Paolo Siepi, ItaliaOggi 18/4/2015, 18 aprile 2015
PERISCOPIO
Bello spavento per Draghi aggredito da una donna a colpi di coriandoli. Si vede che non è mai stato ad Arcore. Spinoza. il Fatto.
Ignazio Marino: «Milano fu fondata da noi romani». Se lo dice un genovese di madre svizzera e di padre siciliano... Il rompi-spread, MF.
Il problema della sicurezza nel tribunali è un problema grosso come una casa perché negli uffici giudiziari ci si va per litigare e non a caso il codice prevede la presenza della forza pubblica in udienza. Marcello Maddalena, pg di Torino. Ansa.
Giorgia Meloni, di Fd’I, farà la pace con Silvio Berlusconi? «Ma se è lui che mi provoca...». Come i maccheroni di Alberto Sordi. Allora che fa la Meloni? Se lo magna! Franco Bechis. Libero.it.
Pippo Civati con il suo scissionismo culturale (Civati ha talento, come Salvini, ma a forza di costruire la propria base di consenso sul nannimorettismo, inteso come «mi si nota di più se mi scindo o non mi scindo», rischia di fare la fine di Giuseppe Fioroni). Claudio Cerasa. Il Foglio.
Ho detto a Marco Pannella in questi giorni: «Ah Marco, se potesse, il tumore scapperebbe da te». Lui si è messo a ridere. Sostiene che i medici gli hanno consigliato di non smettere di fumare. Pazzesco. Francesco Rutelli, ex sindaco di Roma. Il Fatto.
I leader adorano i maxischermi. È del tutto plausibile che appaghino il loro narcisismo. È in quella dimensione che si sentono promossi al rango, sia pure virtuale, di giganti e titani; in quella iperestensione del loro ego vedono realizzata l’inesauribile sindrome di accrescimento insita nel potere. Al vertice di Kananakis, sulle montagne rocciose canadesi, Berlusconi apprende con disappunto che le immagini del summit verranno proiettate in sala stampa su semplici televisori: «Così piccoli?», si stupisce il Cavaliere: «Non c’è neppure un maxischermo?». Filippo Ceccarelli, Il teatrone della politica. Longanesi, 2003.
L’idea che il denaro sia «lo sterco del diavolo» è di sicuro antistorica e ormai ridicola, ma è inquietante come i soldi siano diventati in pochi decenni la misura di ogni cosa, l’unico valore universale riconosciuto. Si parla molto di finanziarizzazione dell’economia, ma forse si dovrebbe parlare di finanziarizzazione della vita quotidiana. È diventato banale dire che viviamo in un mondo di consumatori, dove il valore che ha segnato la formazione di tante generazioni, il lavoro, è del tutto svalutato. Curzio Maltese. il venerdì.
Anche i bambini con il loro sguardo ingenuo e innocente, e proprio dall’esame delle intercettazioni, dei capi d’accusa, delle fattispecie di reato, del contesto fattuale e ambientale della cosiddetta «mafia romana» allocata presso una pompa di benzina in mezzo ai cravattari o usurai, sarebbero in grado di capire che qualcosa non funziona nell’accusa. Giuliano Ferrara. il Foglio.
Giuseppe Tamburrano, politologo socialista, ricordava, di Craxi, i tempi dell’ascesa e del trionfo, il congresso dell’acclamazione, la piramide quasi divina dell’architetto Panseca, l’esibizione del potere, la calca dei cortigiani, la ressa dei postulanti, il «partito nuovo» degli emergenti e del made in Italy, le Thema e le Mercedes, i Cartier d’oro e le cene al Savini. Ciò che restava dell’antico socialismo dei valori e della testimonianze fu bruscamente emarginato. Riconosceva anche i meriti del primo politico italiano di spicco che aveva capito le tendenze delle democrazie occidentali, nelle quali il confronto non è tra partiti ma tra leader. Antonio Padellaro. Il Fatto.
