Sergio Rizzo, Corriere della Sera 18/4/2015, 18 aprile 2015
LA TRINCEA DEL VITALIZIO: IN 78 RICORRONO AL TAR CONTRO I TAGLI NEL LAZIO
Tra gli ex consiglieri c’è chi riceve un doppio assegno
ROMA C i sono ben tre ex presidenti della Regione Lazio: Giulio Santarelli, Sebastiano Montali e Rodolfo Gigli. Tutti e tre di vitalizi ne incassano addirittura due ciascuno. Ma nella sterminata lista dei 78 ex consiglieri laziali (su un totale di 272, quasi uno su tre) che hanno deciso di fare ricorso al Tar contro la legge regionale approvata all’unanimità tre mesi fa per cui i loro assegni hanno subito qualche poco dolorosa sforbiciatina — aggiungendosi ai tanti che hanno contestato per vie legali gli stessi provvedimenti in altre Regioni, a partire da Lombardia e Trentino — ce n’è per tutti i gusti. Due di coloro che si sono rivolti al giudice amministrativo perché poi tutto finisca alla Corte costituzionale, e quindi nella revoca dei taglietti, ancora non percepiscono neppure il vitalizio. La ragione è che Erder Mazzocchi e Monica Ciccolini, entrambi del centrodestra, non hanno 50 anni: età compiuta la quale, secondo le regole modificate dalla legge ora contestata, potrebbero cominciare a riscuotere.
Da un estremo anagrafico all’altro. C’è il novantenne Renato Ambrosi De Magistris, che essendo stato consigliere (del Partito liberale di Malagodi!) per tre anni, dal 1972 al 1975, incassa il vitalizio da quarant’anni.
Ci sono poi quelli che di vitalizi ne prendono due: dalla Regione e dal Parlamento o da Strasburgo. Sono undici. Di Santarelli (Psi) Montali (Psi) e Gigli (Dc) abbiamo già detto. A loro si devono aggiungere Robinio Costi (Psdi), Bruno Lazzaro (Dc), Paolo Tuffi (Dc), Antonio Muratore (Psdi), Gerardo Gaibisso (Dc), Potito Salatto (Dc-Pdl), Alfredo Pallone (FI-Ncd) e Stefano Zappalà (FI). Ma c’è anche un dodicesimo, Mario Di Bartolomei (repubblicano), al quale di vitalizi ne spetterebbero sulla carta addirittura tre, considerando che oltre al consigliere regionale e al deputato nazionale è stato anche europarlamentare.
Fra i ricorrenti non mancano i Verdi Peppe Mariani e Laura Scalabruni, come pure l’antiproibizionista Emilio Guerra. E neppure Donato Robilotta, nella singolare situazione di percepire il vitalizio dall’età di 53 anni e uno stipendio dallo Stato italiano, di cui è dipendente. Né vanno dimenticati gli ex consiglieri che riscuotono l’assegno dopo un passaggio meteorico in consiglio. È il caso di Fabrizio Barbanelli, consigliere regionale per il Partito comunista fra il 15 maggio e il 4 ottobre del 1983. Ma anche del già citato Costi, al quale spettavano, prima del taglio imposto dalla legge, 2.986 euro netti al mese per i 153 giorni trascorsi nel consiglio del Lazio fra il primo giugno e il 31 ottobre 1990.
E qui ci si offre l’occasione di dare un’idea dei tagli imposti ai vecchi trattamenti da quella leggina approvata (non senza fatica) dall’assemblea regionale oggi presieduta dal democratico Daniele Leodori, che già era sembrata una rivoluzione con l’introduzione di un contributo di solidarietà crescente per chi gode di più vitalizi e l’innalzamento dell’età minima da 50 a 60 anni. L’assegno di Costi, al quale ha diritto per poco più di cinque mesi di mandato, è passato da 2.986 a 2.491 euro netti mensili, con un ridimensionamento di 495 euro. A questo si deve aggiungere quello del Parlamento, che secondo la lista pubblicata sull’Espresso da Primo Di Nicola ammonta a 2.016 euro netti al mese. Totale, 4.507 euro.
Ecco di che cosa stiamo parlando. I vitalizi in questione vanno da un minimo di tre fino a otto pensioni medie pagate dall’Inps nel caso di chi può sommare più trattamenti. Un altro esempio? L’ex presidente della Regione Santarelli ha un vitalizio parlamentare da 2.856 euro, più un assegno regionale di 4.144. Totale: 7 mila euro netti. Prima del taglio arrivava a 8.106 euro.
Una riduzione di circa il 13 per cento su una cifra complessiva non certo trascurabile. Ma che il ricorso predisposto dagli avvocati Ruggero Frascaroli, Fabio Lorenzoni, Stelio Mangiameli e Federico Tedeschini giudica inaccettabile. E non soltanto per la solita litania dei diritti acquisiti (anche se sono stati acquisiti dagli stessi che ne beneficiano, essendo loro gli autori delle 40 leggi regionali approvate in 38 anni con cui hanno accresciuto sempre di più i propri privilegi previdenziali e retributivi), quindi intoccabili: mentre quelli dei comuni mortali si possono toccare senza problemi. Il fatto è, argomenta il ricorso, che il taglio pregiudicherebbe i piani di vita dimensionati su quelle entrate «che possono comprendere anche programmi finanziari (p. es. mutui) assunti anche per solidarietà familiare». Programmi di vita che le migliaia di esodati rimasti nel limbo, senza lavoro né pensione, evidentemente non devono avere. E fa sorridere l’affermazione che i «risparmi sarebbero irrisori». Perché anche un euro pubblico risparmiato non si butta via. Ma c’è in ballo qualcosa di ben più importante dei semplici risparmi: la credibilità della politica.