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 2015  aprile 18 Sabato calendario

ARTICOLI SULLA GRECIA PER IL FOGLIO ROSA


ALESSANDRO MERLI, IL SOLE 24 ORE -
È stato il giorno della diplomazia sul caso Grecia a margine delle riunioni del G-20 e del Fondo monetario, anche se i progressi si misurano più sulle sensazioni che sui passi concreti.
Il tono lo dà il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, dopo un incontro di un’ora con il ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis. «Una discussione costruttiva sul processo”, ha detto Draghi, in vista della riunione europea di venerdì prossimo a Riga. Una dichiarazione cauta, ma un segnale positivo, dopo giorni di scontri verbali fra Atene e i suoi creditori e dopo che i mercati finanziari hanno chiuso la settimana contemplando apertamente la prospettiva dell’uscita della Grecia dall’euro. Una conclusione che i partecipanti agli incontri di Washington ieri hanno cercato di scongiurare.
Draghi, dal cui assenso dipende la sopravvivenza del sistema bancario greco e quindi, in ultima analisi, la permanenza della Grecia nell’unione monetaria, è stato al centro degli sforzi di ricucitura, anche se ha sempre insistito che la decisione finale è politica e spetta ai Governi. Alla Bce, come nelle altre istituzioni che si confrontano con le autorità greche (la ex troika), hanno notato nell’ultimo paio di giorni un miglioramento del clima delle discussioni tecniche ad Atene, mentre oggi riprenderanno anche quelle condotte parallelamente a Bruxelles: ma, appunto, per ora mancano i contenuti nelle proposte greche che potrebbero imprimere una svolta. Nel frattempo si valutano diversi scenari e secondo Reuters uno di questi - all’esame della Bce - riguarderebbe la possibilità per Atene di emettere degli IOU (letteralmente “I Owe you money”, cioè dei “pagherò”) che avrebbero la funzione di una valuta parallela: servirebbero a pagare stipendi pubblici e pensioni, mentre i rimmborsi ai creditori resterebbero in euro.
Sul fronte “diplomatico”, invece, Varoufakis ha tenuto a dare uno “spin” più ottimista all’incontro con Draghi. La Bce ha detto che ci aiuterà nella ricerca di una soluzione e Draghi vuole una soluzione rapida che consenta alla Grecia di tornare sulla strada della crescita, ha affermato il ministro.
La rete di contatti diplomatici si è estesa a un bilaterale fra Varoufakis e il segretario al Tesoro Usa, Jacob Lew. Al di là delle preoccupazioni geopolitiche, il timore principale dell’amministrazione Usa è che il caso Grecia possa far deragliare una ripresa dell’economia globale che solo ora sta prendendo corpo. E, nel tardo pomeriggio di ieri, il ministro greco ha visto quello italiano, Pier Carlo Padoan, negli uffici del direttore esecutivo all’Fmi, Carlo Cottarelli, per una inedita riunione dei ministri della “constituency”, il gruppo di Paesi che, guidato dall’Italia, ha una rappresentanza unica nel consiglio dell’istituzione di Washington. Interessante notare come ne faccia parte anche il Portogallo, che in sede europea è stato uno dei meno disponibili a una linea più morbida sulla Grecia, essendo dovuto passare da un duro programma di aggiustamento, dal quale ora è uscito, per ottenere gli aiuti internazionali.
Un altro esponente della linea dura, il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, (che peraltro, significativamente, ha sempre sostenuto che alla fine si troverà un’intesa) ha evitato ieri, in un incontro con i giornalisti, di accentuare gli aspetti negativi, anche se ha ribadito che non è ipotizzabile un accordo a Riga, dove si discuterà lo stato del negoziato tecnico, ma nulla di più. Per questo «è importante che ci siano progressi significativi nei prossimi giorni», ha detto il capo del dipartimento europeo dell’Fmi, Paul Thomsen, già capo della missione sulla Grecia. L’Fmi e gli altri interlocutori di Atene si aspettano però che la Grecia presenti «un piano completo», non solo alcune misure, come aveva suggerito Varoufakis. Secondo Thomsen la discussione richiederà ancora «diverse settimane». Quello che tutti si chiedono – e la preoccupazione maggiore dei mercati - è come Atene potrà continuare a pagare i suoi conti e rimborsare i creditori nel frattempo. Il dirigente dell’Fmi, pur precisando di non avere informazioni dettagliate sulla liquidità del Governo ellenico, ha sostenuto che il vero problema per la Grecia verrà nell’estate, quando fra giugno e agosto dovrà rimborsare circa 11 miliardi di euro. «È importante che l’accordo arrivi prima di allora», ha detto Thomsen. Fonti tedesche sostengono che da qui ad allora Atene potrebbe cercare di far fronte ai suoi impegni rinviando i pagamenti della pubblica amministrazione ai fornitori. Il programma dell’Fmi con la Grecia, a differenza di quello europeo, che scade a fine giugno, continua fino a marzo 2016 e comprende 16 miliardi di dollari non ancora sborsati, ma questi potranno esser messi a disposizione di Atene solo in presenza di una valutazione positiva delle misure.
Thomsen, come aveva fatto Schäuble, ha detto di voler evitare speculazioni su un’uscita della Grecia dall’euro. «Non prevediamo che questo accada – ha sostenuto – le conseguenze per la Grecia sarebbero molto gravi, pagherebbe un caro prezzo. Per l’eurozona, sarebbe una sfida difficile. Gli effetti negativi sulla fiducia non vanno sottovalutati, ma l’eventuale contagio dipenderà dalla risposta di politica economica. Ma lo ripeto, non vanno sottovalutati i rischi».
Alessandro Merli