C’era una volta un bravo giornalista e c’è ancora, ma non scrive più: adesso parla. Chi glielo abbia fatto fare, non si sa. In questi casi si pensa sempre ai soldi. Il soggetto in questione è Massimo Giannini, una brillante carriera a Repubblica che improvvisamente e improvvidamente egli ha lasciato, quando occupava la poltrona di vicedirettore, per trasferirsi alla Rai e condurre Ballarò, programma della terza rete portato al successo da Giovanni Floris. Il quale Floris, a sua volta per quattrini, ha mollato il certo per l’incerto, essendo emigrato a La7, chiamatovi da Urbano Cairo, l’unico editore italiano più attento ai bilanci che ai prodotti. Vittorio Feltri. Il Giornale.
Ho l’impressione che siamo alla fine di qualcosa. Non voglio giocare a fare il profeta. C’è, però, una mutazione in corso. E Houellebecq ne ha una visione molto acuta e originale. È vero: il modo in cui la civiltà greco-romana è arrivata alla fine è evocativo, ci ricorda qualcosa. Davanti a fenomeni storici, religiosi che disorientano, difficili da classificare, che non ci ispirano simpatia, abbiamo sempre interesse a ricordarci che cos’era il cristianesimo, diventato poi la base di una grande civiltà: per il mondo greco-romano era qualcosa di alieno, considerato con disgusto, diffidenza, ripugnanza, qualcosa di pericoloso, ostile. Una sorta di quinta colonna infiltrata: faceva paura. Emmanuel Carrère, autore de Il Regno. Adelphi (Alessandra Coppola). Corsera.
Puoi votare, astenerti, espatriare. Ma la condanna è a vita. Non potrai mai scegliere il destinatario del seggio per il quale stai inserendo la scheda nell’apposita feritoia. Massimo Bucchi, scrittore satirico. il venerdì.
Makoto Watanabe, docente di Comunicazione alla Hokkaido Bunkyo University, ha detto al Telegraph: «Vedo troppi studenti pigri nelle aule, tutto quello che fanno è sedersi in fondo, giocare, scambiarsi messaggi o navigare in rete». Il fatto è che in Giappone il cellulare è una dipendenza (in lingua anglofona sarebbe addicted, dal latino addictus, ovvero schiavo per un debito contratto con un padrone). Lo smartphone è il padrone: indispensabile, una protesi sulle mani di quasi tutti i giapponesi, soprattutto i giovani. Giulia Pompili. Il Foglio.
Mi sono sempre sentito molto siciliano, e ancora adesso vado in Sicilia tutte le volte che posso. Quando ero piccolissimo, il siciliano era la lingua che si parlava in casa, o meglio era quella che mio padre e mia madre parlavano, quando non volevano farsi capire da me. Io sono cresciuto sui tetti di asfalto delle case popolari, bambini di ogni parte d’ Europa. Le lingue più diverse, alla fine veniva fuori una sinfonia, da quei tetti, come ha scritto Eugene O’Neill. Era come i canti nelle stive delle navi. A quei tempi, si faceva un gran parlare del melting pot, cioè l’America era il posto in cui si mescolavano tutte le razze, e un giorno a scuola hanno organizzato una scenetta per cui una coppia di bambini andava a girare il mestolo da una grossa pentola. E quando chiamano me, avrò avuto otto anni, di fronte c’era una bambina italiana. E la maestra diceva: Italy, era la prima volta che lo sentivo, io pensavo di essere solo siciliano. Guardavo questa bambina e mi dicevo: è così che sono fatti gli italiani? Al Pacino (Enrico Deaglio). il venerdì.
Mai frequentare le persone che ripetono troppi io, io, io. E il noi, allora? Alberto Arbasino, Ritratti italiani. Adelphi.
Ogni uomo civile d’Europa ha due patrie: quella dove è nato e l’Italia. Adam Mickiewicz, poeta polacco. Corsera.
Credo solo a chi sa mentirmi. Roberto Gervaso. Il Messaggero.
Paolo Siepi, ItaliaOggi 18/4/2015