il controllato – il generale della Guardia di Finanza Emilio Spaziante, e il lungo elenco di cento indagati per reati vari (corruzione, concussione, riciclaggio e finanziamento illecito) tra cui Altero Matteoli – ex titolare delle Infrastrutture e tuttora presidente della commissione ai lavori pubblici del Senato – la procura ha spazzato via un sistema corruttivo che in oltre dieci anni si era talmente radicato da trascinare con sé pezzi importanti delle istituzioni.
Il Magistrato alle Acque è stato cancellato con un tratto di penna dal governo Renzi e il Cvn ha chiuso i cordoni della borsa dopo aver distribuito almeno 25 milioni di euro in tangenti e finanziamenti (leciti e non) ai partiti, come hanno ricostruito i pm Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini. Infine il disastrato Comune, ormai stabilmente ben oltre il patto di stabilità. Qui il commissario Vittorio Zappalorto è stato inviato con il compito di garantire la contabilità e l’ordinaria amministrazione e si è invece ritrovato ad ammettere che sarà difficile riuscire a chiudere il bilancio 2015 e ad agire da sindaco. In quasi dieci mesi ha dovuto tentare di salvare il Casinò, stanziando 3,5 milioni per la ricapitalizzazione, mentre un altro milione è finito in aiuto dei conti della Vela, l’altra municipalizzata. Zappalorto è intervenuto anche sulla quotidianità, emettendo norme ritenute stravaganti come il divieto di uso dei trolley rumorosi nelle calli, e spingendosi oltre i confini del proprio incarico tentando di vendere gli alloggi pubblici. Per evitare che Venezia si trasformi in una piccola Grecia italiana.
PATTEGGIAMENTO MILIONARIO PER L’EX PRESIDENTE LA SEGRETARIA VENDE LE 20 BORSE BIRKIN
Sulle macerie del Comune veglia l’ex sindaco Giorgio Orsoni. Ma ora solo con lo sguardo. Abita sul Canal Grande, accanto al Ponte di Rialto e proprio davanti a quel municipio che fino allo scorso giugno occupava, prima di essere trascinato via dal Mose con l’accusa di finanziamento illecito. Ora è in attesa di processo. In questa bellissima villa ha trascorso gli arresti domiciliari, ben sapendo che fosse un carcere a dir poco risibile. In un’intervista concessa a La Stampa, appena una settimana dopo l’arresto, raccontò la sofferenza dei domiciliari trascorsi “ascoltando musica di Beethoven, Schumann e Brahms e leggendo un libro sulle migrazioni a Venezia tra 1300 e 1500”.
Nella dimora dorata a Cinto Euganeo, secondo l’accusa realizzata grazie alle tangenti ricevute, è “confinato” anche Galan. L’ex governatore Veneto, dopo essersi professato innocente e aver tentato di evitare l’arresto, poi concesso dal Parlamento, è riuscito a ottenere i domiciliari per motivi di salute. Si è difeso in ogni modo, negando di aver ricevuto soldi e dichiarandosi povero, per poi patteggiare una pena di 2 anni e 7 mesi oltre al pagamento di 2,6 milioni di euro. Altra sorte è toccata alla sua storica segretaria e braccio destro, Claudia Minutillo soprannominata la Dogaressa. Il legame tra i due, un tempo profondo, è stato reciso con il deflagrare dell’inchiesta. La totalità delle accuse che hanno portato i magistrati di Venezia a chiedere la misura cautelare in carcere per l’ex governatore, hanno infatti preso spunto da dichiarazioni rilasciate da Minutillo a seguito del suo arresto nel febbraio 2013 nell’inchiesta per frode fiscale insieme a Piergiorgio Baita, ex amministratore delegato della Mantovani Spa. Un arresto conclusosi con un risarcimento complessivo di 400 mila euro e verbali fiume d’interrogatorio pieni di particolari, di resoconti dei rapporti intrattenuti per conto di Galan. Minutillo, ora in attesa di due processi per corruzione ed evasione, venerdì ha messo in vendita parte del proprio guardaroba, comprese 20 borse Birkin di Hermes.
