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 2015  aprile 19 Domenica calendario

EUGENIO OCCORSIO

ROMA .
«L’aspetto sconcertante è che il governo greco non è riuscito ancora a produrre una lista di riforme e impegni credibile». Lorenzo Bini Smaghi, oggi presidente della Societé Generale, ha vissuto da membro del board della Bce l’esplosione della crisi dell’euro: «Prendemmo decisioni drammatiche come l’acquisto di titoli greci nel 2010 e italiani nel 2011 con dibattiti durissimi. Oggi è tutto ancora più difficile».
C’è un crescendo di rigidità perché Atene non invia documenti convincenti?
«Una conclusione infausta del negoziato diventa di ora in ora più probabile. Il Brussels Group sta cercando ancora una volta di trovare un filo logico nelle proposte di Atene. Arrivano foglietti sparsi e su questi si devono prendere decisioni che impegnano i governi per decine di miliardi. Sorprende che Atene non riesca ad impostare un documento razionale, completo, direi europeo. É richiesto in qualsiasi negoziato. Misure precise, compatibilità finanziarie, riforme concrete e loro impatto in termini di flussi di cassa e di bilancio. Schemi, grafici, tabelle. Niente di tutto questo, o quasi».
La Bce poteva fare qualcosa di diverso?
«Sta facendo il massimo. Ha ampliato l’emergency liquidity assistance per cui le banche sono rifinanziate dalla banca nazionale, ma non può più accettare titoli greci in cambio di finanziamenti perché non hanno un rating sufficiente e i tassi sono al 27%. Non può fare diversamente ora che c’è il quantitative easing da cui Atene è esclusa».
Lei è d’accordo con il presidente del Parlamento europeo, Schulz, che dice che come forma diplomatica gli esponenti di Syriza lasciano a desiderare?
«Qui forma e sostanza coincidono. Diciamocelo chiaramente: il team econopiù mico di Syriza dimostra una professionalità molto carente. Varoufakis sarà un economista brillante e flamboyant, però evidentemente ha un’incapacità di trasferire in proposte concrete i suoi proclami e le sue teorie. L’aspetto paradossale è che la Grecia di passi avanti ne aveva fatti. Sul costo del lavoro sono riusciti a tornare a livelli europei, ora per- ché perdersi all’ultimo? Tsipras ha promesso il rialzo dei salari pubblici e privati, il riabbassamento dell’età pensionabile, il ripristino della tredicesima. Misure comprensibili in termini umanitari che però cozzano con la realtà dei conti e riaprirebbero il gap con l’Europa perché nel frattempo la Grecia non è riuscita a introdurre misure anti-evasione, tasse per i ricchi, vere privatizzazioni. La conseguenza è che la Grecia gioca in Europa 18 contro 1. Anche i governi che guardavano con favore a Syriza si sono allontanati. Tsipras dovrebbe dire ai suoi cittadini di non essere in grado di realizzare molte promesse, almeno non subito. Il surplus di bilancio che avrebbe finanziato un minimo di sviluppo si è vanificato, e le entrate fiscali sono crollate: di qui la disperata necessità di Atene di ottenere nuovi fondi, il punto su cui rischia di infrangersi il negoziato».
Nelle banche si dipingono scenari da dopo-default: qual è il pericolo di contagio?
«Non va sottovalutato. Conseguenze dirette sul sistema bancario non ci sarebbero perché nessuno ha ormai più posizioni aperte con Atene. Ma si aprirebbe una breccia gravissima nella moneta unica. É difficile escludere una ripresa delle tensioni, o comunque un arresto della riduzione dei tassi per i paesi più deboli, Italia in testa. Lo spread si è di nuovo allargato e rischia di aumentare ancora. La Grexit poi significherebbe un aumento del debito italiano in via definitiva di circa 40 miliardi».
Varoufakis insiste che i soldi sono andati solo alle banche. Ha torto?
«É vero che una parte degli aiuti ottenuti dalla Grecia è stata destinata a ricapitalizzare le banche, ma altrimenti il sistema finanziario del Paese sarebbe crollato e non ci sarebbe più stato credito per famiglie e imprese».
E le voci che la Bce potrebbe incrementare il Qe in funzione anti-contagio?
«Il Qe è calibrato in funzione dei rischi di deflazione, non per risolvere i problemi connessi alla Grecia. Dubito che possa aumentare. Per evitare il contagio serve un’iniziativa politica che rafforzi i legami tra i 18 rimanenti, sarebbe nell’interesse della parte più fragile del sistema. Ma non si è sentito ancora nulla».