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 2015  aprile 18 Sabato calendario

IL VIMINALE: ALZARE I LIVELLI DI RISPOSTA LE AGGRESSIONI IN MARE ATTI DI PIRATERIA

ROMA La riunione ha inizio mentre arriva la notizia del sequestro del peschereccio di Mazara del Vallo da parte di un gruppo di libici. Tanto basta per avere la percezione che la minaccia ha ormai raggiunto un livello di estremo pericolo. Dunque, per convincere gli alti funzionari di polizia che coordinano gli interventi in mare sulla necessità di chiedere di considerare «atto di pirateria» tutte le aggressioni ai mezzi navali impegnati nel Mediterraneo. Un livello di risposta più alto di quello attuale, ritenuto indispensabile dopo i colpi di fucile sparati dagli scafisti per riprendersi i barconi con i quali avevano trasportato i migranti verso l’Italia. E dopo l’episodio di ieri, con gli italiani sequestrati e trasferiti al largo di Misurata, in Libia, e gli incursori della Marina militare autorizzati a intervenire per riportarli in Italia.
Al Viminale è ormai massima emergenza: dopo gli arrivi dell’ultima settimana che hanno superato quota 11.500 con una media di 1.500 persone al giorno, ci si muove su un doppio binario. Il Dipartimento Immigrazione si occupa di provvedere all’assistenza dei profughi continuando a reperire strutture in tutte le Regioni, anche forzando alcune situazioni in quelle zone dove maggiori sono le resistenze dei pubblici amministratori. I funzionari della polizia cercano invece di creare una cornice di sicurezza per chi è impegnato nelle operazioni di controllo, che sempre più spesso si tramutano in missioni di soccorso e salvataggio. E proprio di questo hanno discusso con i rappresentanti di Frontex, della Guardia costiera, della Marina militare — tutti impegnati in «Triton» — e del ministero degli Esteri.
Il nodo da sciogliere riguarda le navi della Guardia costiera libica che, essendo mezzi governativi, godono dello status diplomatico e dunque non possono essere fermate, né sottoposte alla procedura di identificazione del personale che si trova a bordo.
In realtà queste motovedette sono nella maggior parte dei casi nelle mani degli scafisti che sono riusciti a prenderle dopo la caduta del regime, ma le hanno lasciate intatte proprio per far credere di essere esponenti delle autorità. E le utilizzano per effettuare «controlli» in mare dopo le partenze dalle spiagge dei barconi con a bordo centinaia di migranti. Oppure, come è appunto accaduto già due volte, per andare a riprendere i battelli rimasti vuoti dopo il trasferimento dei profughi sulle navi che hanno effettuato il salvataggio.
Secondo la normativa attuale l’Italia si deve limitare a chiedere le generalità degli occupanti e comunicarle alle autorità libiche per procedere alla contestazione di eventuali reati. Si tratta però di una procedura totalmente inefficace perché, come fanno notare al Viminale, in Libia non ci sono interlocutori quindi sarebbe impossibile avviare le pratiche per perseguire gli illeciti compiuti in mare, per di più in acque internazionali. Non solo. I funzionari di polizia sottolineano come non sia credibile che gli ufficiali della Guardia costiera si mettano a sparare per riprendersi i barconi, dunque episodi simili «vanno ritenuti atti ostili e come tali si devono trattare».
La strada è tracciata, una decisione definitiva potrebbe essere presa già la prossima settimana nel corso di una riunione con i rappresentanti della Procura nazionale antimafia che dovranno pronunciarsi sulla possibilità della contestazione di questo reato. La misura è ritenuta indispensabile soprattutto dal punto di vista della prevenzione e nella convinzione che gli episodi di aggressione potrebbero diventare sempre più frequenti.
Le ultime informazioni provenienti dal Nord Africa confermano la presenza di decine di migliaia di persone ammassate nei campi profughi e sulle spiagge in attesa di partire, con i trafficanti che si affannano a recuperare mezzi di qualsiasi tipo, anche piccoli e inadatti alla traversata, per imbarcarli e farli arrivare in Italia.