Paolo Savona, MilanoFinanza 18/4/2015, 18 aprile 2015
SARÀ IL NUOVO DOLLARO?
La Bank of China ha intrapreso un’azione a tappeto per convincere il mondo che lo yuan sarà lo strumento di misura internazionale di prezzi e pagamenti del futuro, con qualche possibilità che si affermi anche come serbatoio di valori, ossia come bene rifugio e riserva ufficiale. A tal fine sta rimuovendo il maggiore ostacolo a questo sviluppo, quello della piena convertibilità dello yuan.
Giovedì 16 il capo-economista di Bank of China, Cao Yuanzheng, accompagnato da uno stuolo di funzionari, ha tenuto a Roma un’affollatissima conferenza sotto gli auspici della Fondazione Italia Cina, di Class Editori e dell’Ice, rappresentati all’incontro dai presidenti Cesare Romiti, Paolo Panerai e Riccardo Monti. Nel suo intervento ha prodotto una copiosa evidenza sull’uso crescente dello yuan negli scambi internazionali da cui si evince che le previsioni in materia si sono realizzate in misura dieci volte superiore. Oggi lo yuan è la quinta valuta usata negli scambi mondiali e la prima in quelli asiatici, con prospettive di ulteriore crescita avendo la Cina raggiunto il terzo posto nel commercio mondiale. Cao si è inoltre soffermato sui progressi registrati in direzione della piena convertibilità cross-border della moneta con i 10 Paesi dell’Asean, Hong Kong e Macao, spiegando che il processo è stato accelerato seguendo i metodi di queste ultime aree, dove gli yuan vengono sistemati attraverso compensazioni di crediti e debiti denominati nella moneta cinese. Un’analoga clearing bank per gli yuan già opera in altri 12 Paesi. Quella della compensazione debiti-crediti è una forma di convertibilità ben nota nella storia monetaria europea e americana ed è divenuta la norma da quando, nel 1971, gli Stati Uniti hanno posto fine alla convertibilità del dollaro in oro. Oggi il concetto di convertibilità è puramente contabile e, una volta scelto di usare il metodo Hong Kong-Macao, il problema si riduce alla liberalizzazione degli scambi monetari e finanziari; attuare tale riforma è un compito su cui la Cina procede con cautela, perché la esporrebbe alle reazioni del mercato, anche di natura politica, che potrebbero divenire incontrollabili o quantomeno essere condizionanti per le loro scelte, come sanno i Paesi che l’hanno già sperimentato o lo stanno sperimentando (leggasi Grecia). Cao ha anche spiegato come funziona l’area di libero scambio di Shanghai, rivelandone le limitazioni rispetto a quella istituita dai sei Paesi Asean (cui se ne assoceranno altri quattro) divenendo la terza area del mondo come dimensione di affari. Ha parlato inoltre della Chiang Mai Initiative, della Silk Road Economic Zone e della 21° Century Maritime Silk Road, per la cui realizzazione sono state create l’Asian Infrastructure Investment Bank e il Silk Road Fund, tutti strumenti che aumenteranno l’indice di penetrazione internazionale della loro moneta e, con essa, degli interessi cinesi. Questi sono i tratti più salienti della relazione presentata dal capo-economista della Bank of China.
Avendo avuto il compito di illustrare gli effetti della politica monetaria cinese sul resto del mondo, ho avanzato la tesi che, se la Cina si prefigge di affermare lo yuan come moneta internazionale senza collocarla in una visione di quale dovrebbe essere il punto di arrivo di un nuovo sistema monetario internazionale, potrebbe aumentare l’instabilità e le incertezze del mercato globale, con effetti boomerang sulla stessa Cina. Occorre far cessare la divaricazione esistente tra le ragioni di scambio (terms of trade) e le parità monetarie generate dalle diversità nei regimi di cambio liberamente scelti – mentre dovrebbero essere gli stessi per chi partecipa al commercio mondiale – e dalle gestioni incontrollate delle riserve ufficiali (si pensi agli effetti sul cambio dell’euro delle conversioni di dollari precedenti la crisi del 2008), perché generano squilibri nelle bilance dei pagamenti di parte corrente e non consentono uno svolgimento ottimale delle domande interne, problema di cui patisce l’eurosistema. Mantenendo il sistema monetario attuale, la competizione internazionale si svolgerà con caratteristiche scorrette (unfair competition) e comporterà una riduzione del welfare globale potenziale. Se la Cina non userà il suo potere geopolitico per migliorare il funzionamento della moneta internazionale e degli scambi globali e si orienterà a sfruttare solo il suo potere economico senza preoccuparsi di ciò che accade nel resto del mondo, ripeterà gli errori commessi dagli americani a Bretton Woods, quando hanno rifiutato la nascita di una moneta sovranazionale (il Bancor di Keynes), e a Rio de Janeiro, quando con i tedeschi hanno posto tali vincoli al funzionamento degli Sdr (i diritti speciali di prelievo del Fmi) che questa potenziale moneta globale non potrà mai funzionare. A questo proposito ho chiesto al relatore come mai nella presentazione non avesse fatto riferimento agli Sdr, che subito dopo lo scoppio della crisi americana erano stati indicati da Zhou Xiaochuan, governatore della People’s Bank of China, come l’obiettivo naturale verso cui il sistema monetario internazionale doveva tendere. Cao ha subito risposto che la Cina condivide ancora l’obiettivo della moneta internazionale e l’internazionalizzazione dello yuan è considerata una via per muovere in tale direzione. Egli ha confermato che la cultura economica cinese ha maturato la coscienza dei vantaggi del «metodo Bretton Woods» (che pratica cambi fissi ma aggiustabili, convertibilità della moneta nazionale, controlli dei flussi monetari) che l’area occidentale ha invece rifiutato accettando cambi flessibili, libera conversione delle monete nazionali in dollari e liberalizzazione dei movimenti monetari. Il relatore ha sottolineato (con una qualche sorpresa da parte di chi conosce la materia e abbattendo un mito) che lo sviluppo dello yuan come moneta di riserva internazionale è ostacolato dal surplus persistente nella loro bilancia estera corrente, che impedisce la sua creazione in quantità sufficiente a soddisfare la domanda delle autorità ufficiali e di operatori di mercato di altri Paesi. Questa situazione è simile a quella che ha prevalso nel periodo postbellico (dollar shortage), quando la bilancia estera americana non creava dollari a sufficienza per alimentare gli scambi internazionali e consentire la formazione di riserve.
Se la Cina non collaborerà a migliorare il funzionamento del sistema monetario internazionale spingendo verso la creazione di una moneta internazionale sganciata da quelle nazionali, l’affermazione dello yuan come moneta internazionale si porrà in termini conflittuali con il dollaro e l’euro, facendo addensare sul mondo l’ombra di un conflitto monetario-valutario. È un compito arduo, che richiede il mutamento della strategia internazionale della politica monetaria europea e che la Cina metta sul piatto delle trattative il suo peso geopolitico ed economico.
Paolo Savona, MilanoFinanza 18/4/2015