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 2015  aprile 17 Venerdì calendario

SE SPARISSERO TUTTI I POLLI


Se dall’oggi al domani morissero tutti i cani e i gatti del mondo, milioni di persone sarebbero in lutto. Se sparissero tutti i bovini, scoppierebbe una crisi economica negli Stati Uniti, in Argentina e in Australia. E se una piaga come l’influenza aviaria sterminasse i 22 miliardi di polli che vivono sulla Terra? Come se la caverebbero gli esseri umani?
Ragionare su questa ipotesi ci aiuta a capire quanto la civiltà umana ormai dipenda da una singola specie animale. Senza i polli “moriremmo di fame”, sostiene Olivier Hanotte, un biologo molecolare della University of Nottingham, nel Regno Unito, che ha studiato la diffusione dei polli sul pianeta. Sparirebbero circa un terzo delle riserve mondiali di carne e quasi tutte le uova. Scoppierebbero pandemie e rivolte. I polli sono diventati una fonte onnipresente di sostentamento e sono importanti per vari aspetti della nostra vita.
La storia del rapporto tra il pollo e gli esseri umani è antica. Tremila anni fa i polinesiani portarono con sé dei polli quando andarono a colonizzare le isole del Pacifico. Usavano le ossa come aghi per cucire, fare tatuaggi e creare strumenti musicali. Gli antichi greci consideravano il gallo un uccello sacro per il dio della medicina Asclepio e credevano che alcune parti dell’animale curassero ogni tipo di malanno, dalle bruciature all’incontinenza. I generali romani tenevano dei polli a portata di mano per usarli come oracoli in vista delle battaglie: se mangiavano in abbondanza prima dell’inizio delle ostilità, si prefigurava una vittoria; se no, era meglio ritirarsi. Infine, i combattimenti tra galli sono stati probabilmente una delle prime forme d’intrattenimento sportivo dopo il pugilato.
Oggi il pollo è soprattutto un alimento. Da questo punto di vista la sua diffusione ha raggiunto proporzioni enormi, superando tutti i maiali e i bovini del pianeta messi insieme. Ci sono tre polli per ogni abitante della Terra. Ogni anno consumiamo quasi cento milioni di tonnellate di carne di pollo e più di mille miliardi di uova. Si stima che quest’anno in una sola giornata – il 1 febbraio 2015, la domenica del Superbowl – gli statunitensi abbiano mangiato 1,25 miliardi di ali di pollo.
Fino agli anni cinquanta negli Stati Uniti si mangiava ancora molta carne rossa, il doppio rispetto a quella di pollo. Oggi succede il contrario. L’ascesa del pollo nell’alimentazione cominciò dopo la seconda guerra mondiale, quando gli allevatori statunitensi svilupparono una nuova razza adatta all’allevamento industriale: aveva i muscoli del petto più grandi, consumava meno mangime, cresceva in fretta e aveva la carne tenera. Oggi questa razza attentamente selezionata spinge la fiorente industria avicola in tutto il mondo. In Asia si mangiano meno polli che in Nordamerica, ma il divario si sta riducendo: si calcola che nel 2020 il pollo supererà il maiale (tradizionalmente la carne preferita dai cinesi).
Quindi, come ce la caveremmo senza pollo? Non tanto bene, almeno a giudicare da alcuni fatti recenti. I messicani sono il popolo che mangia più uova al mondo (in media 330 a testa all’anno). Quando nel 2012 il prezzo delle uova si è impennato perché erano stati abbattuti milioni di uccelli malati, gli abitanti di Città del Messico sono scesi in piazza a protestare in quella che è stata chiamata “la grande crisi delle uova”. Durante la rivolta del 2011 in Egitto, i manifestanti urlavano slogan come: “Loro mangiano polli e piccioni, noi mangiamo fagioli!”. Di recente, quando in Iran il prezzo del pollame è triplicato, il capo della polizia ha ordinato alle tv di non trasmettere immagini di persone che mangiavano pollo per non incitare alle violenze. Sull’altra sponda del golfo Persico, in Arabia Saudita, il mangime per polli è sovvenzionato dallo stato per tenere basso il prezzo della carne e ridurre il rischio che la popolazione scenda in piazza a protestare.
Perché proprio il pollo (e non, per esempio, l’anatra o lo yak) è diventato l’animale più importante per gli esseri umani? Il segreto sta in parte nella sua notevole capacità di adattamento. Charles Darwin, che dedicò parecchio tempo e molti soldi allo studio di quest’animale, fu uno dei primi a rendersene conto. Esaminò polli presi da tutte le parti del mondo, molti lasciati poi in eredità al Museo di storia naturale a Londra. Darwin arrivò alla conclusione che tutte le razze domestiche discendevano dal gallo rosso, una specie di fagiano timido e sfuggente che vive nell’Asia meridionale e in alcune parti della Cina, in habitat molto diversi tra loro. Le conclusioni di Darwin sono state confermate nel 2004, quando il genoma del gallo rosso è stato sequenziato.
