Adriana Bazzi, Corriere della Sera 18/4/2015, 18 aprile 2015
LA BAMBINA IBERNATA E IL SOGNO CHE UN GIORNO SI SVEGLI
La piccola Matheryn Naovaratpong, Einz per la famiglia, non aveva nemmeno tre anni quando è morta, nel gennaio scorso a Bangkok, per un rarissimo tumore al cervello. I suoi genitori, però, non volevano perderla del tutto: così hanno deciso di «ibernare» il suo corpo nella speranza che un giorno la medicina possa ridarle la vita.
Ora è in Arizona alla Alcor, un’azienda americana specializzata nella crioconservazione dei corpi, ed è la più giovane fra le oltre cento persone che si trovano lì e che hanno scommesso sulla possibilità di una rinascita futura.
Quando Matheryn era stata ricoverata all’ospedale di Bangkok, nell’aprile del 2014, i medici avevano subito capito che c’era poco da fare: aveva un tumore cerebrale particolarmente aggressivo, l’ependimoblastoma. L’hanno operata una prima volta, poi l’hanno sottoposta, nel tentativo di salvarla, ad altri 12 interventi, a 20 cicli di chemioterapia e a 20 sedute di radioterapia. Ma nel frattempo lei aveva perso l’80 per cento dell’emisfero sinistro del cervello, era paralizzata e, alla fine, era tenuta in vita dalle macchine.
Così i genitori, entrambi medici, hanno deciso di affidarsi alle promesse delle nuove tecnologie e hanno pensato alla crioconservazione. Del resto Einz era già figlia di una medicina di frontiera: era nata da una fecondazione in vitro e da una gravidanza surrogata perché la madre aveva perso l’utero dopo la nascita del suo primo bambino.
I medici della Alcor sono arrivati a Bangkok e, dopo pochi minuti dalla morte della bimba, hanno iniziato le procedure, un po’ complesse, della crioconservazione, ma che in sintesi consistono nel prelevare tutto il sangue, nell’iniettare un liquido che permette la conservazione senza danni per le cellule, nel raffreddare il corpo fino a -196° gradi. E nel separare il cervello dal resto del corpo.
Poi Einz (la prima persona dell’Asia a essere ibernata) è volata in Arizona, alla Alcor, che conserva anche il corpo di un famoso giocatore di baseball americano, Ted Williams e di suo fratello John Henry.
La Alcor non è l’unica azienda che offre questo tipo di servizi (ha più di un centinaio di corpi umani ibernati e conta almeno 45 corpi di animali domestici). L’altra azienda è il Cryonics Institute, sempre negli Stati Uniti, con alcune decine di persone ibernate. Due altre piccole aziende lavorano in Svizzera e in Russia. La richiesta di questi interventi è in crescita, anche se il costo è molto elevato: per esempio, la procedura per Einz è costata almeno 80 mila dollari.
Ma quali sono le ragionevoli speranze di «resuscitare» per le persone crioconservate nel prossimo futuro? Al momento attuale poche o nulle. Però ci sono alcuni dati significativi della ricerca scientifica.
Intanto bisogna distinguere fra «ibernazione» e «crioconservazione». L’ibernazione riguarda soprattutto gli animali (alcuni dei quali fisiologicamente vanno in letargo, vedono il loro metabolismo rallentare e poi si risvegliano), ma anche gli uomini. Ci sono persone che finiscono «ibernate» perché esposte a un freddo intenso, ma poi si riprendono: e questo è un buon motivo per sperare che anche chi è «crioconservato» possa ritornare in vita. Del resto, la crioconservazione degli embrioni umani è un esempio: gli embrioni congelati per la fecondazione in vitro si riprendono, ritornano vitali e possono dare origine a una gravidanza. Ma non sono così complessi come un organismo adulto.
Rivitalizzare un intero corpo umano (dichiarato morto prima della crioconservazione) è ben altra cosa. Occorre far ripartire il cuore (il cui arresto è stata la sentenza di morte) e poi trovare il modo per fare rivivere tutto l’organismo, a maggior ragione se è stato colpito da una malattia. Insomma, la medicina deve ancora fare molti, moltissimi passi avanti.