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 2015  aprile 19 Domenica calendario

JOHANNESBURG, ASSALTO AGLI IMMIGRATI SEI MORTI E DECINE DI ARRESTI: PAESE NEL CAOS

Il Sudafrica sperava di aver spento l’incendio, e invece in strada sono tornati i machete e la furia, le urla e i saccheggi, il sangue e le proteste. Sei morti e un’ottantina di arresti in due settimane, cinquemila stranieri costretti a fuggire lasciandosi dietro una vita per nascondersi in stadi presidiati dalla polizia, o in campi allestiti alla meglio. Kenya, Malawi e Zimbabwe hanno invitato i loro concittadini ad abbandonare subito il paese, e la multinazionale Sasol ha rimpatriato 340 lavoratori sudafricani dallo stabilimento in Mozambico per paura di ritorsioni. «Sono scioccato e disgustato — dice il presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe — da quello che è successo a Durban, dove cinque o sei persone sono state arse vive da membri della comunità zulu».
La xenofobia — male antico cresciuto tra le pieghe dell’apartheid, quando i bianchi opponevano indiani e neri di altri paesi africani per contendere il lavoro ai neri cui avevano tolto terre e proprietà — di tanto in tanto torna a bruciare case e a rapire vite: nove anni fa toccò a Città del Capo, sette anni fa a Johannesburg; oggi l’odio divampa in mezzo paese. Il maremoto di violenze iniziato dieci giorni fa a Durban si è propagato alle township di Johannesburg dove venerdì sera la polizia ha sparato all’impazzata pallottole di gomma per tentare di riportare la calma, tra arresti, aggressioni e saccheggi. Una crisi così violenta da spaventare il paese e da suggerire al presidente Zuma di rinunciare al viaggio di Stato in Indonesia.
Ogni notte è un incubo: neri contro neri e poveri contro poveri, in un paese devastato dalle contraddizioni e dalla disoccupazione al 25%. Non sono i bianchi nel mirino della furia, ma altri neri africani provenienti dalla Nigeria o dalla Somalia, dall’Etiopia, dallo Zimbabwe. «Ci rubano il lavoro», dicono nei ghetti delle periferie di Durban e Johannesburg. Le ultime violenze, venerdì, sono divampate ad Alexandra, la “township” più difficile di Johannesburg in cui i neri sopravvivono dividendosi un gabinetto in decine di famiglie tra pidocchi e topi, martoriati dall’Aids e dalle gang che s’ammazzano per strada. È il quartiere che ospita la prima “casa” in cui approdò Mandela appena arrivato in città, una casa-stanza con il tetto di lamiera che affaccia in un cortile sgangherato nella baraccopoli. Lì accanto, venerdì, la polizia in tenuta anti-sommossa sparava pallottole di gomma a uomini con i machete in mano, pronti ad assaltare i negozietti degli stranieri atterriti.
Alla radice dell’esplosione d’odio c’è una frase scellerata pronunciata — o «tradotta male», secondo la sua versione — dal re zulu Goodwill Zwelithini secondo cui gli stranieri devono «fare i bagagli e andarsene a casa loro» perché rubano il lavoro ai sudafricani. Parole che sentiamo anche in Italia, ma che diventano benzina in un paese in cui la violenza, la povertà e l’estrema ineguaglianza sono una miccia perennemente accesa. Quando un negoziante straniero di Durban ha sparato a quattro ladri uccidendo per errore una cliente sudafricana, la folla infuriata è scesa in strada minacciando e attaccando gli stranieri, assaltando e derubando migliaia di negozi. Dalle periferie di Umlazi e Kwa Mashu a Durban a quelle di Primrose e Benoni a Johannesburg, il furore spaventa l’intero Sudafrica. «È preoccupante — dice il presidente Zuma, che ieri a Durban ha visitato il campo di Chatsworth per gli stranieri sfollati — i problemi, se ci sono, vanno risolti diversamente».
Paolo G. Brera, la Repubblica 19/4/2015