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VITTORIO DA ROLD, IL SOLE 24 ORE -
Pagare 5,5 milioni di pensioni e la pletora di stipendi statali o i crediti in scadenza rischiando il primo default della zona euro? In cassa ad Atene, secondo l’agenzia Reuters ci sarebbero 2 miliardi di euro, anche se il Governo di Atene ha smentito seccamente.
In ogni caso per il governo Tsipras si avvicina il momento della verità quando dovrà pagare crediti in scadenza per 2,5 miliardi di euro all’Fmi tra maggio e giugno e le due rate di bond della Bce da 7,5 miliardi tra luglio e agosto.
La prima voragine nelle casse sono le pensioni che, secondo gli ultimi dati Ocse disponibili relativi al 2009, pesavano per il 13% del Pil, rispetto all’11,34% della Germania mentre la spesa sociale complessiva, sempre dati Ocse 2014, pesavano per il 24% del Pil rispetto al 22% della ricca Norvegia. Per i disoccupati, al 26,5% della popolazione, la Grecia versa in indennità appena l’1,1% del Pil, contro lo 0,8% dell’Italia. Un welfare molto sbilanciato sul fronte delle prestazioni previdenziali e poco su quelle assistenziali.
Ma il problema della previdenza greca è che per anni ci sono stati abusi di massa, complici medici spesso compiacenti, conti in rosso cronici e investimenti internazionali sballati dei fondi pensione delle casse di previdenza speciali.
Tutte operazioni spericolate che hanno pesato sulle casse pubbliche e fatto lievitare il debito statale che infatti è al 172,9% del Pil .
Poco è valsa l’opera di recupero, su pressione della troika, di 10 miliardi di dollari iniziata qualche anno fa dall’Istituto delle assicurazioni sociali (Ika), paragonabile alla nostra Inps, che gestisce le pensioni per oltre 5,5 milioni di persone.
I tre governi che si sono succeduti dal 2009, Papandreou, Papademos e Samaras, hanno stretto per ben tre volte la spesa previdenziale, aumentando l’età pensionabile e riducendone la generosità delle prestazioni, passando dal sistema contributivo a quello retributivo.
Ma lo scorso agosto lo scontro tra l’ex premier conservatore, Antonis Samaras, e la troika si consumò proprio sul rifiuto dell’ex primo ministro di sforbiciare ancora una volta le numerose esenzioni che ancora esistono in materia previdenziale, distorsioni odiose in un momento in cui è stata abolita ad esempio la tredicesima mensilità per tutti i pensionati, anche quelli che incassano la “minima”.
Eppure Samaras si oppose alle richieste, conscio che sarebbe stato un errore che lo avrebbe perduto. Oggi, intanto, le pensioni elleniche raggiungono a stento il 50% dell’ultima retribuzione e sono calcolate sui contributi versati, un sistema che ha spinto molti dipedenti ad uscire dall’economia in nero.
Ma se le cose dovessero peggiorare cosa potrebbe fare il Governo Tsipras per affrontare la situazione di emergenza? L’esecutivo potrebbe emettere i cosiddetti Iou, letteralmente “I owe you” o “Io ti devo” per far fronte alle scadenze di cassa inderogabili come stipendi pubblici e pensioni, ed evitare le proteste di massa. Si tratta di forme di pagherò, cioè di promesse di pagamento fatte ai dipendenti statali e ai pensionati per una certa somma e entro una data prestabilita. Il dipendente o il pensionato che vuole incassare va in banca dove sconta la cambiale pagando una commissione se vuole incassarla prima della scadenza.
Questo escamotage consentirebbe di pagare sia i crediti internazionali in euro sonanti e stipendi e salari in Iou. Il problema è che se dovesse continuare la fuga di depositi dalle banche, a marzo giunti a 135 miliardi di euro rispetto ai 160 miliardi di dicembre, i “pagherò” si trasformerebbero nell’anticamera della dracma, cioè di una valuta parallela che perderebbe il 40% del suo valore rispetto all’euro.
Atene ha predisposto misure per accentrare la tesoreria rastrellando la liquidità dagli enti pubblici, enti statali, fondi pensione. Inoltre ha ritardato il pagamento dei fornitori. Ma resta il fatto che gli incassi fiscali sono diminuiti e il reddito delle famiglie è crollato dell’8,74% nel 2013 rispetto all’anno precedente, continuando una serie negativa iniziata nel 2009. Anche i risparmi delle famiglie sono crollati del 16% nel 2013 rispetto al 2012.
Vittorio Da Rold

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MORYA LONGO, IL SOLE 24 ORE –
Le Borse europee, in due giorni, hanno perso mediamente il 3%. Lo spread tra BTp e Bund, nello stesso periodo, è risalito di 27 punti base, tornando a quota 141. Tutto questo è comprensibile: di fronte alla crescente possibilità che la Grecia si schianti, il panico sui mercati è normale. Potrebbe anzi essere molto maggiore, se non ci fosse la Bce a calmare le acque con le sue iniezioni di liquidità. C’è solo un movimento, sui mercati finanziari, che in questi giorni appare scollegato dalla realtà: il rialzo dell’euro. Mentre tutto in Europa crolla, infatti, la moneta unica negli ultimi due giorni ha guadagnato l’1,76%, tornando sopra 1,08 dollari in serata. La domanda sorge spontanea: com’è possibile che la moneta unica si rafforzi proprio ora che l’unità dell’Europa viene messa in dubbio da una possibile uscita della Grecia? Com’è possibile che più l’Europa rischia di perdere pezzi, più l’euro prende vigore?
Sembra quasi che i mercati, con il loro proverbiale cinismo, si prendano gioco del vecchio e stanco continente. Si facciano beffa delle disgrazie greche. Eppure non è così. Anzi, qualche spiegazione razionale al rafforzamento dell’euro c’è. In parte dipende dai dati sull’inflazione Usa, arrivati ieri. Ma soprattutto, come spiega Antonio Cesarano di Mps Capital Finance, la ripresa della moneta unica è legata al fatto che a vendere azioni europee sono in parte gli investitori internazionali. Questi infatti, vendendo titoli a Piazza Affari o sul listino di Parigi, sono costretti a smontare le coperture sul mercato dei cambi costruite quando acquistavano. Ebbene, è proprio questo “smontaggio” ad avere prodotto l’effetto collaterale di rivalutare l’euro. Per avere una conferma, basta sovrapporre il grafico delle Borse europee a quello del cambio euro/dollaro: quando scendono le prime sale il secondo, e viceversa. Segno che la forza dell’euro è almeno in parte lo specchio, in un mondo finanziario globalizzato, della debolezza sulle Borse. E paradossalmente dell’Europa.
Per capire il meccanismo bisogna addentrarsi nei meandri della finanza. E tornare indietro nel tempo. Com’è noto, da mesi gli investitori di tutto il mondo puntano sulle Borse europee: un po’ perché sono sottovalutate rispetto a quelle americane, un po’ perché tutti si aspettano che le iniezioni di liquidità da parte della Bce abbiano un effetto positivo sui listini. L’ultimo sondaggio realizzato da Merrill Lynch dimostra che i mercati azionari europei sono molto gettonati nei portafogli degli investitori internazionali. Mentre compravano azioni europee, gli investitori internazionali sentivano però l’esigenza di “coprirsi” dal rischio di cambio, per evitare che i guadagni sulle Borse venissero annullati dal ribasso dell’euro. Morale: gli acquisti di azioni europee sono stati accompagnati, nei mesi scorsi, da crescenti coperture dal rischio di cambio.
Questo è il punto. Quando un investitore vuole “assicurarsi” contro questo rischio, solitamente si rivolge a un trader di una banca d’affari e compra un’opzione «put» sull’euro-dollaro: si tratta di un contratto che produce per l’investitore un guadagno quando l’euro scende. In questo modo l’investitore annulla il rischio della debolezza dell’euro e può godere in santa pace per i rialzi delle Borse europee su cui ha puntato. Dall’altra parte, però, il trader che gli ha venduto l’opzione di copertura deve a sua volta contro-assicurarsi (i tecnici lo chiamano delta-hedging): deve cioè vendere euro sul mercato, per coprirsi a sua volta dal rischio di cambio. È per questo che quando le Borse salivano e gli investitori esteri arrivavano in massa, l’euro si deprezzava velocemente: in parte era l’effetto del quantitative easing della Bce, ma in minima parte anche delle coperture e delle contro-coperture degli investitori esteri.
Arriviamo ora agli ultimi due giorni di panico. Spaventati dalla Grecia o intenzionati a incassare un po’ dei guadagni derivanti dai recenti rialzi, molti investitori esteri hanno probabilmente deciso di alleggerire un po’ la loro esposizione sulle azioni o sui bond europei. Vendendo, però, hanno anche dovuto chiudere le coperture sui cambi aperte in precedenza. Questo ha spinto i trader che avevano venduto le coperture a muoversi in maniera inversa sul mercato dei cambi: hanno cioè dovuto comprare euro. Morale: ora che le vendite fioccano sulle Borse, l’euro sale. Il rafforzamento degli ultimi due giorni della moneta unica, dunque, almeno in parte misura i deflussi internazionali dalle Borse europee. Ecco perché più l’Europa soffre, più l’euro si rafforza.

