Michele Serra, la Repubblica 19/4/2015, 19 aprile 2015
CORSIVI
Magari i francesi si prendono troppo sul serio, e gli intellettuali francesi sono francesi al cubo. Ma quando il direttore del Festival di Cannes, Thierry Frémaux, scomunica la moda dei selfie di dive e divi sul tappeto rosso, definendola “ridicola e grottesca” (che con la erre arrotata, “ridicule et grotesque”, suona più indignato che in qualunque altra lingua) noi sentiamo un piccolo brivido di condivisione. Qualcuno fa osservare che di cose ridicole e grottesche a Cannes, e nei festival in generale, se ne contano tante. Vero. È il luogo deputato per l’esibizionismo, la vanità, l’ostensione del sé. Ma proprio per questo, proprio perché il red carpet sta al cinema come l’eucaristia alla Messa, proprio perché in quegli istanti tu sei lì che sfavilli davanti agli occhi del mondo, che necessità c’è del puerile contrappunto di un autoscatto, di un “io sono qui” che suona come la più inutile delle puntualizzazioni? Ti stanno scattando migliaia di fotografie, inquadrando in centinaia di telegiornali: non ti basta? Esiste una solennità, in qualunque vita e in qualunque mestiere. Così come non ci si ferma per farsi un selfie mentre si dirige Mozart, o mentre si dice messa, quando si sfila a Cannes si controlla di non avere la patta aperta o il reggiseno lasco, si sorride al pubblico, si va via. Si chiama understatement. Contraddistingue i grandi. Nel senso di: diventati grandi.
Michele Serra