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 2015  aprile 18 Sabato calendario

ROVERSI E SCIASCIA, LA STRANA COPPIA UN CARTEGGIO TRA VITA E LETTERATURA

Hanno quasi la stessa età, ventinove anni Roversi, trentuno Sciascia. La prima lettera di Sciascia a Roversi è del 10 febbraio 1953, parte per Bologna da Recalmuto, piccolo paese nel cuore delle zolfare, dove lui fa il maestro. L’ultima lettera del 20 novembre 1972, la scrive il poeta-libraio antiquario. L’uscita de Il Contesto ha provocato molti malumori. Roversi è tra i pochi a prendere le difese di Sciascia. «Gli umori hanno sostituito i giudizi; e una sorta di genericume argomentativo ha sostituito il piacere e l’impegno delle analisi di fondo; stabilendo il trionfo ipotetico del pregiudizio». In mezzo ci sono le lettere scambiate per quasi vent’anni, confrontandosi su libri, romanzi e poesie, nel giuoco incrociato delle rispettive riviste. È il carteggio tra lo scrittore e il poeta che Antonio Motta ha amorevolmente ordinato e arricchito con un accurato apparato di note. “La Noce” è la contrada dove Sciascia in frequenti ritiri scrive quasi tutti i romanzi. Da questa lontana provincia cura la rivista “Galleria” di cui parla a Roversi invitandolo alla collaborazione. Da Racalmuto muove i fili, intreccia relazioni, dialoga con gli autori, corregge le bozze, scrive le recensioni in un lavoro lento e capillare. Dall’altra parte, c’è la mitica “Palmaverde”. Roversi non lo si può che immaginare lì, dentro la libreria nel cuore di Bologna, una “tana” in cui incarta anche i suoi libri che ad un certo punto diventano come samizdat, spediti a chi li richiede per il suo provocatorio rifiuto della grossa editoria.
Sono lettere dense e asciutte, mescolano confidenze personali e famigliari, libri, suggerimenti di letture con giudizi di due interlocutori che si riconoscono a vicenda un certo calvinismo dell’intelligenza, letteraria e politica, in una condivisione d’idee e di vita. Sciascia che scopre Tobino Roversi che scopre Bartolini si "raccontano" e spesso si confessano, per entrambi l’esigenza di una letteratura utile convive con il gusto della bella pagina. C’e l’amore dell’uno per le edizioni ben rilegate di autori amati spagnoli o siciliani, per acqueforti litografie rilegature e incisioni. C’è la crescente diffidenza sempre più «stilità silenziosa ma rigorosa» dell’altro verso l’editoria "ufficiale" per cui il libro è merce da bancone di supermercato.
RIVISTE Roversi non è solo l’autore dei testi di alcune delle più belle canzoni di Dalla; è soprattutto, negli anni del carteggio, l’anima di riviste , “Officina” e “Rendiconti”, con il meglio della cultura italiana, da Pasolini a Gadda, a Vittorini. Lo scrittore siciliano affascina l’interlocutore con la malinconia dell’intellettuale meridionale che vive appartato e fa di sobrietà e modestia le sue qualità intellettuali. E che gli scrive: «Bologna resta la meta più desiderata. Ti dirò che mi basta l’odore di un vecchio libro per mettere proustiano movimento alle ore trascorse in città».
Scrive Roversi il 17 novembre del 1960: «Carissimo, si ripete ogni anno puntualmente il miracolo “della cassetta”; che è già arrivata piena e ridente...". È un’amicizia di gesti anche semplici, la «frutta martorana» che arriva da Racalmuto, il cotechino o il panspeziale spedito da Bologna. Ed è una incantevole festa per entrambi ai regali culinari «doni commestibili descritti come fossero meraviglie di natura o nature morte da accogliere con partecipata ritualità» (ha ben scritto Salvatore Nigro) in un’Italia ancora «umile e lenta dove rapporti e oggetti prendono un risalto oggi impensabile».