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ROSSELLA BOCCIARELLI, IL SOLE 24 ORE -
Il sobbalzo dei tassi d’interesse italiani e la risalita dello spread a quasi 150 punti base ha fatto tornare in mente a molti quella maligna profezia del Wall Street Journal, che a proposito dei problemi dell’eurozona e dei possibili rischi per l’Unione monetaria diceva: tutti parlano di Grecia ma hanno in mente l’Italia, con il suo alto stock del debito pubblico e la sua crescita troppo bassa.
Ma ieri dal ministro dell’Economia italiano Pier Carlo Padoan è arrivata una riposta rassicurante nel corso di un’intervista alla Cnn concessa a margine degli incontri di primavera del Fondo monetario internazionale. Alla giornalista che chiedeva se non ritenesse che la crisi greca possa aumentare la vulnerabilità del nostro paese Padoan ha replicato: «Non sono d’accordo. L’Italia si sta rafforzando anche sotto il profilo finanziario. I tassi sui bond sono ai ai minimi livelli storici. E il debito pubblico scenderà il prossimo anno. E dunque il nostro paese è molto ben protetto rispetto a qualsiasi shock che potesse arrivare».
Poi il responsabile della politica di bilancio italiana sottolinea che la strategia del governo Renzi è mirata «a una crescita maggiore, ad ottenere riforme strutturali a tagliare l’imposizione fiscale e a garantire un debito pubblico sostenibile. Il Def è qui per dimostrare che questi obiettivi sono conseguibili ed efficaci». Il recente Documento di economia e finanza dimostra esattamente che questa strategia è fattibile ed efficace». Parlando della politica monetaria espansiva della Banca centrale europea, Padoan ha rassicurato rispetto agli effetti che questa avrà sull’economia reale.
Il quantitative easing della Banca centrale europea è «una componente essenziale di qualsiasi mix di politica economica ma - riconosce - da solo non é sufficiente». «Abbiamo anche bisogno di riforme strutturali a livello nazionale, che il piano di investimenti funzioni effettivamente e di più integrazione, più economia digitale e più innovazione», ha detto il ministro, sottolineando che il meccanismo di trasmissione è complesso e richiede del tempo prima che funzioni. L’esperienza americana lo dimostra. Padoan prima dell’intervista aveva scambiato qualche battuta con il governatore della Banca centrale europea Mario Draghi, a margine della family photo del G-20.
Rispondendo a una domanda sulle preoccupazioni per la presenza dei movimenti contro l’austerity finanziaria in Europa, ha spiegato che la ripresa economica aiuterà a dissolvere le proteste: «C’è un problema di movimenti contro l’austerity in Europa, ma c’è anche una soluzione a questo. L’Europa sta cambiando il suo mix di politiche, è più orientata alla crescita, più orientata agli investimenti. A mano a mano che la situazione economica migliora portando con sé occupazione a crescita questi movimenti perderanno slancio», ha detto. Poi, dato che la crisi greca occupa l’immaginario dei mercati la giornalista della Tv americana torna sul tema del “rischio Grexit”. E il ministro spiega nuovamente che è fiducioso e che questo rischio non si materializzerà, anche perché un’ eventuale uscita della Grecia ci porterebbe in un territorio sconosciuto e l’Unione monetaria si trasformerebbe in qualcos’altro.
Un concetto che, in modo molto più cauto e improntato all’understatement viene richiamato anche nel bollettino della Banca d’Italia. Il documento della Banca centrale ricorda infatti che l’Eurogruppo si è espresso a favore della richiesta del governo greco di un’ulteriore proroga per completare il programma macroeconomico di aggiustamento al quale sono condizionate misure di sostegno da parte delle autorità europee. «Tuttavia - aggiunge - le trattative sono in corso da oltre un mese e l’incertezza sul loro esisto resta elevata». Il governo greco- ricorda ancora Bankitalia- si è impegnato a completare il processo di riforma a rispettare gli impegni nei confronti dei creditori e a garantire la sostenibilità del debito pubblico. Un programma dettagliato delle misure dovrebbe essere concordato entro aprile. «Il raggiungimento di un accordo nei tempi stabiliti - è la conclusione di Via Nazionale - è nell’interesse comune».
Alla fine dell’intervista a Cnn, nella quale ha colto l’occasione anche per ricordare che quella dell’immigrazione è una tragedia che deve essere fronteggiata con uno sforzo comune dell’Europa, Padoan è andato a salutare insieme al governatore della Banca d’Italia la piccola comunità italiana al Fondo monetario internazionale, nell’ufficio del direttore esecutivo Carlo Cottarelli e nelle stanze della costituency italiana: in seno all’organismo di Washington il nostro paese guida un gruppo di stati tra i quali c’è anche la Grecia. Nel successivo meeting della costituency, già previsto in agenda, si è materializzato, ieri pomeriggio, anche il ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis.
Rossella Bocciarelli

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STEFANIA TAMBURELLO, CORRIERE DELLA SERA -
L’impennata a quota 150 punti ha riportato indietro il calendario ai primi di novembre. Col passare delle ore e delle contrattazioni, però lo spread tra i rendimenti dei Btp decennali e dei Bund tedeschi è tornato a scendere anche se è rimasto ben al di sopra dei livelli delle scorse settimane chiudendo a 139 punti base con il titolo italiano all’1,48%. I timori per il precipitare della crisi greca hanno agitato i mercati, con le borse europee tutte in discesa e Piazza Affari che è scivolata del 2,4% a 23.044 punti.
Il ritorno delle tensioni non preoccupa però il governo, che pure punta per far quadrare il bilancio ai risparmi sugli oneri per interessi, determinati dalla sensibile riduzione dei tassi in atto da inizio anno.
Si tratta di una bufera temporanea, dicono gli esperti del Tesoro mentre da Washington, dove partecipa ai lavori del Fondo monetario internazionale e del G20 finanziario, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan rassicura: «L’Italia si sta rafforzando finanziariamente in modo significativo. Il debito calerà il prossimo anno e i tassi sui titoli di Stato sono ai minimi livelli e dunque siamo molto ben protetti da qualsiasi choc che potrebbe arrivare», dice riferendosi proprio alle ripercussioni della crisi di Atene.
Anche la Banca d’Italia non vede pericoli, nel suo bollettino conferma anzi che il nostro paese il prossimo anno crescerà più del previsto: l’1% in più nel 2015-2016. Si tratta dell’effetto, peraltro sottostimato, a sentire gli esperti dell’istituto di via Nazionale, del Quantitative easing, cioè dell’acquisto massiccio di titoli privati e soprattutto pubblici, avviato dalla Bce il 9 gennaio scorso. «La crescita del Prodotto potrebbe essere superiore allo 0,5% quest’anno e attorno l’1,5% il prossimo» spiega il Bollettino economico di Palazzo Koch diffuso ieri, che segnala anche il miglioramento delle prospettive dell’occupazione grazie all’adozione del Job act. «Famiglie e imprese prefigurano per i prossimi mesi un lieve miglioramento delle prospettive occupazionali, a cui avrebbero aver concorso gli sgravi contributivi introdotti in gennaio e la disciplina prevista dal Job Act, in vigore da marzo» sottolinea ancora il Bollettino segnalando una stabilizzazione dell’occupazione in gennaio-febbraio.
Anche le imprese italiane sembrano aver cambiato mood. La fiducia continua a mostrare segnali di miglioramento «anche se il ciclo industriale stenta a superare la prolungata fase di debolezza». In ogni caso «indicazioni favorevoli emergono per gli investimenti, tornati a crescere nell’ultimo trimestre del 2014».

