varie 18/4/2015, 18 aprile 2015
ARTICOLI SULLA MORTE DI RENATO ALTISSIMO DAI GIORNALI DEL 18 APRILE 2015
MATTIA FELTRI, LA STAMPA -
«Io non ho bisogno di soldi», disse Renato Altissimo nella sua battuta più felice. «Io sto bene, sono orfano di padre ricco». Era diventato, come altri o più, per la modestia dei consensi del partito di cui era segretario, quello liberale, la rappresentazione del disfacimento della Prima repubblica. Era un cespuglio, secondo la definizione del tempo, quel 1992 nel quale Tangentopoli travolse tutto e che oggi è materia di fiction. Aveva preso da Carlo Sama duecento milioni di lire – finanziamento illecito – nella maxitangente Enimont. Poi, quando aprì la valigetta, di milioni ce n’erano soltanto 150. «Qualcuno s’era fatto la cresta», disse, ma non al processo, per evitare guai all’eventuale farabutto. Erano i tempi che si sanno e venti anni dopo non erano più salubri: scrisse un libro intervista con Gaetano Pedullà – “L’inganno di Tangentopoli” – per spiegare che le cose non andavano meglio e per un motivo chiaro a molti: l’inchiesta del secolo era proliferata su ipocrisie e silenzi che avevano impedito alla politica di ragionare su una soluzione, di conseguenza affidata alla sola azione della magistratura. Nefasto indietreggiamento.
Nato nell’ottobre 1940 a Portogruaro, Venezia, Altissimo era di famiglia arricchita nell’indotto Fiat: produceva fanali e accendini e negli anni Settanta ricevette proposta di espandersi nella Jugoslavia di Tito. In cambio c’era da versare un tre per cento su un conto svizzero destinato al Pci. Anche questo raccontò Altissimo nel suo libro. Non c’era autoindulgenza. Era stato ministro per sette anni di fila, dal 1979 al 1986 sotto quattro governi, di Francesco Cossiga, di Giovanni Spadolini, di Amintore Fanfani e di Bettino Craxi. Era stato segretario del Pli dal 1986 al 1993, e sapeva di essere stato protagonista di un periodo declinante eppure capace di scatti d’orgoglio. Craxi, scrisse, «non avrebbe permesso l’assalto alla diligenza», assalto che nella sua visione avrebbe prodotto, nell’arco della Seconda repubblica, il debito di cui oggi si pagano le conseguenze. Ebbe parole severe per Romano Prodi sulla vendita della Sme a Carlo De Benedetti per una cifra di sette volte inferiore a quella offerta da un gruppo americano. Fu Prodi medesimo a spiegargli il perché in una telefonata beffarda: «De Benedetti ha un taglietto sul pisello che gli americani non hanno». Seguì baruffa, come normale.
Negli ultimi tempi, Altissimo viveva fra Nizza e Londra. Gli piaceva giochicchiare su twitter. Pochi anni fa si lasciò ritentare dalla grande passione della vita: fondò I Liberali con Alfredo Biondi, Carlo Scognamiglio e Giuliano Urbani nell’indifferenza planetaria. E’ morto ieri sera al Gemelli di Roma dopo lunga malattia, come si dice in questi casi. Si sentiva liberale e libero, tangenti o non tangenti.
****
ANDREA GARIBALDI, CORRIERE DELLA SERA -
Per un destino amaro, il ricordo che molti hanno di Renato Altissimo è legato a una certa vita romana connessa con la politica, negli anni subito prima di Tangentopoli. L’abbronzatura pure nei mesi freddi, la frequentazione di quel night club, piano-bar, «Il Tartarughino», via della Scrofa, due passi da piazza Navona, niente di trasgressivo, divanetti azzurri, spazi ristretti, champagne fino a molto oltre mezzanotte. Renato Altissimo e Gianni De Michelis, i due esempi della politica che — finito di governare e tessere — allunga le notti perché Roma lo permette, a chi lo voglia: «Quante me ne hanno dette per due bicchieri di whisky...».