Addomesticato quattromila anni fa, il gallo rosso ha lasciato in eredità al pollo di oggi un genoma forgiato da un’ampia varietà di ambienti, dalle colline dell’Himalaya alle foreste di Sumatra. Nel corso dei secoli il pollo domestico potrebbe averer editato geni da altre sottospecie di fagiani della giungla, tra cui il gallo grigio indiano.
“Quello che colpisce del pollo è la sua diversità genetica”, osserva Hanotte. “È probabilmente la specie geneticamente più diversificata tra tutti gli animali da allevamento, salvo forse il maiale”. Questo non solo ha aiutato il pollo domestico a prosperare in tutti i continenti a parte l’Antartide, ma ha permesso agli esseri umani di allevare quelle che l’ornitologo statunitense William Beebe definì “razze bellissime, bizzarre o mostruose”, dai soffici polli moroseta agli slanciati langshan.
La grande diffusione del pollo non è necessariamente un male. In un certo senso, quest’animale può essere considerato un campione della tutela dell’ambiente. Per avere un’idea della sua efficacia, bisogna provare a immaginare l’impatto che avrebbe sostituire la carne di pollo con quella di altri animali da allevamento. I bovini – che rappresentano circa un quarto della carne consumata negli Stati Uniti – sarebbero il sostituto peggiore: per allevare il bestiame necessario a soddisfare il fabbisogno mondiale, servirebbero terreni dieci volte più estesi di quelli usati per il pollame. I bovini trasformano il mangime in carne in modo molto meno efficiente rispetto ai polli, e anche se si passasse completamente all’allevamento intensivo di bestiame nutrito a grano, per ottenere la stessa quantità di carne bisognerebbe produrre una quantità di mangime otto volte maggiore. Dato che la produzione di mangime per gli animali assorbe già circa un terzo dei terreni coltivabili sulla Terra, non ci sarebbe spazio a sufficienza.
E i maiali? Per compensare la perdita di carne di pollo dovrebbero raddoppiare di numero, passando da uno a due miliardi. Inoltre bisognerebbe trovare più spazio per i terreni agricoli, perché per ricavare un chilo di carne di maiale serve il 14 per cento di mangime in più rispetto a quello che richiede un pollo.
Per quanto riguarda l’ambiente, bisogna tener conto della questione dei gas. A differenza dei polli, i bovini e gli ovini fanno fermentare il cibo ingerito nel rumine, un organo ricco di batteri che produce grandi quantità di metano, un gas che contribuisce all’effetto serra. Per ogni chilo di carne, i bovini producono una quantità di gas serra (tra cui l’anidride carbonica) quasi quattro volte superiore a quella dei polli. Gli ovini ne producono cinque volte di più. Usando come fonte alternativa di proteine il formaggio, le emissioni di gas raddoppierebbero, mentre usando il maiale aumenterebbero del 75 per cento.
E gli altri uccelli? L’anatra e il tacchino sembrano i sostituti più logici, ma presentano degli svantaggi. Tacchini e oche non possono vivere all’interno di piccole recinzioni, e le anatre hanno bisogno di molta acqua. “Non esistono anatre che si nutrono di parassiti nelle zone semidesertiche. È vero che si adattano facilmente, ma mai quanto i polli”, spiega Hanotte. I tacchini non producono molte uova, e nessuna delle due specie rende la stessa quantità di carne mangiando la stessa quantità di becchime. “L’anatra e il tacchino hanno la loro nicchia di mercato, ma non saranno mai dei veri concorrenti”, dice Hanotte. In termini di proteine, osserva, i sostituti migliori sono gli insetti.
Il mercato degli insetti potrebbe avere ampi margini di crescita, ma all’inizio aumenterebbe soprattutto la domanda di prodotti ittici e questo rischierebbe di portare al collasso la pesca, che oggi produce circa 80 milioni di tonnellate di cibo all’anno. Inoltre si svilupperebbero gli allevamenti ittici, ma servirebbe comunque del tempo per aumentare la produzione (oggi pari a circa 60 milioni di tonnellate all’anno) per sostituire la carne di pollo.
Salvavita nell’uovo
Alcuni paesi potrebbero garantire alla popolazione lo stesso apporto proteico. Gli Stati Uniti, per esempio, potrebbero interrompere le esportazioni di manzo e maiale e tornare di fatto alle abitudini alimentari degli anni cinquanta. E i consumatori disposti a sperimentare alternative non animali potrebbero cominciare ad alimentarsi con soia e legumi. Il passaggio a questi prodotti farebbe bene all’ambiente: sostituendo il pollo con i fagioli, le emissioni di gas serra sarebbero molto più basse. Il pollo è responsabile di 6,9 chili di gas serra per chilo di carne, contro i due chili di gas serra delle proteine contenute nei fagioli.
Altri paesi del mondo sarebbero più in difficoltà. In alcune zone dell’Africa e dell’Asia, dove il pollo è un comune cibo di strada e anche le persone più povere possono permettersi di tenere un paio di galline in cortile, l’eventuale estinzione di questo animale farebbe aumentare la malnutrizione. La carne di pollo e le uova sono particolarmente ricche di amminoacidi essenziali come la lisina e la treonina, che il nostro organismo non produce. “Il mondo come lo conosciamo oggi non potrebbe esistere senza le proteine animali assunte attraverso le uova e la carne di pollo”, afferma Jianlin Han, biologo dell’Istituto di scienze animali di Pechino.