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STEFANIA TAMBURELLO, CORRIERE DELLA SERA -
I mercati si agitano perché vedono l’uscita dall’euro della Grecia, soffocata dalla mancanza di liquidità, sempre più vicina. A Washington però, dove sono riuniti i ministri delle finanze e i governatori delle banche centrali dei Venti paesi più ricchi del mondo, e quindi anche i protagonisti della trattativa politica avviata col governo di Atene per evitare il fallimento del paese, emergono, seppure tenui, segnali di distensione. E non solo perché il ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, è arrivato nella capitale americana, per un tour di incontri formali ed informali, giustificati dalla sua partecipazione alla sessione primaverile del Fmi, destinati a sensibilizzare tutti sullo stato di necessità del suo paese. Ma anche perchè – e nelle discussioni di Washington se ne è avuta la conferma – nessuno vuole l’uscita del paese ellenico dall’area dell’euro. Non che si siano fatti passi avanti verso una soluzione, solo che si è ripreso a lavorare sull’intesa. La cautela è quindi d’obbligo anche a Washington dove per qualche giorno si sono trasferite le trattative di Bruxelles mentre domani, sembra a Parigi, si riunirà, in sede ovviamente solo tecnica, il gruppo di Bruxelles (Fmi,Ue e Bce).
«Abbiamo avuto una discussione costruttiva sul processo che deve accompagnare i negoziati da qui al prossimo vertice Ecofin di Riga» ha detto il presidente della Bce, Mario Draghi, al termine dell’incontro durato circa un’ ora con Varoufakis. Draghi «ha detto che la Banca centrale europea ci aiuterà nella ricerca di una soluzione» ha riferito a sua volta il ministro greco, senza però ottenere riscontro dall’istituto di Francoforte. La posizione della Bce e di Draghi sulla questione greca, del resto, non è cambiata. «Noi dobbiamo seguire le regole esistenti. Sono le regole a indirizzare i nostri atteggiamenti» ha sempre detto il numero uno della Bce. In sostanza i banchieri centrali dell’eurozona sono disponibili a fornire la liquidità nell’ambito dei paletti che vietano il finanziamento degli stati aderenti e compatibilmente alla solidità e solvibilità delle banche elleniche. Ma hanno anche sempre detto che la soluzione la deve trovare Atene. Le possibilità di trovare un accordo «sono interamente nelle mani delle autorità greche» ha insistito Draghi nella conferenza stampa di mercoledì a Francoforte e la sua posizione, anche nel faccia a faccia con Varufakis di ieri, non è cambiata. Del resto a guardare all’iniziativa del governo guidato da Alexis Tsipras, sono anche le altre autorità europee. «Non esiste un piano B per la Grecia, e non è che stiamo discutendo del nulla. E’ che è arrivato il momento di fare passi avanti nella trattativa» ha detto sempre a Washington ieri il commissario per gli Affari economici Pierre Moscovici mentre il ministro tedesco Wofgang Schaeuble ha ribadito l’avvertimento di sempre sulla necessità di Atene di rispettare i programmi già definiti. E mentre il Fondo monetario ieri ha sollecitato un accordo prima dell’estate, quando verranno a scadenza nuovi debiti per la Grecia, un richiamo forte alla Grecia è arrivato ieri addirittura dal presidente Usa Barack Obama, che giovedì sera, nel corso di un evento alla Casa Bianca aveva fugacemente incontrato Varoufakis il quale ieri ha avuto un bilaterale col sottosegretario al Tesoro Jack Lew. «La Grecia deve dimostrare a chi le dà credito che sta cercando di aiutare se stessa» ha detto Obama chiamando in campo il presidente del Consiglio Matteo Renzi appena incontrato: «Matteo ha ragione, la Grecia deve fare le riforme».
Stefania Tamburello

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DANILO TAINO, CORRIERE DELLA SERA -
Molto volume di dichiarazioni sulla Grecia, a Washington, in questi giorni di incontri primaverili del Fondo monetario internazionale (Fmi). E, quindi, una buona dose di confusione. Ci sono però alcuni punti fermi. Alla riunione dei ministri delle Finanze dell’Eurozona del 24 aprile a Riga difficilmente ci saranno novità capaci di sbloccare la trattativa tra Atene da una parte e i partner della moneta unica dall’altra. Al massimo qualche passo avanti – ha ammesso il commissario europeo per gli Affari economici, Pierre Moscovici – utile per preparare l’incontro che gli stessi ministri terranno l’11 maggio. Che – ha aggiunto – «sarà decisivo». Seconda certezza: tra ora ed allora, riprenderà la discussione su quanti euro sono rimasti in cassa ad Atene e sull’eventualità di un suo default nel pagamento di una rata del debito. I numeri veri non si conoscono ma si va avanti con l’esecutivo di Alexis Tsipras che punta a sbloccare i prestiti dei creditori e i creditori che aspettano le riforme. Dopo un paio di mesi di inutili trattative, però, ora qualcosa si muove. Dal momento che il governo ellenico non ha presentato un programma dettagliato sulla base del quale ottenere lo sblocco dei fondi (7,2 miliardi), e dal momento che l’idea prevalente è che non sia in grado di farlo, i creditori – Ue, Fmi e Bce – starebbero preparando un pacchetto di misure per fare uscire allo scoperto Atene. Da presentare entro l’11 maggio. Dettagli ufficiali non ci sono. Da quanto risulta al Corriere , l’idea in discussione tra i creditori ruoterebbe attorno all’offerta ad Atene di rivedere l’onere del suo debito, ritenuto insostenibile: non per tagliarlo ma per valutare modi diversi di rimborso, forse compresa la possibilità di legarlo alla crescita dell’economia ellenica. In cambio, Tsipras dovrebbe procedere a riforme del mercato del lavoro e delle pensioni e condurre privatizzazioni vere: ciò sbloccherebbe i prestiti ma solo dopo che le leggi in questione sono state approvate dal parlamento greco. Non un processo brevissimo e nemmeno senza rischi: tanto che si starebbero anche studiando misure di emergenza per affrontare un eventuale default senza che ciò comporti l’uscita della Grecia dall’euro: controlli sui movimenti di capitale e l’emissione di qualche forma di cambiali pubbliche per gli scambi domestici provvisoriamente alternative all’euro.

