Andrea Bassi, Il Messaggero 18/4/2015, 18 aprile 2015
«NON FU CORRUZIONE» SMONTATA L’INCHIESTA SUI GIUDICI TRIBUTARI
ROMA I giudici tributari di Napoli non erano corrotti. Cade definitivamente, dopo oltre tre anni dal blitz che aveva portato a oltre cinquanta arresti tra i quali ben 16 magistrati delle Commissioni tributarie, la tesi dell’esistenza nel capoluogo campano di un «mercato delle sentenze» che secondo le accuse avrebbe favorito soprattutto il gruppo siderurgico partenopeo Ragosta in causa con il Fisco per un contenzioso che all’epoca valeva 146 milioni di euro. Il giudice per le indagini preliminari di Roma, Maddalena Cipriani, ha firmato il decreto di archiviazione per quasi tutti gli indagati coinvolti nella maxi inchiesta. È stato lo stesso pubblico ministero Giuseppe Deodato, a chiedere di non procedere salvo che per due singoli casi di «scambio di favori», uno a carico del giudice tributario Corrado Rossi e della commercialista (nel frattempo deceduta) Anna Maria D’Ambrosio, ed un altro a carico del giudice tributario Umberto Vignati per fatti che, tuttavia, non riguardano il filone principale dei favori al gruppo siderurgico accusato nell’ambito della stessa indagine condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli anche di aver riciclato soldi del clan camorristico Fabbrocino. Il pubblico ministero nella sua richiesta di archiviazione fa esplicito riferimento alle conclusioni, tutte convergenti, delle pronunce nel frattempo arrivate da diversi collegi giudicanti del Tribunale del riesame. Nel documento si parla di «intrinseca fragilità di una costruzione dell’accusa di corruzione in atti giudiziari che allude, in modo inaccettabilmente generico a non meglio precisati scambi di favoritismi, senza fornire più precisi elementi che circostanzino il cosa, il come e il quando». Molte condotte censurate dai magistrati napoletani sono state poi giudicate non penalmente rilevanti da quelli romani. Per altre, invece, le prove raccolte non avrebbero potuto reggere, sempre secondo questi ultimi, la prova in giudizio.
LE REAZIONI«Questa vicenda», commenta Mario Papa, avvocato del gruppo Ragosta, «ha portato nel 2012 alla decimazione delle Commissioni tributarie provinciale e Regionale di Napoli, decapitando e screditando un organo giudiziario che svolge funzioni delicatissime. Oggi», aggiunge, «i magistrati romani dicono che non c’erano reati; ma le ferite di quel terremoto giudiziario non possono essere cancellate». Ma Papa fa un’altra osservazione. «Questo caso a mio avviso», dice, «ha manifestato un grave problema del quale dovrebbe occuparsi il ministero dell’Economia. In questa vicenda la Guardia di finanza ha prima agito come polizia tributaria, effettuando verifiche tributarie sul gruppo Ragosta trasfuse in accertamenti dell’Agenzia delle Entrate. Poi», prosegue, «si è tolta la giacca di polizia tributaria per indossare quella di polizia giudiziaria e, in tale veste, ha ottenuto l’autorizzazione ad intercettare i giudici che dovevano pronunciarsi sull’attività di verifica compiuta dai medesimi finanzieri. E, quando ha avuto la percezione che i giudici avrebbero potuto orientarsi favorevolmente al contribuente, è intervenuta con perquisizioni che hanno determinato lo spostamento della decisione ad altri giudici i quali hanno rigettato il ricorso del contribuente». Il tema generale, insomma, sarebbe quello del conflitto d’interesse quando il controllore si trova anche nella condizione di essere il controllato. Resta il dato che l’inchiesta sui giudici tributari di Napoli ha inferto un duro colpo alla credibilità di quell’organismo che non sarà facile restituire.