Carlo Bastasin, Il Sole 24 Ore 17/4/2015, 17 aprile 2015
LA MOSSA CHE TSIPRAS DEVE FARE
Discutendo con Wolfgang Schäuble e Yanis Varoufakis si ha la sensazione che il negoziato tra Grecia e istituzioni europee sia aperto, ma che dopo due mesi di stallo negoziale, i partner europei siano del tutto disincantati e che sia nelle mani di Atene prendere una decisione se stare nell’euro rispettando gli impegni o uscire. Finanziare il debito pubblico costa ad Atene meno di quanto la Grecia riceva ogni anno in aiuti europei. Anche per questa ragione, le ipotesi estreme di rottura dei rapporti tra Grecia ed Europa sono sempre state considerate forzature negoziali.
Ieri il ministro delle Finanze tedesco Schäuble ha però usato una speciale locuzione, una sorta di formula magica, che rende temibile l’esasperazione di tutti nei confronti di Atene: «Non possiamo riempire continuamente un vaso senza fondo». Si tratta della metafora che politici e gente comune usano in Germania per sancire il limite negoziale. È il concetto di aiuti non illimitati che la Corte di Karlsruhe assume come cardine delle proprie argomentazioni.
Il problema di raddrizzare le parole del passato attanaglia Alexis Tsipras. Non è un caso se il suo vice abbia ipotizzato, proprio come fece l’ex premier Papandreou, un referendum sull’euro. Un sì alla permanenza nell’euro – favorita dal 70% dei greci – revocherebbe la retorica di Syriza e degli anti-euro secondo cui la crisi è solo colpa della Troika. È quella narrazione che fa illudere i greci di vedersi restituiti i redditi del 2008 (fatto 100 il 1999, i redditi erano a 140 nel 2008 e 108 nel 2014). Ma non c’è tempo per un referendum, né per elezioni. Tocca a Tsipras trovare il modo di ammettere pubblicamente che gli errori sono stati anche greci.
Dietro le quinte, una soluzione è già stata disegnata: una revisione dei termini di credito della Greek Loan Facility che azzeri lo spread sopra l’Euribor (oggi pari a 0,50%), più un allungamento delle scadenze dei crediti di altri dieci anni. Il valore attualizzato del debito greco scenderebbe del 17%. Il valore netto totale arriverebbe non lontano da quello lordo italiano, ma con costi di finanziamento che per almeno dieci anni (più probabilmente venti anni) resteranno metà di quelli italiani in rapporto al pil: 2% contro il 4,2%. Una decisione dell’Eurogruppo del novembre 2012 aveva già previsto una revisione dei termini di credito nel caso Atene fosse riuscita a mantenere i conti di bilancio in ordine. Negli ultimi anni i risultati erano addirittura migliori di quelli fissati nel memorandum della Troika, ma l’incertezza legata al nuovo e inesperto governo ha rimandato il paese in recessione (il pil ha perso l’1% da dicembre a oggi). Ora quello che si chiede a Tsipras è di rispettare il memorandum «almeno a grandi linee», come ha detto Schäuble, e fornire una lista di riforme decente. Da due mesi si lavora sulla lista senza reali progressi.
Il tono di insofferenza dei partner è sbagliato perché Atene insiste sul proprio onore di «membro europeo orgoglioso e irrinunciabile». Un linguaggio primitivo anche, ma ormai diventato un fatto politico. Parlando con i protagonisti si capisce che le basi minime di fiducia reciproca sono deboli. I pochi dettagli negoziali dimostrano che si sta discutendo ancora di grandi linee di principio e che proprio su quelle si è in disaccordo “ideologico”.
Non bastano mesi a superare barriere in cui le retoriche nazionaliste sovrastano quelle politiche. Ma la liquidità di Atene può arrivare al massimo a maggio. È quindi possibile che entro un mese la cassa sia davvero vuota e che Atene non riesca a pagare i creditori. A quel punto, se si trattasse di un vero default, la Bce dovrebbe sospendere la fornitura di liquidità di emergenza alle banche greche. La Banca centrale greca comincerebbe a fornire mezzi di pagamento propri introducendo una moneta parallela. Sarebbe già un Grexit. Ma nessuno lo vuole e soprattutto nessuno può davvero immaginare che una decisione politica che determini l’uscita di fatto di un paese sia assunta dalla Bce. Da mesi Mario Draghi insiste che i leader riformino la governance dell’euro area approfondendone le garanzie democratiche. Non è pensabile che una scelta tecnica del consiglio di Francoforte tagli il nodo gordiano che il governo ateniese e le istituzioni europee hanno ingarbugliato.
La decisione è nelle mani di Tsipras. Se ritiene che ripagare i debiti sia contraddittorio o impossibile, allora ha una cosa sola da fare: approvare in consiglio dei ministri il controllo dei capitali e la chiusura delle frontiere. Perché il problema di Atene non sarà la liquidità in sé, ma la fuga dei restanti depositi appena il rischio di uscita dall’euro diventasse concreto. Una decisione simile, per non violare i Trattati e preludere all’uscita dall’Ue, deve essere presa in accordo con le autorità europee che potrebbero giustificare un finanziamento di emergenza delle banche greche. La catena delle decisioni politiche sarebbe dunque chiara: dal governo greco alle istituzioni europee e da queste alla Bce. Tocca a Tsipras dunque: qui è Rodi, Alexis.
Carlo Bastasin, Il Sole 24 Ore 17/4/2015