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FEDERICO FUBINI, LA REPUBBLICA -
La sola cosa che si possa dire a difesa del rapporto fra Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis è che non può essere peggio di quello fra la Grecia e il resto d’Europa. Alla Banca centrale europea, il premier di Atene avrebbe fatto capire che non si deve dar troppo ascolto al suo ministro delle Finanze. Questi si sarebbe preso la propria rivalsa evitando di informare il primo ministro del contenuto di importanti scambi di idee con i negoziatori europei.
Inevitabile che poi questi restino senza parole quando si rendono conto, di fronte a Tsipras, che devono spesso tornare a discutere tutto da zero. La lista delle stranezze potrebbe continuare. In un recente convegno a Parigi, Varoufakis, figlio di un importante oligarca greco della siderurgia, ha dato l’impressione di essere seguito come un’ombra da una sorta di “commissario politico” di Syriza nella persona del viceministro degli Esteri Euclid Tsakalotos. Il ministro delle Finanze, che non si è mai iscritto al partito di governo, ha spiegato agli organizzatori dell’incontro che non avrebbe potuto prendere la parola se l’ignoto (e non invitato) Tsakalotos non avesse parlato subito dopo di lui. Ciò non ha impedito a Varoufakis pochi giorni dopo a Washington di scoprire con stupore, dicono i testimoni, che la Grecia ha un vice-direttore esecutivo nel Consiglio del Fondo monetario internazionale (in realtà, lo ha da decenni). Né ciò gli ha impedito di licenziare l’alto funzionario ellenico su due piedi il giorno seguente. Contrariamente a quanto pensavano i marxisti prima di Tsipras e Varoufakis, anche le personalità fanno la differenza nella storia. Alla fine, la faranno probabilmente anche in questa vicenda. Certo, pesano di più le forze che si muovono in profondità, i movimenti o la stasi nelle grandi maree sottostanti, e anche in questi giorni lo si è visto intorno alla Grecia. Il brusco deterioramento dello spread, lo scarto nei rendimenti fra titoli decennali tedeschi e italiani, non dimostra solo che Atene ha conservato almeno parte della sua capacità di contagiare finanziariamente i Paesi più fragili di Eurolandia. Ricorda anche qualcos’altro: nell’area restano economie con vari gradi di vulnerabilità, a partire dall’Italia.
Nell’immediato la minaccia di un nuovo contagio ellenico è comunque contenuta dalla Bce: nell’ipotesi che davvero Atene possa precipitare in un default caotico e uscire dall’euro, la banca centrale di Francoforte in realtà ha già riflettuto su come concentrare nel tempo gli acquisti di titoli di Stato che già sta conducendo. Anziché intervenire per 60 miliardi al mese, per un certo periodo la Bce potrebbe farlo per somme doppie o triple, anche a costo di esaurire il suo programma di acquisti di titoli prima del previsto. Questo presumibilmente sederebbe i mercati almeno per adesso, anche se tutto in Grecia continuasse ad andare nel peggiore dei modi.
I tremori propagatisi da Atene in questi giorni, e la capacità del mercato dei titoli del Tesoro di crollare bruscamente in qualunque momento, ricordano però all’Italia anche un’altra realtà. Senza dirselo poi troppo, questo Paese sta riavvicinandosi pian piano a una bolla del credito e la scossa provocata dalla Grecia ieri lo ha in qualche modo rivelato. Non ha alcun senso, sulla base dei fondamentali delle economie, che i titoli decennali americani debbano offrire un premio al rischio dello 0,40% superiore agli omologhi italiani come se fossero davvero più pericolosi. La sensibilità dimostrata alla vicenda greca rivela come un’Italia che non si autoriforma più a fondo, anziché promettere tesoretti tutti da dimostrare, può finire di nuovo fuori equilibrio e poi pagarne un alto prezzo in seguito.
A maggior ragione, un accordo fra Atene e l’area-euro nelle prossime settimane è disperatamente necessario e per questo conteranno le personalità dei protagonisti. Quella di Tsipras resta tanto determinante, quanto illeggibile. Nei suoi primi cento giorni non ha fatto quasi nulla di coerente con il suo programma di sinistra, neanche misure che sarebbero state ben viste in Europa. Non ha agito contro la corruzione, né contro la grande evasione, né contro gli sgravi e le esenzioni riservate agli oligarchi dei cantieri navali. Ha eccitato le platee con richieste irrealistiche e provocatorie di “indennizzi” dalla Germania, senza capire che l’accordo sul quel fronte è immutabile perché legato alla definizione delle frontiere in Europa dopo la Guerra fredda.
A Tsipras in realtà ora resta un’opinione pubblica che a grande maggioranza lo sostiene (ma un po’ meno di prima) e in una maggioranza altrettanto grande vuole stare nell’euro e in Europa. Per riuscirci il premier greco ha bisogno di un compromesso che cambi in parte gli equilibri politici interni, emarginando le estreme, a destra e a sinistra, e aprendosi ad altri voti in parlamento o nel Paese. Tsipras viene da assemblee infuocate in sale piene di fumo ed è arrivato a incontri riservati con Merkel, Draghi, Putin. Ora deve decidere chi vuole essere e dove vuole che sia il suo Paese. Ormai lo sa solo lui, dipende solo da lui.

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ETTORE LIVINI, LA REPUBBLICA -
Riforme in cambio di soldi. Lo stato dell’arte dei negoziati tra l’ex-Troika e la Grecia è chiaro. Atene non ha quattrini in cassa e dipende dai finanziamenti di Ue, Bce e Fmi per pagare stipendi, pensioni e interessi. I creditori pretendono un piano di riforme in linea con il vecchio memorandum per pagare l’ultima tranche di prestiti da 7,2 miliardi. Tsipras vuole un cambio di rotta. E visto che l’austerity non ha funzionato, auspica più crescita e meno rigore. Da due mesi però, non si fanno passi avanti e il rischio default è sempre più concreto. Ecco i punti più delicati delle trattative.

BCE, Ue e Fmi hanno idee chiare: Atene deve rispettare le riforme varate da Antonis Samaras, senza fare marce indietro. Tradotto in soldoni: la Grecia non deve alzare lo stipendio minimo – ridotto negli ultimi anni a 586 euro - e soprattutto non può cancellare le norme, vitali per i creditori, che hanno di fatto eliminato la contrattazione collettiva di categoria, affidando i negoziati solamente al livello aziendale.
Un altro legge intoccabile secondo i criteri del Bruxelles Group è quella che ha reso possibili i licenziamenti di massa, riducendo di molto l’onere a carico dei datori di lavoro per i risarcimenti dei dipendenti interessati. Questi provvedimenti, dicono, hanno funzionato benissimo in Spagna dove grazie alla flessibilità del mercato del lavoro l’economia è ripartita e la disoccupazione è scesa quasi del 3% in un anno.
L’INTERVENTO della
Troika ha rivoluzionato il sistema pensionistico greco in due tappe. Nella prima, che risale al 2010, è stata alzata l’età pensionabile fino a 65 anni con un minimo iniziale di 40 anni di contributi per potersi ritirare a 60. Dalla lista dei lavori usuranti sono state cancellate professioni non proprio faticose come gli annunciatori tv (messi a repentaglio dalla flora batterica nei microfoni) i parrucchieri, e le figlie zitelle di dipendenti pubblici.
Sono stati inaspriti di parecchio i prelievi fiscali sugli assegni più alti e limati anche quelli minori con la cancellazione della tredicesima e della quattordicesima. Oggi solo il 25% dei greci però va davvero in pensione a 65 anni. E la Troika ha chiesto a Samaras provvedimenti per ridurre il gap tra i contributi e uscite. Il governo conservatore non l’ha fatto e ora Bruxelles chiede di intervenire a Tsipras.
ÈSEMPREs tato
uno dei capisaldi delle richieste della Troika. E chiunque sia stato al governo, da Papandreou a Samaras fino a Tsipras, uno dei più difficili da concretizzare. L’ex premier del Pasok, noto liberista su questo fronte, aveva promesso 50 miliardi di dismissioni pubbliche nel 2010 senza poi riuscire a mandare in porto quasi nemmeno una. Stesso discorso per Samaras. Aveva garantito alla Troika di cedere beni per 11 miliardi entro il 2016 e invece ha raccolto poche briciole privatizzando le lotterie, qualche albergo e vendendo l’ex aeroporti di Atene. Fallendo però la cessione di beni più strategici come il monopolio del gas.
A Tsipras Ue, Bce e Fmi chiedono solo di non bloccare i processi già avviati e non conclusi come la vendita del Pireo, degli aeroporti e del colosso elettrico pubblico.
LA TROIKA
ha imposto alla Grecia un piano lacrime e sangue per ridurre nel tempo di 150mila persone il suo settore pubblico, gonfiato nell’era delle assunzioni clientelari del tandem Pasok-Nea Demokratia. Dall’inizio della crisi l’organico della pubblica amministrazione è stato ridotto dell’11% circa mentre un taglio molto più deciso è stato dato alle buste paga dei dipendenti dello Stato che tra benefit e fisso si sono visti ridurre lo stipendio del 30% circa.
Ue, Bce e Fmi sono state chiare con il governo Tsipras: la cura dimagrante del settore deve continuare. C’è ancora molta strada da fare per arrivare agli obiettivi imposti dai creditori e non ci sono spazi per alcuna marcia indietro né per congelare i licenziamenti o il blocco del turnover, come ventilato da Syriza durante la campagna elettorale.

