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 2015  aprile 17 Venerdì calendario

GOOGLE, L’EPOCA DELLE VACCHE GRASSE STA PER FINIRE. VI SPIEGHIAMO PERCHÉ

Sono passati 15 anni da quando nel 2000, tra aprile e giugno, Microsoft si beccò una durissima sentenza di abuso di posizione dominante negli Stati Uniti, che ne imponeva addirittura il «break-up» (cioè: lo spezzatino) in due aziende diverse e autonome. Non se ne fece niente perché in appello la pena fu drasticamente ridotta e commutata in una serie di provvedimenti gestionali obbligatori volti a ridurre la posizione dominante dell’azienda, ma quella sentenza spaventò i mercati e fu senza dubbio tra i fattori che scatenarono il grande «sboom» della bolla borsistica della new-economy.
Lo scenario che si sta aprendo attorno al caso Google, ancorché per ora confinato in Europa, ha molti punti di contatto. La posizione dominante che il motore di ricerca di Mountain View ha raggiunto nel settore di tutti i servizi internet è infatti ancora più grande di quella a suo tempo conseguita da Microsoft. E presenta molte aggravanti: il vero mestiere di Google e dei suoi algoritmi consiste nell’entrare in possesso di tutti i dati sull’identità, i gusti, le idee e le invenzioni creative di tutti i navigatori che lo utilizzano, peggio di quanto farebbe il più tentacolare dei social-network. E di utilizzarli per venderli agli inserzionisti pubblicitari, in una galoppata di prezzi stracciati e di simmetrica, bassissima produttività commerciale, dovuta alla mostruosa inflazione di messaggi che questo gratuitismo ha ingenerato.
Il circolo vizioso è perfetto: Google è ubiquitaria e strapotente. Mantiene bassissimi i prezzi dei suoi servizi perché, usando i contenuti prodotti gratis da altri, non ha costi, ed è convinta di poter così acquisire ancora clientela. Di fatti ne acquisisce, ma con rendimenti sempre più modesti, in una folle corsa da criceto nel cilindro, un criceto colossale che si nutre della nostra privacy, delle nostre creazioni e del nostro tempo libero per conseguire alla fine risultati sempre meno appetibili ma comunque tali da precludere l’accesso a questo mercato a qualsiasi concorrente. Era ora che una forte autorità antitrust si ponesse il problema. Lo fa quella europea e non quella Usa, sia per la chiara subalternità di Obama ai «signori del web» sia perché in Europa Google ha praticato brutti «sgarbi» fiscali agli stati come l’Italia e la Francia dove guadagna di più. Ma questo cambia poco: la polemica sullo strapotere di Google contagerà gli Usa. E con questa polemica finirà nel mirino tutto il delirante modello di business dei «big» di internet, tanti clienti pochi dipendenti pochi ricavi unitari, che lascia spazio a un’oligarchia ristrettissima e preclude qualsiasi concorrenza. La partita è solo iniziata.
Sergio Luciano, ItaliaOggi 17/4/2015