A conferma che la Cricca si è sfilacciata, anche la querela con richieste di risarcimenti avanzata da Baita contro Minutillo. Infine il grande burattinaio Mazzacurati, volato negli Stati Uniti allo scattare delle manette a giugno e mai tornato in Italia. “Questo sistema criminale è stato mantenuto in vita per venti anni, lasciato ad autoalimentarsi”. Felice Casson li conosce bene gli uomini della Cricca. In particolare Baita. “Nel 1992 avevo arrestato l’allora presidente della Regione e Baita. Ma Nordio (oggi procuratore aggiunto a Venezia, ndr), in quel contesto pm, chiese l’assoluzione per Baita e mi ha colpito sia stato arrestato a distanza di due decenni; non voglio attribuire colpe o meriti, per carità, dico semplicemente che mi ero accorto dello spessore notevole anche criminale del personaggio”. Il senatore del Pd, ritenuto vicino a Pippo Civati, è candidato sindaco di Venezia alle amministrative del prossimi 31 maggio. Ha vinto le primarie di colazione ottenendo il 55,62% dei voti sconfiggendo Nicola Pellicani, il candidato del Pd nonché pupillo di Massimo Cacciari, e l’ex consigliere comunale Jacopo Molina. Nato a Chioggia 61 anni fa, Casson è entrato in magistratura ad appena 26 anni. Dal 1993 al 2005 è stato pubblico ministero a Venezia e si è occupato di numerose inchieste che hanno coinvolto la città, come l’incendio del teatro La Fenice, le truffe ai danni del Casinò, le morti per amianto a Marghera. Già candidato sindaco nel 2005 perse contro Cacciari, il nemico di sempre. Tanto che Casson, interpellato sul filosofo e il suo spesso contestato potere nel centrosinistra cittadino, non cela la conflittualità: “Cacciari? Non mi pare sia ancora un problema per Venezia”.
BRUGNARO RIMPIANGE IL PASSATO, CASSON LO TEME
A Casson non rimane che battere gli altri sette candidati. Amministrative piuttosto affollate, quelle veneziane. C’è pure Roberto Fiore, segretario del movimento Forza Nuova. Poi l’economista Gianpietro Pizzo, con una sua lista civica, come Francesca Zaccariotto e Mattia Malgara. Davide Scano corre per il Movimento 5 Stelle e poi il direttore di Unioncamere Veneto, Gian Angelo Bellati. Ma il vero sfidante di Casson è Luigi Brugnaro, 54enne presidente di Umana, titolare della società di basket veneziana Reyer e capo degli industriali veneti. “Ho chiamato Giorgio Squinzi per dimettermi dal direttivo di Confindustria proprio perché ho deciso di impegnarmi per la mia città”, afferma Brugnaro.Ha le idee chiare sul Mose e l’opera si annuncia il terreno su cui si consumerà parte della campagna elettorale perché Brugnaro e Casson hanno opinioni radicalmente opposte. Brugnaro considera le paratie “una grandissima struttura di ingegneria che pone l’Italia all’avanguardia internazionale, sarà una delle opere di ingegneria più importanti mai realizzate, dice il candidato sostenuto da Forza Italia.
Casson, invece, lo ritiene un gigantesco problema e un’opera inutile. “L’ho sempre sostenuto, hanno fatto scelte sbagliate, non hanno preso in considerazione le alternative e ora ci ritroviamo in questa situazione: dicono che la conclusione lavori è prevista a metà 2017 e al di là dei costi necessari ma va considerato che i costi di gestione e manutenzione sono enormi, compresi in una forbice tra i 35 e i 60 milioni di euro annui; una cifra fuori dal mondo”. Secondo Casson il Mose è “stato imposto dall’alto, quasi la totalità della classe politica è stata o comprata o finanziata come abbiamo visto e al di là della responsabilità penale c’è proprio una gestione del denaro pubblico inaccettabile, una corruzione endemica dilagante che fortunatamente è stata interrotta ma le conseguenze che ereditiamo ci pongono di fronte un compito molto complicato”. Anche Brugnaro plaude all’inchiesta della magistratura e guarda al Comune. “Io ho deciso di candidarmi proprio perché non possiamo più girarci dall’altra parte, io dedicherò cinque anni della mia vita a far ripartire la città e rinuncerò allo stipendio proprio per sottolineare con fermezza nei fatti il mio impegno al rilancio dell’enorme potenziale che ha Venezia”. E fa un’altra promessa: “Dobbiamo riaprire il Magistrato delle acque perché ha competenze specifiche indispensabili per Venezia ma deve essere posto sotto il controllo del Comune e deve essere una casa di vetro con la trasparenza che c’era ai tempi della Repubblica quando tutti dovevano rispondere e rendere conto ai cittadini, compreso il Doge”. E Venezia galleggiava, Serenissima.
Davide Vecchi, il Fatto Quotidiano 19/4/2015