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ETTORE LIVINI, LA REPUBBLICA -
IL GOVERNO di
Alexis Tsipras non solo non è disposto ad accogliere le richieste della Bce, ma ha già concretizzato qualche decisione che va in direzione contraria rispetto ai desiderata della ex-Troika. In un provvedimento in Parlamento è già previsto l’aumento dello stipendio minimo fino a 751 euro. Anche se per venire incontro alle esigenze dei creditori verrà alzato in più rate. Il ministero del Lavoro ha inoltre avviato i negoziati con Confindustria e sindacati per ripristinare il livello della contrattazione collettiva e per impedire i licenziamenti collettivi. Fumo negli occhi di Bce, Ue e Fmi. La flessibilità, dicono ad Atene, è servita solo ad aggravare la crisi, visto che malgrado la ricetta lacrime e sangue della Troika e le riforme di Samaras la disoccupazione nel Paese è salita dall’8% del 2008 al 25,7% attuale.
QUELLA delle pensioni è una delle “linee rosse” che il governo Tsipras non intende sorpassare riducendo le prestazioni. L’ha promesso in campagna elettorale e anche se «il sistema non sta in piedi», come ha candidamente ammesso il ministro alle finanze Yanis Varoufakis giovedì al Fondo Monetario, non si può toccare pena un iter Parlamentare impossibile.
Di più: Syriza aveva garantito prima del voto del 25 gennaio la restituzione della tredicesima alle famiglie più povere. Una misura che secondo il Programma di Salonicco del partito riguardava 1,2 milioni di persone con meno di 700 euro di pensione al mese. Il costo dell’iniziativa è di circa 540 milioni di euro. La misura va bene solo se è finanziata con altri tagli, dicono Bce, Ue e Fmi, che non sono affatto convinti delle coperture presentate finora da Tsipras.
QUELLO delle privatizzazioni è uno dei temi sui cui le posizioni di Atene e della Troika, invece di avvicinarsi, si sono allontanate. La questione è delicatissima per la minoranza radicale all’interno di Syriza. E al ministero dello Sviluppo economico, responsabile del processo, siede Panagiotis Lafazanis, leader carismatico della sinistra del partito. È stato lui finora a mettersi di traverso a ogni tentativo di vendita. Ha già detto che non cederà mai l’elettricità nazionale. Ha posto condizioni durissime per le concessioni sugli aeroporti (acquistati dai tedeschi di Fraport) e messo il veto sull’addio al Pireo.
Varoufakis e Tsipras stanno cercando di metterci una pezza. Hanno detto che privilegeranno accordi di cogestione con i partner internazionali rivedendo i termini delle intese raggiunte. Un modo soprattutto per non inimicarsi i cinesi della Cosco già titolari del 33% del porto di Atene.
ANCHE su questo fronte nelle ultime settimane è aumentata la tensione. Il governo di Alexis Tsipras ha detto urbi et orbi che in Grecia c’è un’emergenza sanitaria e che si devono assumere in tempi brevi 4.500 tra medici e infermieri. Sono assunzioni comprese nei piani concordati con Bce, Ue e Fmi, ha garantito l’esecutivo.
Peccato che pochi giorni più tardi sia stato annunciata alla stampa la riassunzione nell’organigramma della pubblica amministrazione di altre 12mila persone. Si tratta di normale e fisiologico turnover, dice Syriza, ma l’ex Troika ne dubita. Uno dei primi provvedimenti dell’esecutivo del resto è stato il reintegro delle donne delle pulizie del ministero delle finanze, protagoniste di un’epica battaglia dopo essere state messe alla porta dai creditori.

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MARCO ZATTERIN, LA STAMPA -
Arriva un altro fine settimana di tragedia greca, coi creditori del Brussels Group riuniti a cercare margini di intesa col governo greco di Syriza, i tecnici di Atene che fanno trapelare l’imminenza di ritrovarsi con le casse a secco e il Fmi che, nella persona del direttore Christine Lagarde, esclude la possibilità di allungare i tempi per i rimborsi. Cambiano i fattori, non il prodotto. A due mesi dall’intesa con cui l’eurozona ha deciso di allungare sino a giugno il salvataggio ellenico in cambio di riforme, non s’è ancora visto un vero piano di rilancio, mentre è cresciuta l’irritazione e la sfiducia nei confronti di casa Tsipras. Il quadro è teso. E le quote di chi gioca per la bancarotta guadagnano valore.
Mercati in rosso
Le Borse tremano. I mercati hanno flirtato con l’idea che il prossimo fine settimana, al vertice informale dei ministri finanziari dell’Eurozona in programma a Riga (Lettonia), si sarebbe potuti arrivare a una definizione del contenzioso fra la Grecia e i suoi creditori. Invece, tutte le dichiarazioni a dodici stelle escludono ora la possibilità e invitano piuttosto a sintonizzare l’agenda della crisi sulla riunione ordinaria dell’11 maggio. Così a Milano sono scesi soprattutto i titoli finanziari, complice la risalita dello spread Btp-Bund in area 140 punti base: l’indice Ftse Mib ha chiuso in ribasso del 2,40% a 23.044. In rosso pure Madrid e Lisbona (rispettivamente in discesa del 2,1% e del 2,2%), mentre Parigi ha limitato i danni (-1,55%). La peggiore è stata Francoforte (-2,58%). In Germania un crac greco fa paura.
Fonti anonime vicine al governo Tsipras hanno dichiarato alla Reuters che nelle casse di Atene restano solo 2 miliardi con cui si intende pagare stipendi e pensioni. In serata, è arrivata la smentita di turno. Vera o falsa? Alla Commissione Ue c’è chi invita a prendere con le molle le fughe di notizie che arrivano da sotto il Partenone. «Tattica», dicono. «Atene ha risorse fino a giugno, non è vero che resterà a secco entro il mese senza un patto con Ue-Bce-Fmi sulla nuova tranche del prestito», afferma Zolt Darwas, economista della think tank Bruegel.Negli incontri della sessione primaverile di Fmi e Banca Mondiale il caso greco ha tenuto banco. Il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis ha avuto numerosi colloqui a Washington, a partire da Mario Draghi che - secondo i collaboratori del greco - «ha detto che la Bce aiuterà» a trovare una soluzione. Nessuno ha l’intenzione di far fallire Atene, ma nessuno può permettersi di foraggiarla senza avere qualcosa di serio in cambio.
I negoziati
Il punto è qui. Il responsabile del Dipartimento europeo del Fondo, Poul Thomsen, invita a un accordo entro l’estate anche se tra giugno e agosto l’ammontare dei pagamenti che la Grecia dovrà effettuare «aumenterà significativamente». Servono le riforme, dice, visto che non si può contare sulla crescita. Le previsioni viste sinora dal Fmi, si autocorreggge l’economista, «sono irrealistiche» e «andranno ricalcolate al ribasso». Eppure, concede, «non pensiamo che la Grecia esca dall’area euro». Possibile? Il commissario Ue all’economia, Pierre Moscovici, avverte Atene che «è giunto il tempo di far passi avanti». Il Brussels Group ci prova da oggi. Possibile? «Quando ci riuniamo - giura una fonte Ue - è sempre per trovare un accordo». A Berlino, pare, si studiano formule per una maggiore flessibilità europea.