Altissimo se n’è andato ieri sera, a 74 anni, in un letto del Policlinico Gemelli — lui liberale, nell’ospedale preferito dai Papi — dopo aver sofferto a lungo, insufficienza respiratoria. Il primo a ricordarlo è stato Fabrizio Cicchitto (Psi, poi Forza Italia), che non frequentava il night, ma fu giovane nella stessa stagione: «Uomo intelligente e colto», ha dettato alle agenzie.
Altissimo era nato a Portogruaro nell’ottobre del 1940. La famiglia aveva una fabbrica di fanali ed accendini, parte dell’indotto Fiat, cosicché lui, mente brillante, alto, prestante, veloce e accattivante, diventò presidente dei giovani industriali, poi vicepresidente di Confindustria. Si avvicinò anche alla politica, nel piccolo Partito liberale che era stato di Croce ed Einaudi e arrivò alla segreteria nel 1986, dopo Malagodi e Zanone e Biondi. Il Pli era già colonnina del pentapartito, con Dc-Psi-Psdi-Pri. Le cronache ricordano il suo successo elettorale nel 1992, quando i liberali arrivarono al 2,86 per cento.
Ma prima, nel 1979, era stato ministro della Sanità con Cossiga, suo commensale, fra i preferiti. «Cossiga — disse una volta Altissimo — a tavola riesce a non parlare di politica, anche perché in genere ci vediamo assieme a delle signore, che forse preferiscono argomenti un po’ più allegri». Con la Sanità continuò con i governi Spadolini e Fanfani. Poi passò all’Industria, con il primo governo Craxi (1983), dove De Michelis era ministro del Lavoro.
Millenovecentonovantadue significa Tangentopoli e anche Altissimo ci finì in mezzo. Duecento milioni della tangente Enimont. «Li ho usati per la campagna elettorale», disse. Alla fine, incassò una condanna a 8 mesi, finanziamento illecito.
Nel 1994 al «Tartarughino» si affacciarono i berlusconiani dei primordi, lo psichiatra Meluzzi e l’avvocato Dotti, il leghista Castelli. Ritornò anche lui, ma il proprietario, Pierpaolo Ferraresi, pregò i giornalisti: «Non dite che c’è Altissimo. Renato può venire quando vuole, ma qui deve diventare la meta notturna del nuovo».
L’anno scorso sognò il ritorno alla politica, alle Europee, formazione «i Liberali». Obiettivi: rilancio dell’economia, attraverso la riduzione del peso dello Stato con le privatizzazioni, e taglio ai costi della politica.
Andrea Garibaldi
*****
SILVIO BUZZANCA, LA REPUBBLICA –
Si è spento ieri a Roma Renato Altissimo, segretario del Partito liberale italiano dal maggio del 1986, congresso di Genova, al maggio del 1993. Era nato il 4 ottobre del 1940 a Portogruaro, ma la sua famiglia possedeva una fabbrica a Moncalieri di componenti per auto, imprenditori di spicco dell’imprenditoria piemontese.
Altissimo ha ricoperto più volte l’incarico di ministro: ha retto il dicastero della Sanità dall’agosto 1979 all’aprile 1980 e dal giugno 1981 all’agosto 1983 nei governi Cossiga e Spadolini. Nel governo Craxi è stato ministro dell’Industria dall’agosto 1983 all’agosto 1986. Laureato in Scienze politiche, ha continuato a gestire l’azienda familiare e ha ricoperto anche l’incarico di vicepresidente di Confindustria e di presidente dei Giovani imprenditori. Negli ultimi anni viveva fra la Francia e il Regno Unito e si occupava di telecomunicazioni.