Il pollo ha anche un altro ruolo, più nascosto: le uova di gallina servono a produrre i vaccini antinfluenzali. Per produrre le 400 milioni di dosi usate ogni anno in tutto il mondo, i ceppi influenzali sono coltivati e iniettati in uova embrionate, dove trovano un ambiente sterile e ricco di sostanze nutritive, che permette al virus di moltiplicarsi velocemente. Il liquido carico di batteri viene raccolto e il virus abbattuto o indebolito: a ogni uovo corrisponde approssimativamente una dose di vaccino.
“Nelle uova il virus dell’influenza cresce a livelli impressionanti”, spiega Doris Bucher, microbiologa del New York medical college, dove ha sede uno dei tre laboratori al mondo che coltivano i ceppi influenzali per i vaccini. “È il modo più economico per produrre il virus”.
Gli Stati Uniti, in particolare, hanno finanziato la ricerca per trovare alternative al vaccino basato sulle uova, in parte per paura di un’eventuale scomparsa dei polli. “Si temeva che l’influenza aviaria H5N1 li sterminasse tutti”, spiega Bucher.
L’azienda farmaceutica svizzera Novartis ha sviluppato un vaccino alternativo chiamato Flucelvax, che viene prodotto usando le cellule renali di un cocker spaniel. Il vaccino è stato approvato in Europa nel 2007 (con il nome di Optaflu) e negli Stati Uniti nel 2012. Il problema è che può essere somministrato solo ai maggiorenni, e ci vorrà tempo per aumentare la produzione fino a soddisfare la domanda mondiale. “La situazione può cambiare, ma siamo ancora lontani dall’obiettivo”, dice Bucher.
Senza i polli una sola influenza stagionale potrebbe uccidere fino a 50mila statunitensi, calcola Bucher. E se scoppiasse una nuova influenza suina o una pandemia simile, l’umanità si ritroverebbe indifesa.
A parte le rivolte, la malnutrizione e le malattie, anche il nostro palato pagherebbe le conseguenze della scomparsa dei polli. Senza uova cambierebbe completamente la nostra idea di pasticceria, dice Ludwig Hely, capo pasticciere dell’hotel Savoy a Londra. “Sarebbe un disastro. È l’ingrediente più difficile da sostituire. Si può fare a meno della farina, ma senza le uova perderemmo tutta la struttura e la leggerezza dei dolci”. Si potrebbero usare uova di anatra o di quaglia, ma la loro scarsa quantità renderebbe la pasticceria un lusso per pochi.
Allo stesso tempo, i sostituti delle uova diventerebbero più comuni e per legare e far lievitare gli impasti si userebbero ingredienti come il tofu vellutato, il lievito in polvere e i semi di lino. Questi ingredienti sono familiari a chi ha dovuto fare i conti con il razionamento degli alimenti durante la seconda guerra mondiale. Qualcuno sta già pensando a come usarli in chiave moderna: Jason Sellers, chef del Plant, uno dei più importanti ristoranti vegani degli Stati Uniti, dice di aver trovato il modo di fare la meringa senza le uova. Anche lui, però, ammette che in alcuni casi le uova sono insostituibili: “Ci sono preparazioni in cui non si può farne a meno, come nel soufflé”, spiega.
Le probabilità di un’apocalisse
Le conseguenze della scomparsa dei polli non sarebbero solo negative. Meno persone contrarrebbero la salmonella. Il bacillo, che nella maggior parte dei casi si trova nel pollo crudo, provoca circa 115mila morti e contagia decine di milioni di persone ogni anno. Chiunque abbia a cuore le condizioni degli animali si rallegrerebbe del fatto che miliardi di polli non vivrebbero più in condizioni terribili. Secondo l’antropologo Steve Striffler, che nel libro Chicken ripercorre la storia dell’allevamento industriale del pollo, questo animale è una fonte essenziale di proteine per i poveri delle campagne di tutto il mondo, ma la sua scomparsa nei paesi sviluppati non sarebbe un male. “Circa il 75 per cento dei polli viene allevato a livello industriale nei paesi più ricchi”, spiega. “Questi animali vivono in condizioni estreme, indegne. E tutto questo per ottenere un prodotto finale che, per come è lavorato, fa male a chi lo lavora, a chi lo consuma e all’ambiente”.
Quant’è probabile un’apocalisse dei polli? Questi animali vivono spesso in enormi fattorie dove sono concentrati milioni di esemplari, quindi sono più soggetti alle epidemie rispetto a gran parte degli uccelli domestici. Dieci anni fa l’influenza aviaria ha sterminato più di cento milioni di uccelli in Asia, e quest’anno è tornata. Ma il pollo è un osso duro. Ha trascorso millenni a fianco degli esseri umani. E ogni anno che passa la sua esistenza si lega sempre più inesorabilmente alla nostra. Non ci sarebbe nulla di cui rallegrarsi in un mondo senza polli.