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FRANCESCO SEMPRINI, LA STAMPA -
«Con la Germania devi sempre fare attenzione, sono capaci di far saltare tutto». Mentre al Fondo monetario internazionale tiene banco l’intreccio di consultazioni tra i Grandi del Pianeta sul caso ellenico, in un bar della capitale americana è in corso la trattativa parallela. Seduto a un tavolo defilato del «Blue Duck Tavern», un uomo sulla sessantina consulta il telefonino, sembra attendere qualcuno. Quell’uomo è Larry Summers, ex ministro del Tesoro con Bill Clinton, ex capo del Consiglio economico della Casa Bianca con Barack Obama, e due anni fa a un passo dalla reggenza della Federal Reserve.
Il guru di Harvard
È l’imbrunire, una pioggia leggera giunge a conclusione di una giornata dominata da un caldo quasi estivo. Da un vicino albergo giunge a passo spedito un uomo prestante e dalla fronte alta, è assieme a una donna che lo fa accomodare al tavolo di Summers. È la persona che il guru di Harvard attende, non un ospite qualsiasi, si tratta di Yanis Varoufakis, il ministro delle Finanze greco. È il personaggio del momento, il più importante ministro del governo di Alexis Tsipras, l’«Iron Man» del debito ellenico, economista prestato alla politica che, grazie alla sua esperienza accademica tra Inghilterra e Usa, riesce a tenere testa ai Grande della Terra, irriverente dinanzi all’austerità tedesca, sprezzante al cospetto di Berlino e Bruxelles. I due ordinano da bere, vino bianco per Summers, rosso per Varoufakis, un fugace spuntino per accompagnare la chiacchierata, informale certo, ma carica di contenuti, a breve si decide il destino di Atene.
Un punto di riferimento
Per il ministro greco Summers è sempre stato un punto di riferimento, come si nota dalla reiterate citazioni sul suo blog. L’ex segretario, inoltre, sulle tensioni economiche internazionali la sa lunga, come conferma il suo operato al Tesoro durante le crisi in Messico, Borse asiatiche e Russia. E lo tsunami finanziario di Wall Street, quando dalla Casa Bianca tentava di traghettare gli Usa in acque sicure. Summers è un interlocutore privilegiato di Obama, e non a caso l’incontro riservatissimo all’ombra del Fmi arriva a poche ora da quello fugace tra Varoufakis e il presidente Usa, e quello con Mario Draghi, definito dallo stesso presidente della Bce «costruttivo sul processo che deve accompagnare i negoziati da qui al vertice di Riga», in programma a maggio. L’obiettivo del ministro è cercare una sponda in Usa per fare pressing su Europa e Germania, dialogando con Francoforte. Summers e Varoufakis parlano per circa un’ora e mezza, quest’ultimo lo ascolta con attenzione quasi ipnotica, ogni tanto appunta le sue parole. E’ il momento del saluto. E’ lì che lo intercettiamo: «Ministro buonasera, siamo italiani». «Nessuno è perfetto», dice lui con una pacca sulla spalla. «Nessuna Grexit?», ribattiamo in relazione alla uscita del Paese dall’euro come definita dallo stesso politico greco. «Spero di sì - confida - stiamo lavorando proprio per questo». Poi ci ripensa e torna indietro: «In realtà occorre chiarire, dobbiamo salvare tutta l’Europa, il Mediterraneo in particolare». Varoufakis fa capire di riporre fiducia proprio in Paesi come l’Italia, tra le realtà che più di altre possono comprendere la situazione in cui versa la Grecia: «Anche voi eravate nei guai, come lo siamo noi adesso». Il piglio è della persona che la sa lunga, lo stile casual (giacca sportiva con camicia aperta sul petto) fa da contraltare alla padronanza dell’inglese. Ottimista quindi? «Non del tutto - ci risponde - abbiamo a che fare con la Germania, e con la Germania devi sempre essere all’erta». Cosa intende? «Sono capaci di far saltare tutto», dice congedandosi con un «arrivederci». Al tavolo rimane Summers che riprende a consultare lo smartphone, invia un messaggio, poi si alza. «Professore, la Grecia ce la fa?» «Sinceramente, non lo so».

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ALBERTO BAGNAI, IL FATTO QUOTIDIANO -
Quella che tutti chiamano “la tragedia greca” sembra più una telenovela: infinite puntate, trama ripetitiva, personaggi scialbi che parlano fuori sincrono. Partiamo dai fatti: la crisi del debito pubblico greco è una crisi del credito privato tedesco e francese. Lo ha ammesso il vicepresidente della Bce: hanno sbagliato le banche del Nord, non valutando correttamente il rischio paese della Grecia, e l’euro ci ha messo del suo, drogando i tassi di interesse nei paesi debitori, e abolendo il rischio di cambio per i paesi creditori.
L’ammissione è del 2013, ma fino ad allora la Bce aveva spalleggiato i creditori del Nord consentendo loro di salvare con cifre folli le loro banche incapaci (già nel 2011 la Germania aveva erogato aiuti per oltre 500 miliardi di euro, una volta e mezzo il debito greco), e avvalorando una narrazione distorta dei fatti, che distogliesse l’attenzione dalle responsabilità del Nord, per coinvolgere nel “salvataggio dello stato greco” paesi che, come il nostro, non c’entravano nulla, e non avevano dovuto salvare alcuna banca a casa propria. Ora che le banche del Nord sono “rientrate” coi soldi nostri, ricevuti via “fondi salvastati”, la Merkel si fa possibilista circa un’uscita della Grecia. In realtà, ovunque la politica sa che l’euro è al capolinea, ma ovunque continua a dar prova di ignavia. Tsipras sa che la Grecia dovrà uscire, ma, arrivato al potere ostentando fede eurista, deve costruire sulla pelle dei greci il consenso politico per l’uscita, non avendolo costruito su un’informazione corretta. “Facciamoli soffrire abbastanza, e mi seguiranno fuori dalla trappola”, pensa Tsipras, trascurando il fatto che il popolo greco, pur corresponsabile della crisi, non merita di essere umiliato da un’espulsione e avrebbe diritto di pretendere un’uscita concordata.
I Machiavelli de noantri, a loro volta, pensano: “Speriamo che la Grecia esca: sarà più facile per noi entrare in argomento. E se non esce o la massacrano? Meglio! Più soffrono i greci, e prima gli italiani si sveglieranno”. Cinismo fallace, se chi lo pratica nulla fa per aiutare gli italiani a intuire la natura del problema, e anzi spalleggia chi, a Bruxelles come nelle nostre università, continua a propalare analisi distorte. Riflettano, i politici che si credono furbi: la storia non perdona chi fa la cosa giusta nel modo sbagliato. Buona fortuna.