Ha guidato il Pli in anni cruciali della vita politica italiana vissuti da protagonista come uno dei segretari del pentapartito, che rappresentava la maggioranza di governo scossa dalla competizione fra Craxi e De Mita. Anni chiusi da un avviso di garanzia notificatogli il 15 marzo del 1993 in piena tempesta di Tangentopoli: era accusato di finanziamento illecito ai partiti: il 4 dicembre del 1993 ammise di avere ricevuto 200 milioni di lire in modo illecito e lasciò la segreteria del partito.
Nel 2004 tentò di rientrare nel mondo politico sempre con il Pli federato a Forza italia. Si candidò anche alle elezione politiche del 2006, ma non fu eletto. L’anno scorso, insieme ad Alfredo Biondi, anche lui ex ministro ed ex segretario del Pli, e Carlo Scognamiglio, ex presidente del Senato, aveva fondato il movimento “I Liberali”.
Altissimo era ricoverato al Gemelli da diverse settimane per numerosi problemi cardiaci e respiratori che si sono aggravati progressivamente, tanto da far decidere ai sanitari, negli ultimi giorni, il suo trasferimento al centro di rianimazione a causa di una progressiva insufficienza multi-organo che lo ha portato alla morte.
«Esprimo il più vivo cordoglio per la scomparsa di Renato Altissimo, personalità politicamente significativa, un uomo intelligente e colto», ha subito scritto Fabrizio Cicchitto, socialista, oggi esponente del Nuovo centrodestra. «Mi unisco al dolore dei familiari e degli amici di Renato Altissimo. Un uomo perbene e un politico di limpida cultura liberale», ha scritto il deputato di Forza Italia Daniele Capezzone. E Gianfranco Rotondi: «In un’Italia che usurpa da tempo del pensiero e del metodo liberale, Renato Altissimo esce di scena con la discrezione del galantuomo e il distacco del politico vero».
*****
MATTEO BASILE, IL GIORNALE -
L’ultimo messaggio lo ha affidato a Twitter lo scorso 22 febbraio: «Sono abbastanza curioso di vedere 1992. Vediamo se per la prima volta ci sarà una ricostruzione obiettiva di Tangentopoli». Difficilmente Renato Altissimo sarà rimasto soddisfatto perché la serie tv di fedele alla storia ha ben poco. L’ex storico segretario del partito liberale è scomparso ieri a al Policlinico Gemelli di Roma prima di assistere alla fine della fiction su una delle pagine più controverse della storia d’Italia. Una pagina che lo ha visto protagonista. Come protagonista Altissimo è stato, tra luci e ombre, della vita politica del nostro Paese degli ultimi 30 anni.
Altissimo è stato esponente di spicco del Partito liberale italiano, del quale è stato segretario dal 1986 fino alle dimissioni del maggio 1993, travolto da Tangentopoli, e dopo essere stato più volte ministro. Alla Sanità, nel primo governo guidato da Cossiga e nei Governi Spadolini e Fanfani, poi ministro dell’Industria con Craxi tra il 1983 e il 1986. Una carriera sempre in prima fila, fino allo scandalo tangenti. Il 15 marzo 1993 riceve alcuni avvisi di garanzia e dopo due mesi ammette di aver ricevuto denaro in maniera illecita: 200 milioni di lire in contanti. Imputato nel processo per la maxi tangente Enimont, è stato condannato ad 8 mesi nel giugno 1998.
Ma la passione per la politica non lo ha mai abbandonato. Nel 2004 entra nel nuovo Partito Liberale Italiano e si schiera nel Centrodestra, con cui si candida nel 2006 senza essere eletto. Nel 2011 entra nel Consiglio nazionale del Pli e lo scorso anno, poco prima delle elezioni europee, insieme agli storici amici e compagni di partito Alfredo Biondi e Carlo Scognamiglio fonda «I Liberali» con l’obiettivo da lui stesso dichiarato di «Rifondare un’Italia liberale». Quei Liberali che pochi minuti dopo la notizia della sua scomparsa lo hanno ricordato così: «Addio, e grazie a Renato Altissimo, oggi i liberali italiani perdono una colonna della loro storia».