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 2015  aprile 17 Venerdì calendario

C’EST GÉNIAL


TORINO. Léon-Claude Duhamel dice che la lampadina gli si è accesa un giorno che era al Café de la Paix, a Parigi: «Ho visto una signora con dei bambini che si riparava usando un nylon rosso. Me lo sono segnato su un taccuino. Poche settimane più tardi, quando l’appunto mi è ricapitato tra le mani, mi è venuta l’idea: potevo creare una giacca impermeabile che fosse meno ingombrante di un ombrello ma che al tempo stesso riparasse le persone in caso di pioggia. Mio padre produceva pantaloni, così sono andato a cercare tra i suoi tessuti un materiale che resistesse all’acqua». Era il 1965, cinquant’anni fa esatti, e Duhamel ancora non poteva sapere che in quel momento stava inventando il K-Way, un simbolo per intere generazioni di europei, il sinonimo per eccellenza delle gite fuori porta.
La Basicnet, l’azienda piemontese della Robe di Kappa che oggi possiede il marchio K-Way, lo ha invitato nel suo negozio monomarca di Torino (in piazza C.L.N). Duahmel, che adesso ha 80 anni, osserva curioso tutti i prodotti con il mitico brand che un tempo fu suo, dalle giacche alle borsette, dalle felpe ai costumi da bagno. «Rivedere il logo ancora in vita mi rende davvero fiero», dice rivolgendosi a Marco Boglione, il presidente e fondatore di Basicnet. Racconta l’imprenditore francese che in un primo momento nessuno capì davvero il potenziale della sua invenzione: «Proponemmo questo nuovo capo a diversi negozianti ma erano tutti scettici. Ottenemmo un solo ordine, da un amico di mio padre. Eppure ormai avevamo lanciato la campagna pubblicitaria».
I manifesti per le strade dicevano che il K-Way poteva essere acquistato in tutti i negozi di sport di Parigi, invece non si trovava. Eppure la gente lo cercava: «Lo volevano in molti e qualcuno lo ordinava direttamente da noi in azienda. Così i negozianti si sono convinti e hanno iniziato ad arrivare i primi ordini». Una telefonata dopo l’altra, il successo del suo impermeabile diventò inarrestabile: «Solo il primo anno ne vendemmo 250 mila. Non ce lo aspettavamo assolutamente».
Potenza di un prodotto pragmatico come pochi, ma anche della pubblicità. Perché se il K-Way è diventato un simbolo, un po’ del merito va anche a Jean Castaing, un professionista del settore che lavorava per la Havas e che ricorda un po’ Don Draper, il protagonista della serie tv Mad Men, almeno da come lo descrive Duahmel: «Quando gli portai la giacca la osservò a lungo, se la rigirò tra le mani e dopo un po’ mi disse: c’est génial». Solo che i due avevano idee molto diverse sul nome: «Io l’avevo già battezzata En cas de, in caso di. Lui invece insisteva per qualcosa di più anglosassone».
Erano gli anni Sessanta e il fulcro della moda si stava spostando da Parigi a Londra e agli Stati Uniti: «Alla fine optammo per un compromesso: la «k», che ricordava il suono del nome che proponevo io, e «way», che dava il tocco inglese che piaceva a lui».
Il resto lo fecero il logo (quella «k» che ricorda una goccia d’acqua che rimbalza su una superficie), i manifesti, gli spot televisivi. Anche l’innovazione, naturalmente: «Fu confrontandomi con un fornitore italiano che individuai il materiale giusto», ricorda oggi Léon-Claude Duhamel. All’inizio la zip era soltanto nella parte alta e solo più avanti venne posizionata dalla cima al fondo del giubbotto. Così come pure la mitica tasca all’inizio non era prevista e arrivò qualche anno più tardi: «Fu un’altra idea che mi venne per caso, mentre maneggiavo della stoffa. Mi precipitai in azienda chiedendo di creare un modo per poter ripiegare il K-Way». E nacque un altro pezzo del mito, ossia il sistema per fargli prendere la forma di una banana da legarsi a vita con un elastico. Una caratteristica che l’ha reso pressoché uno status symbol per chi è stato bambino o ragazzo negli anni Settanta e Ottanta.
Quelle furono le due decadi più felici per l’impermeabile di Duhamel, che spopolava al punto che nel 1979 entrò pure nei dizionari francesi e italiani. La parabola discendente iniziò nel 1990, ossia quando l’imprenditore francese vendette tutto alla Pirelli, che ai tempi aveva pure il marchio torinese Superga.
Ora «monsieur K-Way» un po’ è pentito di aver ceduto alle lusinghe del colosso della gomma: «Accettammo l’offerta perché ci promisero un piano di sviluppo internazionale, che avrebbe permesso alla mia invenzione di arrivare davvero in ogni Paese del mondo. Dopo sei mesi, però, chiusero tutte le filiali in fretta e furia e abbandonarono i loro piani. Non ho mai capito perché».
Con i soldi di Pirelli, Duhamel cambiò vita: si comprò una vigna in campagna e iniziò a produrre vino nel Sud della Francia, attività che ha portato avanti fino a due anni fa, prima di andare in pensione e darsi ai viaggi. Il marchio K-Way invece dopo la cessione andò un po’ alla volta in declino. Nel 1992 prese fuoco lo stabilimento di Harnes e venne distrutto anche l’intero archivio storico. L’anno successivo il brand venne ceduto alla banca d’affari Sopaf, nel 1999 finì alla milanese Multimoda Network e in poco tempo il giubbino smise di essere prodotto.
Cinque anni più tardi però il K-Way risorse. Il logo venne infatti acquisito dalla Basicnet di Marco Boglione, che oggi lo ha rilanciato in grande stile: «Ci abbiamo messo un po’ a carburare, ma ora ci siamo riusciti creando una linea fashion che insiste sugli stessi valori che ci sono dietro la celebre giacca impermeabile: la freschezza, la classicità, lo spirito contemporaneo e non vintage», spiega l’imprenditore torinese.
Nel 2010 Basicnet ha aperto il primo negozio a marchio K-Way nel capoluogo del Piemonte e negli anni successivi sono spuntati punti vendita a New York, Mosca, Parigi, Milano, Taipei, Roma, Seul.
Oggi i prodotti con il brand che fece la storia dei giubbini antipioggia e antivento vengono venduti in Europa, in Nord America, in Russia, in Giappone e in diversi altri stati dell’Asia. «Dopo tutti questi anni non mi sarei mai immaginato di visitare un negozio di due piani pieno di capi d’abbigliamento con il logo K-Way», confessa Duhamel, curiosando nello stare ospitato nel centro di Torino.
Nei punti vendita continua a essere venduto lo stesso modello di giubbino inventato da lui, anche se in versione 3.0, sempre coloratissimo, richiudibile, resistente alla pioggia e al vento. Un indumento che anche oggi, a 50 anni di distanza, continua a conservare un fascino antico, che però Duhamel non è ancora in grado di spiegare: «Davvero non so come il K-Way sia diventato un simbolo degli anni Settanta e Ottanta. Ai tempi non avrei mai immaginato che avrebbe fatto tutta questa strada. Penso che il motivo risieda in una serie di colpi di fortuna». Come l’intuizione che ebbe quel giorno del 1965, quand’era seduto al tavolino del Café de la Paix.Stefano Parola