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MARCO PALOMBI, IL FATTO QUOTIDIANO -
Al di là dei motivi ideali (il sogno dell’Europa unita) o di quelli spiccioli (evitare il liberi tutti), quando Atene cominciò a scricchiolare seriamente – era il 2010 – c’era un motivo molto semplice per cui era impossibile che la Grecia uscisse dall’euro: parecchie grandi banche tedesche, francesi, olandesi, svizzere, etc. (già fiaccate dalla frustata dei subprime Usa) avrebbero accusato perdite difficili da sopportare.
Le banche. I maggiori istituti di credito del Continente, infatti, avevano prestato soldi con larghezza ai greci che oggi vengono continuamente descritti come inaffidabili. Ancora a dicembre 2009, per dire, nonostante stessero già vendendo asset greci da un anno, le banche francesi erano esposte nella penisola ellenica per 78,8 miliardi (più o meno come quelle svizzere), le banche tedesche per 45 miliardi, quelle olandesi per 12. Tra quel momento e la ristrutturazione del debito pubblico di Atene nel 2012 i grandi istituti privati si sono liberati della bellezza di circa 150 miliardi di euro di “Grecia”. E chi li compra? Semplice: gli Stati europei attraverso i vari programmi di salvataggio comunitari.
Il debito. Oggi quello pubblico greco – che è continuato ad aumentare durante la “cura” della Troika – ammonta a oltre 320 miliardi: per il 60% è in mano agli Stati dell’Unione europea (l’Italia, per dire, a fine 2014 era già esposta per oltre 40 miliardi, mentre le nostre banche prima possedevano “Grecia” per solo 6,4 miliardi), per il 10% e più al Fondo monetario internazionale, per il 6% alla Bce, il resto è in mano a banche e investitori istituzionali.
L’uscita. Quella dall’euro, a questo punto, non è più un tabù. Sarebbe sì un problema, ma non sconvolgente: gli Stati, a differenza delle banche, possono reggere una nuova ristrutturazione del debito greco. Standard & Poor’s – che in questi giorni ha di nuovo tagliato il rating di Atene – lo ha messo nero su bianco a marzo: “L’uscita della Grecia non avrebbe probabilmente un impatto significativo sul rating delle banche al di fuori del Paese ellenico”. Angela Merkel e i suoi ministri lo hanno fatto dire in tutte le salse durante l’ultima campagna elettorale greca, anche con apposite veline su giornali tipo lo Spiegel. È la stessa cosa che, in buona sostanza, ha sostenuto ieri Pier Carlo Padoan a Washington: “L’Italia si sta rafforzando. I tassi sui bond sono ai minimi livelli e dunque siamo molto ben protetti da qualsiasi shock che potrebbe arrivare”. Per ora – a giudicare dal segno meno con cui ha chiuso la Borsa di Milano e al ritorno dello spread in zona 150 punti – non tutti gli credono.
La geopolitica. Da quanto scritto fin qui dovrebbe essere chiaro che il potere contrattuale di Alexis Tsipras rispetto ai creditori internazionali che gli chiedono di massacrare ulteriormente il bilancio pubblico non è proprio saldissimo. Sembrava che Barak Obama – scontento delle politiche mercantiliste che la Germania impone all’Europa per mantenere il suo enorme surplus commerciale – potesse essere una buona sponda. Ai sorrisi non sono seguiti i fatti e ieri il presidente Usa ha detto che “sulla Grecia Matteo Renzi ha ragione: la Grecia deve iniziare a fare riforme importanti, ridurre la burocrazia, introdurre flessibilità”, insomma “iniziare a prendere decisioni dure”. Tsipras ha anche cercato la sponda di Vladimir Putin: a inizio aprile è andato a Mosca e chiesto lo stop alle sanzioni. Il ministro dell’Economia tedesco, Wolfgang Schauble, non si è fatto impressionare: “La Grecia – ha detto ieri – deve rispettare gli accordi per ottenere la tranche di pagamenti: Atene è libera di cercare l’aiuto russo, ma potrebbe non ottenere molto”.

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GIORGIO DELL’ARTI, LA GAZZETTA DELLO SPORT -
Come mai, con una massa tanto imponente di cartamoneta, le Borse stanno andando giù, lo spread è in risalita e, insomma, si risentono i venti tipici della crisi di cui quasi ci eravamo dimenticati?
1 Non ho capito.
La Banca centrale europea compra a man bassa titoli del debito pubblico, quello che si chiama «quantitative easing». Equivale a stampare cartamoneta. I giapponesi, idem. Gli americani erano intenzionati a rallentare l’immissione di banconote sul mercato, ma i dati hanno consigliato di aspettare ancora un po’ prima di procedere a un raffreddamento deciso. Tutto questo denaro in circolazione finisce per tener su i valori di Borsa, perché i finanzieri, quando non sanno che fare e si trovano troppi soldi in portafogli, comprano azioni. Come mai da un paio di giorni, invece, vendono? Ieri le Borse sono andate tutte giù, Milano ha perso il 2% e lo spread, cioè il differenziale tra le obbligazioni a dieci anni tedesche e quelle a dieci anni italiane, è sui massimi del 2015, cioè ha toccato quota 145 punti, e il 12 marzo stava a 87.
2 A queste domande, che ora capisco, deve rispondere lei, mica io.
È che il fallimento della Grecia è diventato probabilissimo. Si parla addirittura della prossima settimana. Detta in poche parole: nella prima metà di maggio Atene deve rimborsare al Fondo Monetario Internazionale un miliardo di euro. Il ministro delle Finanze greco, lo sciupafemmine Varoufakis, è andato in America a pregare la direttrice del Fmi, Christine Lagarde, di concedere alla Grecia un rinvio del pagamento. La Lagarde ha risposto che questo è assolutamente impossibile: non abbiamo mai concesso a un Paese di prima fascia, come la Grecia, di non rispettare alla scadenza i suoi impegni, ha detto in sostanza. La questione è che questo miliardo non c’è o potrebbe saltar fuori se si raschiasse ancora il fondo di cassa delle banche e delle società pubbliche greche, trucco già messo in atto nelle settimane scorse per far fronte ad altri impegni e che non potrebbe più essere ripetuto in seguito. Non pagare gli stipendi degli statali? Non pagare le pensioni? Impensabile. Senonché, se non restituisci i soldi al Fondo Monetario sei fuori sul serio.
3 Non dovevano incassare una tranche da 7 e passa miliardi di un vecchio prestito?
Sì, ma, per dargli i 7 miliardi, Fmi, Bce e Ue pretendono che i greci stiano dentro la politica di austerità garantita all’atto della concessione dei prestiti. Senonché Tsipras ha vinto le elezioni promettendo l’inverso, cioè posti di lavoro negli apparati pubblici, ritorno alle pensioni di un tempo, salario minimo portato a 751 euro dagli attuali 586 (la legge sul salario minimo è alla Camera lunedì). Supponiamo che il leader di Syriza, disperato, ceda alle richieste dei falchi europei. In questo caso perderebbe un buon 30% del partito, l’ala dura che (forse) preferisce uscire dalla moneta unica che tornare ai diktat della troika. In realtà Tsipras e Varoufakis pensano che i tedeschi e gli altri, all’ultimo secondo, avranno una tale paura della cosiddetta Grexit, cioè l’uscita della Grecia, da cedere su tutta la linea.
4 Potrebbe accadere?
Potrebbe forse accadere, ma è meno probabile di una volta. Quest’anno votano spagnoli e portoghesi, una vittoria della linea Tsipras rafforzerebbe i movimenti anti-euro dei rispettivi paesi. I movimenti anti-euro, in base a tutti i sondaggi, diventano sempre più forti: la Lega e Grillo da noi, Podemos in Spagna, l’Ukip in Gran Bretagna, gruppi in Olanda e in Finlandia, un partito che preoccupa la Merkel perfino in Germania. Si chiama Alternative für Deutschland.
5 Quindi è più probabile che la Grecia salti per aria. Ed è per questo che le Borse scendono e lo spread sale. Ma che accadrà al resto d’Europa a quel punto?
Gli esperti dicono che oggi il sistema reggerebbe, nonostante contraccolpi non indifferenti soprattutto sulle finanze degli Stati. In questi anni, infatti, le banche hanno alleggerito la loro esposizione verso la Grecia. Nel 2008 il sistema creditizio aveva crediti verso Atene di 200 miliardi, all’inzio del 2012 i soldi che i greci dovevano restituire alle banche europee erano ancora 62,6 miliardi, oggi infine siamo ad appena 18,6 miliardi, una cifra che non può provocare terremoti (irrisoria anche l’esposizione italiana, oggi di appena 1,22 miliardi, 6,86 nel 2009). Per gli Stati invece il colpo sarebbe grave: si tratterebbe di mettere una croce su 194,7 miliardi e, relativamente all’Italia, su 40,8 miliardi di euro. Non poco, ma la questione è che, per tenere in piedi la Grecia, dovremmo forse tirare fuori altri soldi, trovandoci magari tra qualche mese con un’esposizione più grave di quella attuale. Tra le altre conseguenze da temere c’è anche quella della fuga dei capitali dalle banche dei paesi deboli verso le banche tedesche. La Grecia è stata messa in ginocchio, tra gli altri, dagli stessi greci che da molti mesi preferiscono tenersi gli euro sotto il materasso piuttosto che nei conti correnti.